Inquinamento: depuratori che non depurano, affari d’oro e morti per cancro

La riflessione – a cura di Concetto Alota –

La premessa vuole che Siracusa, anche se considerata la provincia “babba”, rimane prigioniera dell’omertà sulla quale ruota l’intero sistema che regola da sempre la corruzione politica-mafiosa, zona industriale compresa, con silenzi e connubi a tappeto e dove l’inquinamento è rimasto “libero” per decenni. Un popolo omertoso è moralmente e culturalmente mafioso. I molti casi i politici hanno predicato bene e razzolato, favorendo in maniera indiretta (il silenzio) le industrie in cambio di assunzioni e appalti pilotati. Ma dei morti per cancro, nessuna denuncia.

Il traffico dei rifiuti è un fenomeno fuori controllo; il più diffuso è lo smaltimento illegale dei fanghi e del percolato che arrivano dai depuratori e dalle discariche senza alcun trattamento e finiscono nei terreni agricoli con tutto il carico di veleni.

“Contro l’Italia ci sono mille denunce d‘infrazioni europee per le inadempienze sul fronte della depurazione delle acque, con il maggior numero di centri abitati irregolari situati in Sicilia. Molti comuni, come Augusta, scaricano direttamente in mare in tanti altri casi non c’è neanche la rete fognaria, in altri ancora l’impianto di depurazione è presente ma non funzionante, oppure manca l’autorizzazione allo scarico.

In Sicilia solo il 17,5% dei circa 438 depuratori sono a norma, mentre gli altri sono privi di autorizzazione, scaduta o hanno ricevuto un diniego allo scarico.

Occhi puntati da anni sui depuratori che operano nella zona industriale siracusana finiti diverse volte sotto inchiesta dalla Procura di Siracusa; alcuni piccoli depuratori sono gestiti direttamente dalle industrie e altri dal depuratore consortile gestito dall’Ias i cui vertici sono coinvolti, insieme ai dirigenti di alcune aziende del petrolchimico, nell’inchiesta denominata “No Fly”, con 19 persone e 7 aziende coinvolte nell’ultima operazione della Procura di Siracusa.

A leggete le carte, i fatti sono gravi. Già nel mese di marzo del 2015, nella seduta del Cda dell’Ias, viene esaminata la relazione sull’inquinamento prodotto dal depuratore consortile di alcuni docenti di chimica dell’ambiente presso l’Università di Catania: “Lo stato attuale del depuratore Ias di Priolo, così come sopra descritto, pone dei gravi interrogativi ambientali per quanto riguarda emissioni odorigene che possano ledere la salute pubblica, per il loro carattere tossico e cancerogeno, specie con l’approssimarsi della stagione estiva che, con le sue elevate temperature, può far precipitare la situazione. (…) Gli inquinanti invece di disperdersi negli strati alti dell’atmosfera, si accumulano in prossimità del suolo, con concentrazioni sempre crescenti giorno dopo giorno, per periodi di qualche settimana. Quando ciò si verificherà, le emissioni inquinanti dell’Ias potranno portare ad un livello inaccettabile di rischio per la salute umana, in un territorio molo vasto”.

Nello scenario della depurazione insiste poi l’interesse diretto della mafia (con i colletti bianchi arruolati ad hoc ) dei rifiuti che si muove come una vera e propria holding con forti agganci economici e istituzionali nello smaltimento dei reflui, del percolato prodotto dalle discariche dell’immondizia e dei rifiuti industriali dell’intera Sicilia e di cui si sono interessate diverse Procure distrettuali, come Siracusa, Trapani, Palermo, Messina e Catania. Percolato dirottato a forza verso la Calabria o altre destinazioni, che potrebbe essere smaltito benissimo in impianti della Sicilia. Invece no. Infatti, questa è una delle leve verso lo smaltimento illegale dei rifiuti o il semplice cambio del codice con il giro bolle e fatture “vuote” senza smaltimento e aspettando che la pioggia faccia il lavoro sporco verso il mare. Evidenze venute fuori in varie inchieste giudiziarie in Sicilia e in Calabria e di cui ha parlato spesse volte il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri.

