Desiré Vasta, la giovane imprenditrice di Riesi, ‘a testa alta’ contro la mafia e le ingiustizie dell’antimafia

È impossibile fare impresa in Sicilia quando a perseguitarti non è solo la mafia, ma purtroppo anche lo Stato. È quanto è successo, e continua a succedere, in una terra martoriata anche da una burocrazia così miope da non vedere, da non riusicre a distinguere cioè, quando una persona è mafiosa e quando invece è vittima della mafia. È il caso, ad esempio, degli imprenditori Vasta di Riesi, assurto agli onori della cronaca nazionale e descritto in un libro dal titolo ‘A testa alta’.

Oggi il quotidiano Il Riformista pubblica un servizio a firma dell’autrice di quella che è un’accorata e struggente storia narrata dalla giovane imprenditrice, Desiré, figlia di Filippo, anche lui imprenditore, nonché vittima di malagiustizia.

Ha dovuto scontare circa 4 anni di carcere perché ritenuto, ingiustamente, di essere affiliato ad una cosca mafiosa. Salvo poi, dopo un attento, ma lungo e travagliato vaglio giudiziario, essere riconosciuto una vittima della mafia. Adesso sono le sentenze della magistratura a suo favore che parlano per lui. Filippo Vasta ha da sempre subito e denunciato una lunga sequela di attentati, di intimidazioni e di richieste estorsive. Eppure, malgrado questo suo lungo calvario, quando tutto sembrava andare per il meglio, ecco arrivare l’ennesima batosta. La Prefettura di Caltanissetta, sul finire dello scorso anno, negava all’azienda di sua figlia Desiré, l’iscrizione alla cosiddetta White list.

Chi fa impresa sa che senza questa iscrizione che attesta la non permeabilità ad infiltrazioni mafiose, non solo non si può partecipare ai bandi pubblici per l’aggiudicazione di qualsiasi lavoro e servizio, ma nessun committente, anche privato, si fida più di te. In pratica non lavori più, sei costretto a chiudere i battenti. Se le prefetture ti cancellano dalla White list, automaticamente vieni iscritto nella Black list, nella lista nera. In altri termini sei finito! Sembra roba da inquisizione spagnola. Sembra di essere ripiombati ai tempi delle liste di proscrizione dell’antica Roma od all’ostracismo in vigore nelle città stato dell’antica Grecia. A stilare questi elenchi dei buoni e dei cattivi sono dei funzionari delle prefetture e dei magistrati, messi a capo di speciali sezioni dei tribunali, che hanno il compito di adottare le cosiddette ‘misure di prevenzione’ che possono sfociare anche nei sequestri e nelle confische dei beni, dei macchinari, delle attrezzature, dei capannoni, dei conti correnti, dell’intero patrimonio delle aziende. Anche quando i titolari di dette aziende non hanno commesso alcun reato; anche quando sono del tutto  innocenti. Qualcuno non ci crederà, ma è così. Già parlare di misure di prevenzione fa venire i brividi. È un’assurditá giuridica! Non è necessario infatti, per essere cancellato dalla lista delle imprese che possono lavorare, commettere un reato; ma è necessario prevenire la commissione di un ipotetico ed eventuale reato. È come quando ai tempi del fascismo si arrestava e si condannava una persona, non perché aveva commesso chissà quale reato, ma soltanto perché aveva la capacità di delinquere. Ed allora, come oggi, questo arduo compito di punire anche la gente innocente, negandogli la possibilità di lavorare, o addirittura sequestrandogli o confiscandogli l’azienda, è affidato alle narici molto sviluppate di alcuni magistrati e funzionari pubblici, in grado di avvertire l’odore di mafia, al netto dei reati commessi. Purtroppo è così, ed è la legge che consente a determinati soggetti di trasformarsi in dei novelli Torquemada, il famigerato inquisitore spagnolo. Dura lex, sed lex! Ma delle norme del genere cosa hanno a che fare con lo Stato di Diritto e la Giustizia? Poco o nulla! Eppure guai a chi tenta di cambiarle, di modificarle, di riformarle. Subito si viene accusati di voler favorire la mafia o di essere addirittura dei mafiosi. Forse perché tali mostruosità giuridiche sono state utili, e lo sono ancora, a discriminare, a punire, le aziende che non fanno parte di un certo sistema di potere che, in taluni casi, si è rivelato del tutto marcio. Il caso Saguto ed ‘Il sistema Montante‘ ne sono la più evidente dimostrazione.

Grazie ai processi di Caltanissetta, a carico di Antonello Montante, il falso paladino dell’antimafia, abbiamo infatti scoperto a cosa servivano e da chi venivano stilate le ‘White list’ e le ‘Black list’. Così come, grazie al processo in cui è stata condannata la Presidente della Sezione del Tribunale di Palermo per le misure di prevenzione, Silvana Saguto, abbiamo invece scoperto a cosa servivano e servono, assai spesso, i sequestri e le confische dei beni sottratti, almeno così ci hanno abituato a dire, alle mafie. Salvo invece scoprire che assai spesso la mafia, oltre che la corruzione, hanno il volto dello Stato.

Purtroppo al di là dei danni economici provocati in Sicilia, davvero notevoli, al di là delle terribili devastazioni causate da soggetti come Montante e la Saguto, ancora c’è chi continua ad applicare le norme antimafia come se si trattasse di una sorta di vangelo. Si continua ad esercitare quello che sembra un ingiustificato accanimento nei confronti di chi come la famiglia Vasta è solo colpevole di essere vittima, contemporaneamente, sia della mafia che della mala burocrazia al servizio della cosiddetta antimafia. E non contano niente, a quanto pare, per taluni organi periferici dello Stato le ingiustizie che i Vasta hanno fiora subito, le cui ricadute non sono solo di natura economica ma anche umane, come si evince dal passo tratto dal libro di Desiré che di seguito potete leggere…

Il giorno della scarcerazione di mio padre è stato il 24 febbraio 2009. La sua prigionia era durata 1159 giorni e 12 ore. Sembra faccia più impressione dirlo così, non con gli anni o con i mesi, ma numerando i giorni e le ore, perché si comprende meglio lo stillicidio del tempo che passa per un uomo innocente…

A volte penso che si parli sempre delle vittime della mafia, ma esistono pure le vittime della giustizia o almeno di quella cieca e sorda alla realtà o di quella corrotta che purtroppo esiste e non serve a nulla far finta che non sia così. A oggi non ce l’ho nemmeno più con i criminali che hanno minacciato e danneggiato mio padre, perché hanno pagato o stanno pagando e quindi quel capitolo per me è chiuso. Riguardo loro la giustizia ha funzionato. Però poi è come se si fossero intestarditi a punire anche mio padre, non si sa per quale motivo, e di conseguenza anche noi. I danni più grossi alla fine li abbiamo avuti da chi ci doveva tutelare.