TOTÒ RIINA RAGGIRATO
Il boss della strategia stragista, che non ha precedenti nella secolare storia di Cosa Nostra, è stato trascinato in quella che si è rivelata la mossa più sconsiderata della mafia da quando la mafia esiste.
L’hanno messo nel sacco, l’hanno raggirato con chissà quali promesse.
Dopo la morte di Borsellino sulle famiglie si è abbattuta una repressione straordinaria.
Prima hanno catturato lui, Riina. Poi è toccata a tutti i capi della Cupola, latitanti che prima non si trovavano mai (che formidabile coincidenza: fantasmi che all’improvviso vengono arrestati uno dopo l’altro nel giro di qualche mese), i loro patrimoni confiscati, le segrete delle carceri speciali, gli ergastoli.
La mafia immersa nella sua tragedia più grande per colpa di “soci” che sono rimasti invisibili.
La regia è altrove e se ne rintracciano indizi fin da prime indagini. Mai un’investigazione ha raccolto in sé tante anomalie e forzature, mai tanti inganni sono riusciti a passare al vaglio di procure della repubblica, corti di assise e corti di assise di appello fino a ricevere il bollo ultimo della Cassazione.
Basta rileggere le veline poliziesche e le carte processuali per individuare nomi, omissioni, imbeccate sospette.
Al “depistaggio più grande della storia giudiziaria italiana” hanno partecipato in tanti, ciascuno ha fatto la sua parte.
I servizi segreti – “Uomini in giacca e cravatta che sembravano non sudare”, hanno riferito i poliziotti testimoni – piombati nell’immediatezza sul luogo della strage.
Il procuratore capo Giovanni Tinebra che affida le indagini a Bruno Contrada, che era il numero tre dei servizi di sicurezza e che sarebbe stato arrestato cinque mesi dopo per concorso in associazione mafiosa.
Gli inquirenti che, proditoriamente, non ascoltano mai Paolo Borsellino nelle settimane che separano Capaci da via D’Amelio.
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