Ritorna così d’attualità e apre un interrogativo di chi avrebbe deciso qualche anno fa d’interrompere il conferimento, la depurazione e lo smaltimento del percolato e dei rifiuti provenienti dalla molitura delle olive, dei pozzi neri, delle officine meccaniche e tanto altro, nei depuratori della Sicilia, compreso quello della zona industriale. Le industrie e i gestori privati delle discariche smaltiscono solo sulla carta; mancano i controlli e il personale preposto è quasi a zero rispetto ai reati che ogni giorno si consumano contro l’ambiente, la vita umana.

Una siffatta condizione già svelata in alcune inchieste da varie Procure siciliane e calabresi per capire chi è stato a organizzare il sistema di smaltire fuori dalla Sicilia i tanti milioni di metri cubi l’anno di percolato e reflui velenosi trasportato in Calabria e smaltito con tariffe obbligate che produce una montagna di euro con l’esorbitante rialzo fin dalla partenza, attraverso una viziata filiera che conformerebbe il connubio tra mediatori, trasportatori e gli impianti di trattamento in Calabria e in altre regioni oltre lo Stretto. Tematiche arrivate sui tavoli dei magistrati catanesi della Dda dal Noe dei carabinieri che hanno consegnato il frutto di un’indagine-gemella all’operazione “Piramidi” sugli intrecci fra mafia, imprenditoria e pubblica amministrazione nel settore dei rifiuti e i dintorni in tutta la Sicilia.

La Sicilia è prigioniera dei rifiuti, dei depuratori che non depurano e con l’inquinamento fuori controllo. In Sicilia il comparto dei rifiuti in generale è in mano alla mafia. La politica in buona parte è corrotta in connubio con la industrie. L’inquinamento è fuori controllo. La depurazione delle acque si trova in uno stato spaventoso; il 95% degli impianti si trova con le autorizzazioni scadute e la depurazione avviene con il cattivo funzionamento dei siti di smaltimento che non sono a norma.

La vita umana senza alcun valore barattata con il profitto a tutti i costi. Il lavoro diventa più importante della vita in generale, dell’ambiente, degli esseri umani. Rifiuti tossici e nocivi scaricati in mare per risparmiare sui costi di gestione con il risultato di avvelenare ogni cosa, facendo schizzare i livelli d’inquinamento provocati da alcune sostanze, come il mercurio, fino venti mila volte al di sopra dei limiti consentiti dalla legge.

L’inchiesta della Procura di Siracusa conferma come l’operazione denominata, ”No Fly” rimane la sintesi di un comportamento criminale. Indagine iniziata con 19 indagati. L’accusa iniziale era d’inquinamento ambientale in concorso.

Un troncone d’indagine che il procuratore Fabio Scavone a suo tempo decise di chiudere il cerchio sull’inquinamento selvaggio da parte delle industrie, compreso i depuratori che non depurano a dovere e sono l’ultimo stadio in cui avviene la depurazione dei reflui velenosi provenienti dagli stabilimenti del Petrolchimico e fognari di Priolo e Melilli e parte da Siracusa.

Il filone delle discariche e dello smaltimento dei fanghi, rimane un capitolo ancora da chiarire. Le attività investigative coordinate dalla Procura di Siracusa, scaturiscono da una serie di esposti e denunce pervenuti, nel tempo, all’ufficio di Procura, alle Forze di Polizia e ad altri organi a seguito dei quali un collegio di consulenti tecnici nominati dalla Procura accertavano la natura inquinante e molesta, sotto il profilo odorigeno, delle immissioni aeree degli stabilimenti di Versali s.p.a. di Priolo e Sasol s.p.a. di Augusta, e dei depuratori Tas di Priolo Servizi s.c.p.a. di Melilli e IAS s.p.a. di Priolo Gargallo che già a suo tempo furono sottoposti a sequestro.

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