Il più grande depistaggio della storia d’Italia: la strage di via D’Amelio. E l’uccisione di Emmanuello? Ed il caso Antoci con la morte di due poliziotti sui Nebrodi?

È alla stretta finale il processo sul depistaggio relativo all’attentato che costò la vita al magistrato Paolo Borsellino ed agli uomini della sua scorta. Sul banco degli imputati ci sono tre poliziotti che imbeccarono ed imboccarono, secondo l’accusa sostenuta dal pubblico ministero Stefano Luciani, il falso pentito Scarantino. Il pm Luciani è lo stesso che si è occupato del ‘sistema Montante’. Il processo si celebra a Caltanissetta, dopo che la Procura di Messina ha chiesto, ed ottenuto, l’archiviazione delle posizioni di due magistrati, Anna Maria Palma e Carmelo Petralia. Si celebra dopo la morte di Arnaldo La Barbera, un alto dirigente della Polizia che, a distanza di tempo si è scoperto che era un uomo dei Servizi segreti e che ha avuto un ruolo determinante in quel terribile depistaggio. Si celebra dopo la morte del capo della Procura di Caltanissetta, Giovanni Tinebra che, all’epoca dei fatti oggetto del processo, avrebbe contribuito a deviare il corso delle indagini, al fine di accreditare la falsa pista che portò alla condanna all’ergastolo di persone innocenti, scagionando i veri colpevoli.

E fin qui abbiamo capito fino a che punto ci si è spinti nell’inquinare tutto quanto, con tanto di sentenza giudiziaria che nulla aveva a che vedere con la verità, la verità vera, potremmo dire, mutuando un’asserzione tautologica che fa il paio con un’altra analoga asserzione: giustizia giusta.

Purtroppo riteniamo che, dopo via D’Amelio, su cui a fatica ed a distanza di tempo, di molto tempo, si sta tentando di fare chiarezza, c’è dell’altro.

Una certa strategia di disinformazione di massa, basata sulla tecnica del depistaggio e dell’insabbiamento giudiziario, crediamo che abbia prodotto altri casi meritevoli della stessa attenzione. Ci riferiamo ad esempio all’uccisione da parte di una squadra di poliziotti, nel 2007, del boss latitante Emmanuello, che l’ex paladino dell’antimafia di facciata, Antonello Montante, aveva annotato  nei suoi diari segreti. Si tratta, che ci risulti, dell’unico caso di un morto ammazzato che il Montante ci tenne ad appuntarsi scrupolosamente. Mentre il 13 novembre 2007, esattamente 21 giorni prima di quella, per lui, memorabile uccisione, sempre il Montante, scriveva, non si sa se solo per ricordarlo a sé stesso, di un incontro che avrebbe avuto, con l’allora capo della squadra mobile di Caltanissetta, il Dott. Staffa e con il suo vice Giovanni Giudice. Quest’ultimo, a quanto pare,  partecipò a quel blitz che portò alla morte di Emmanuello, in circostanze che ancora oggi rimangono poco chiare. Tra l’altro, lo stesso giorno in cui fu ucciso Emmanuello, il 3 dicembre 2007, si stava svolgendo, nella stessa località, nelle campagne di Villarosa, in

provincia di Enna, un summit di mafia nel corso del quale si doveva decidere, guarda caso, il successore del boss Emmanuello.

Anche l’attentato del 2016 a Giuseppe Antoci, l’allora Presidente del Parco dei Nebrodi,  presenta delle opacità. Tre fori nella portiera della macchina blindata, a bordo della quale viaggiava Antoci, una carreggiata della strada ostruita da alcune pietre messe in fila, tanto

panico, tanta paura e tre pentiti, ritenuti credibili dai magistrati, che ne prendono le distanze e che sostengono che la mafia non c’entra niente. Ecco in sintesi tutto quello che siamo riusciti a capire. Ma ciò che continua ad inquietarci è quello che è successo un paio di anni dopo. Ci riferiamo a due morti strane ed improvvise. Due poliziotti, sani e pieni di vita, muoiono nel giro di 24 ore l’uno dall’altro. Uno muore di leucemia fulminante ed un altro di infarto. Uno si trovava sul luogo di quello sciagurato attentato, mentre l’altro si è occupato delle indagini. Entrambi erano forse a conoscenza di alcune stranezze che stavano alla base di quella spedizione armata.

Sicuramente sapevano, forse, molto di più, rispetto a quanto è emerso dagli atti processuali contenuti nelle due ordinanze di archiviazione, sfornate dal Tribunale di Messina. Lo stesso Tribunale che ha archiviato le posizioni dei magistrati Palma e Petralia, coinvolti nel depistaggio di via D’Amelio.

Vorremmo che qualcuno, al di là della facile propaganda antimafiosa di facciata, si occupasse seriamente anche di entrambi questi due casi giudiziari: il caso Antoci ed il caso Emmanuello. Onde evitare che certe scomode verità vengano scoperte quando i protagonisti di tali oscure vicende sono passati a miglior vita. È capitato per Rutilius, nome d’arte e di battaglia di Arnaldo La Barbera, con cui fu ribattezzato all’interno dei Servizi segreti e ritenuto, post mortem, il principale artefice del depistaggio di via D’Amelio. È capitato anche  per Giovanni Tinebra che, da Procuratore di Caltanissetta, nascose quanto più possibile ciò che era assai chiaro e lampante e cioè che, Scarantino, era un falso pentito. Probabilmente uno dei tanti pentiti allevati nei laboratori dei Servizi segreti per inscenare le solite parodie di crimini inesistenti, al fine di occultare i veri crimini e tutelare i veri criminali.