DE LUCIA, PROSSIMO PROCURATORE DI PALERMO E LE ARCHIVIAZIONI A CARAMBOLA A MESSINA E PERUGIA

PALAMARA GATE. DAL QUOTIDIANO LA VERITÀ DI IERI: IL RUOLO DI MAURIZIO DE LUCIA, PROSSIMO PROCURATORE DI PALERMO.

9 MAGGIO DI FUOCO
Ma i punti controversi dell’inchiesta non sono terminati. La Verità è in grado di documentare un’altra curiosa coincidenza risalente al 9 maggio 2019. In quel momento, a Perugia, il procuratore di Messina Maurizio De Lucia,
ex pm della Direzione nazionale antimafia, era indagato per rivelazione di segreto e favoreggiamento personale. Ai tempi in cui si trovava in via Giulia aveva incontrato un
emissario di Antonello Montante, l’ex paladino dell’Antimafia condannato dalla Corte di appello di Caltanissetta ad otto anni per corruzione e as￾sociazione per delinquere.
Le intercettazioni dell’«ambasciatore» (un ex poliziotto della Squadra mobile di Palermo) con Montante rivelavano come De Lucia fosse
stato compulsato per ottenere notizie sul procedimento, ma rivelavano anche che il futuro procuratore di Palermo aveva offerto informazioni del tutto generiche su un fascicolo a cui non era applicato. Il fascicolo era stato iscritto sul registro nel luglio 2018
dopo che la Procura di Caltanissetta aveva trasmesso gli atti in Umbria. Certo per un
pm stimato come De Lucia rimanere appeso a una simile accusa poteva essere motivo
di imbarazzo. Ma ecco il cortocircuito.
Tra fine aprile e inizio maggio 2019 la Procura di Perugia ha necessità di interpellare De
Lucia non tanto come indagato, ma nella sua veste di prezioso collaboratore nelle indagini sul giro di presunte mazzette versate dai faccendieri Piero Amara, Giuseppe Calafiore e dal già citato Centofanti per corrompere toghe
come Luca Palamara e Giancarlo Longo. Quest’ultimo il 26 aprile 2019 aveva raccontato alla Miliani di essere stato informato della richiesta cautelare a suo carico da Calafiore. Il quale, a dire di Longo, avrebbe avuto come fonte niente meno che Roberto Pignatone, fratello dell’ex procuratore di Roma, Giuseppe.
Per questo la Miliani aveva chiesto a De Lucia se davvero avesse trasmesso via mail una
bozza della misura proposta nei confronti di Longo alla Procura di Roma. In una risposta «riservata» del 9 maggio De Lucia aveva smentito l’invio a Pignatone «da parte
dello scrivente» di «alcuna bozza della richiesta cautelare in argomento» e, contemporaneamente, aveva spiegato ai colleghi che i sostituti del suo ufficio avevano, però, consegnato brevi manu, durante
una riunione di coordinamento avvenuta a Roma, un cd con la bozza al procuratore
aggiunto capitolino Paolo Ielo. Questa smentita-non smentita deve aver tranquillizzato i pm di Perugia che non ci risulta abbiano compiuto altri approfondimenti investigativi. Al contrario la
Procura di Messina, dopo aver interrogato Calaf iore che aveva smentito la ricostruzione di Longo, ha iscritto quest’ultimo, sino a quel momento ritenuto credibile, per
calunnia. Salvo poi archiviarlo.
Dunque il 9 maggio, il giorno successivo al summit dello Champagne, partiva da Messina una comunicazione che, a giudizio degli inquirenti perugini, restituiva l’onore ai
fratelli Pignatone e metteva in sicurezza tutta l’inchiesta Palamara (che paradossalmente
scaturiva proprio dalle dichiarazioni di Longo, sospettato di calunnia da Messina).
E che cosa succedeva lo stesso giorno? Il procuratore di Perugia De Ficchy (ritornato,
grazie all’intermediazione di Palamara, in ottimi rapporti con Pignatone, dopo un po’ di
maretta) chiedeva l’archiviazione per De Lucia, il quale, nel frattempo, aveva inviato a
Perugia le dichiarazioni contro Palamara, Ferri e il pm romano Stefano Musolino, ma
non quelle riguardanti Roberto Pignatone.
Si tratterà certamente solo di coincidenze cronologiche, ma certamente tra l’8 e il 10
maggio 2019 si sono incastrate una serie di situazioni che hanno indirizzato l’inchiesta
contro Palamara nel senso a tutti noto, ma, in questa sorta di sliding door giudiziaria, in
quelle stesse ore il fascicolo avrebbe potuto prendere tutt’altra strada. Infatti se le Procure di Perugia, Roma e Messina, impegnate in procedimenti collegati, fossero entrate in conflitto la tanta auspicata pulizia a senso unico dentro alla magistratura non sarebbe potuta avvenire e probabilmente l’inchiesta Palamara non avrebbe affondato solo l’ex presidente dell’Anm e le toghe di opposizione che stavano cercando di entrare per la prima volta nella stanza dei bottoni del Sistema.