Gebbia: Lasciai l’ufficio del Giudice Falcone con il dubbio di essere uno sbirro animato dal pregiudizio poliziesco e di avere perseguitato un innocente

A pronunciare queste parole – riferendosi alla figura di Silvio Badalamenti – nel corso di un processo nel quale era teste, è stato il tenente colonnello dei carabinieri Nicolò Gebbia, che all’epoca dell’omicidio del Badalamenti era capitano comandante della compagnia di Marsala.

Non un qualsiasi ufficiale dei carabinieri, bensì proprio l’ufficiale che aveva proposto Silvio Badalamenti per una misura di prevenzione.

Nel corso del procedimento, rispondendo alle domande del pubblico ministero, Gebbia disse di ricordare bene la vicenda dell’omicidio di Silvio Badalamenti, precisando che era nipote di don Tano Badalamenti, e che circa un anno prima della sua uccisione era stato tratto in arresto dai carabinieri del Nucleo Operativo di Palermo per associazione a delinquere di stampo mafioso.

In particolare ricordava che quando era stato rimesso in libertà provvisoria, poco prima dell’omicidio, lo aveva proposto per una misura di prevenzione.

Quando Badalamenti venne rimesso in libertà e tornò a Marsala,  l’ufficiale si rese conto della sua esistenza.

Fino a quel momento – ed erano tre anni che Gebbia prestava servizio a Marsala – non si era neppure reso conto dell’esistenza di questo nipote di don Tano Badalamenti.

Visionò dunque il rapporto giudiziario che lo riguardava, per poter meglio argomentare le motivazioni della sua proposta di misura di prevenzione.

Proprio giorni prima dell’omicidio di Silvio Badalamenti – dichiara l’ufficiale nel corso del processo -, fui avvicinato dal suo avvocato, mi pare l’avvocato Pellegrino, mentre con il mio comandante di gruppo, il tenente colonnello Mirone, nel bar davanti al tribunale di Marsala aspettavamo che si facesse l’ora dell’arrivo del procuratore Coci, con il quale dovevamo parlare.

L’avvocato Pellegrino, presente questo mio diretto superiore, mi rivolse una preghiera che apparve quasi, non dico fuor di luogo, ma in qualche maniera mi colpì anche per la sincerità dei suoi accenti, mi disse: ‘Capitano, le posso rivolgere una preghiera? Lei ha proposto per la sorveglianza speciale’ mi pare con l’obbligo di soggiorno, ‘il dottor Silvio Badalamenti’.

Io lo interruppi e gli dissi: ‘Non mi pare il caso di discuterne al bar’, ‘Ma la prego mi lasci finire’ – mi replicò lui – ‘volevo dirle che il dottor Badalamenti è un vero galantuomo, siccome io chiederò nel corso della discussione della misura di prevenzione un supplemento di indagini, le rivolgo questo appello di fronte al suo colonnello, queste ulteriori indagini le esperisca  personalmente e con tutta la sua coscienza, vedrà che non potrà che convenire con me sul fatto che si tratta di un galantuomo, e 48 ore dopo lo uccisero.

Nel corso delle indagini successive, ripeto, indagini che feci solo parallelamente a quella della Polizia di Stato, mi accorsi che la libertà provvisoria era stata concessa a Silvio Badalamenti, dal giudice istruttore dottor Falcone, nonostante il parere contrario del pubblico ministero.

Allora presi un appuntamento con il dottore Falcone perché speravo che mi desse utili spunti investigativi per le indagini.

Lo andai a trovare e gli spiegai quello che era successo, che del resto lui nella sostanza già conosceva perché era un omicidio che aveva destato scalpore. Gli chiesi in qualche modo, sommessamente, contezza di questa divergenza di opinioni fra lui e il pubblico ministero, lui mi rispose che  era una normale dialettica fra due uffici che nulla voleva dire al di là di una divergenza di opinioni, e poi mi disse la stessa cosa che mi aveva detto l’avvocato Pellegrino, che il dott. Badalamenti  era un galantuomo, che aveva la sfortuna di essere nipote di Tano Badalamenti e che nel rimetterlo in libertà lui gli aveva suggerito, una volta che avesse chiarito la sua posizione processuale, di espatriare e di cercare di fare scordare il suo nome, perché solo così avrebbe potuto sfuggire a questa sorta di nemesi storica che ricadeva su tutti i Badalamenti, quando io provai a opporgli il fatto che nel rapporto dei carabinieri si citava oltre a quello che ho già detto, una volontaria latitanza di alcuni mesi cui si era dato il dott. Badalamenti, lui si mise a ridere e mi rispose che in realtà all’epoca il dott. Badalamenti si era rifugiato ospite a casa di un magistrato suo amico di infanzia, proprio perché temeva di essere ucciso solo in quanto nipote di Gaetano Badalamenti. Insomma, io lasciai l’ufficio del giudice Falcone con il dubbio di essere, come dire, uno sbirro animato solo dal pregiudizio poliziesco e di avere perseguitato un innocente”.

Innocente sì, ma colpevole, incolpevolmente, di portare un cognome che sarebbe stato la sua condanna, e che tutt’oggi condanna i suoi familiari a essere individuati come i parenti di don Tano Badalamenti, il boss di Cinisi, non quelli di Silvio Badalamenti, ucciso a 38 anni dalla furia omicida dei corleonesi di Totò Riina che pur di fare terra bruciata attorno ai loro nemici (la vecchia mafia), non esitarono a massacrare i loro amici e parenti, anche quando estranei alla consorteria mafiosa ed agli interessi di “Cosa nostra”.

Dichiarazione del Giudice Falcone

A proposito di un pubblico ministero rispetto la concessione di libertà provvisoria a Silvio Badalamenti, val la pena di ricordare quanto dichiarato da Giovanni Falcone: “Ho scarcerato Silvio Badalamenti ma prima di farlo ne ho parlato con Chinnici, spiegandogli motivi, e lui non ha avuto nulla da obiettare.

Su tale scarcerazione ha espresso parere favorevole anche la Procura”.

Dello “stigma di chiamarsi Badalamenti” avevamo già scritto, compreso il fatto che gli si attribuisce di essere stato il responsabile di una filiale di esattoria dei cugini Salvo, noti mafiosi legati – anche da interessi economici – a Gaetano Badalamenti, e che questo suo rapporto lavorativo non poteva che alimentare dubbi sul rapporto con gli altri parenti, lasciando ipotizzare che andasse al di là del rapporto tra consanguinei.

Una versione smentita dalla figlia, Maria Badalamenti, che ha affermato che il padre lavorava per la Sari, una società di Firenze che era in competizione con la Satris dei Salvo.

Attestazione di servizio di Silvio Badalamenti

Una smentita provata da un’attestazione di servizio dalla quale si evince come Silvio Badalamenti lavorasse per la Sari come collettore di diverse esattorie comunali già a far data dal 1977.

Perché dunque la sentenza di Cassazione riporta che Silvio Badalamenti lavorava per i Salvo?

Interessante a tal proposito il post pubblicato su Facebook dall’ex ispettore della DIA Pippo Giordano, il quale durante i tanti anni di servizio ha lavorato con Borsellino, Falcone, Cassarà e Montana nella lotta alla mafia:

La mia opinione in libertà di pensiero.

Ho letto con interesse l’articolo della Valle dei Templi, dal titolo: ‘Il Badalamenti non riconosciuto. Ecco cosa disse Giovanni Falcone’.

L’articolo ci racconta la tragica vicenda di un uomo, assassinato nel lontano 1983 da Cosa nostra, il cui movente sarebbe ascrivibile a vendetta, per stanare Tano Badalamenti, allora ricercato’ dai corleonesi di Totò Riina.

L’uomo si chiamava Silvio Badalamenti ed era il nipote di Tano e come disse il dottor Giovanni Falcone, non era mafioso e non aveva legami con lo zio Gaetano  Badalamenti.

Premetto, che non mi interessai dell’omicidio di Silvio Badalamenti.

Epperò leggendo gli articoli che lo riguardano sono giunto a una conclusione. Conclusione peraltro corroborata da alcuni pentiti, compreso Buscetta, che appunto collocava Silvio, al di fuori del mondo mafioso.

Pippo Giordano

Del resto, faccio anche una riflessione, sulla scorta della mia pregressa attività, ovvero se Silvio Badalamenti, come taluno sostiene, fosse stato ‘vicino’ ai  Salvo, la sua uccisione non  sarebbe potuta avvenire, proprio per la presunta vicinanza ai cugini Salvo.

E quindi a parer mio è da escludere il movente legato ai cugini Salvo, ma piuttosto maturato  per soddisfare la vendetta per la parentela allo zio Tano Badalamenti. Infatti, non avrebbe avuto senso uccidere un uomo ‘legato’ ai Salvo.

Ed è bene ricordare che i predetti cugini morirono, uno di morte naturale e l’altro assassinato (conosco le minuzie di questo omicidio)  tantissimi anni dopo l’omicidio di Silvio Badalamenti. E quindi escluderei qualsiasi legame coi Salvo.

Altrimenti, non sarebbe stato ucciso nel 1983, ma nel periodo della  morte dei Salvo, atteso la loro perdita di potere in Cosa nostra.

Sono stato testimone di tanti omicidi commessi a Palermo, per far  ‘terra bruciata’. Evito di elencarli per non tediare chi legge.

Concludo dicendo  che la morte  di Silvio Badalamenti, rientri a pieno titolo in questa casistica.

Infine, dobbiamo onorare le parole del dottor Giovanni Falcone a proposito di Silvio Badalamenti.

Penso che nessuno possa permettersi di metterle in discussione”.

“Non avrebbe avuto senso uccidere un uomo ‘legato’ ai Salvo” – scrive Giordano spiegandone le ragioni e ricostruendo il periodo storico.

Un’analisi sulla quale riflettere…

Gian J. Morici

Fonte: lavalledeitempli.net