E Cateno si mangiò Caterina

Dovrebbe essere una sfida senza esclusione di colpi per strappare lo scettro a Renato Schifani. Invece i due sfidanti, Caterina Chinnici e Cateno De Luca, non hanno mai incrociato le spade. Vivono – politicamente – su pianeti diversi. L’uno parla dell’altra provando a stuzzicarla (“Caterina? Un fantasma”), senza tuttavia ricevere la soddisfazione di una risposta, di una miccia da far divampare. La Chinnici sta centellinando le apparizioni in pubblico e i dibattiti televisivi: l’ultima volta s’è vista alla tribuna elettorale organizzata dalla Rai. Cateno De Luca, invece, non sa più cosa inventarsi per apparire: dieci post al giorno su Facebook (quando va male), il tour a tappeto delle province, le dirette mattutine sui social. Due modi diversi di affrontare la politica e la campagna elettorale. Di approcciare coi problemi e con le persone. Di esternare proposte, emozioni e risentimenti.

La Chinnici, che fino alla rottura coi 5 Stelle sembrava poter insidiare il primato del centrodestra, ha iniziato la campagna in ritardo, nonostante le primarie, già a luglio, le avessero consegnato la certezza della guida del campo progressista. “Serve che inizi a fare politica”, era l’invito assai frequente di Claudio Fava, che la esortava a spendere una parola sui disastri del centrodestra e di cinque anni di governo Musumeci. Zero. La figlia del magistrato Rocco, ucciso dalla mafia nell’83, fu chiara fin dagli esordi: “Sarò una candidata anomala, non salirò sul ring della politica”. Non era spocchia – la spocchia di chi si porta dietro un cognome pesante a garanzia del proprio credo – ma una questione caratteriale. Nessuna voglia di polemizzare e di dare pagelle, nonostante fosse più comodo stabilire una linea di demarcazione fra il prima e il dopo, fra il bene e il male. Ha preferito azzerare le polemiche. Ha scelto di riflettere, e anche tanto, prima di accettare la seconda investitura del suo partito all’indomani della dolorosa rinuncia ai grillini (che su molte cose, dalla storia degli impresentabili ai termovalorizzatori, si ritrovavano sulle sue medesime posizioni).

“Non posso più tirarmi indietro”. Così ha deciso di intestarsi una campagna elettorale quasi impossibile. Ma l’ha fatto alle sue condizioni. Con la sua storia e il suo cognome, che ha messo davanti a tutto (e anche sul contrassegno elettorale del Pd, facendo arrabbiare il resto della brigata). Ha fatto rumore restando in silenzio. Come sulla ‘questione morale’, che ha provocato l’accantonamento di un gentiluomo come Giuseppe Lupo (che aveva tutte le carte in regola per candidarsi) e la diaspora nel Pd catanese, con gli addii di Luigi Bosco e Angelo Villari, transitati in Sicilia Vera con De Luca. Chinnici potrebbe pagare il prezzo delle sue (non) scelte, dei suoi silenzi, delle sue impuntature, delle sue gaffe: come inaugurare la campagna elettorale a Villa Filippina, a Palermo, dimenticando nel taschino l’invito per Claudio Fava, l’altra anima di una coalizione sempre più ridimensionata. Più che allargare il campo – come aveva promesso nella campagna per le primarie, quando cercò di tirare dentro pure Raffaele Lombardo, attirandosi un mare di polemiche – probabilmente ha provveduto a restringerlo. Via i Cinque Stelle, non le è rimasto granché: un pezzo di Pd non entusiasta, +Europa di Ferrandelli, un movimento Centopassi sempre più ai margini, che non ha avuto il piacere di organizzare un appuntamento elettorale insieme.

Sapendo di non poter pescare granché a sinistra, tanto meno al centro, Chinnici punta alla fetta più grossa dell’elettorato siciliano: gli indecisi. “Ci sono ancora 15 giorni di campagna elettorale e credo ci sia la possibilità di cambiare le attuali previsioni – diceva qualche giorno fa, commentando gli ultimi sondaggi -. La mia idea è di convincere le persone incontrandole, in incontri allargati o più ristretti, cercando di discutere insieme del programma, che è ancora una sorta di work progress”. Ma la Chinnici in giro continua a vedersi pochino. A differenza di Cateno De Luca, che sta battendo la Sicilia in lungo e in largo. In molte province ha già tenuto il comizio di ringraziamento: negli ultimi giorni farà la spola fra Catania, Palermo e la sua Messina, per toccare tutti i 391 comuni dell’Isola. Con un approccio diverso: recitando la parte della vittima, ma sempre all’attacco. Sui temi e sui rivali (che contano più dei temi).

Dopo aver esaurito la spinta no-Nello, ha dovuto rivolgere le sue attenzioni al “puparo” (è così che lo definisce) Renato Schifani. Quello che sfugge ai confronti, che sa poco di Sicilia e ancor meno di amministrazione, che è implicato in un fastidioso processo. Anche nel duello a distanza col leader del centrodestra, però, finisce ignorato e non ottiene granché in termini di engagement. Così a stimolare l’ex sindaco di Messina sono i soliti noti: a partire da Ruggero Razza, che ha organizzato un evento sulla sanità, a Catania, per domani pomeriggio. Con tutte le parvenze elettorali del caso. De Luca è una scheggia impazzita: che alterna la polemica ai contenuti, gli attacchi alle proposte. Un carattere forte, a tratti indomabile, che spesso non riesce a controllare (e se ne duole). Ma è quando scade di livello che guadagna consenso e approvazione. Tra chi – forse – non avrebbe più alcuna voglia di recarsi alle urne. E invece lo farà, perché si ritrova nella verve polemica dell’ex sindaco di Messina; nell’esercizio smodato del torpiloquio; nell’attacco ai vizi della banda bassotti politica; nei propositi rivoluzionari, che prima pervadevano l’universo dei Cinque Stelle. E oggi non trovano riscontro in alcun partito, tranne che nel colore e nel folclore di Scateno: un (sopran)nome, una garanzia.

A differenza della Chinnici, ha iniziato la campagna elettorale prestissimo, oltre un anno fa. Il connubio fra Politiche e Regionali, per effetto del voto d’opinione, rischiava di danneggiarlo. Così ha presentato le liste pure alle nazionali, con uno spreco di energie e di risorse indicibile. Ma ormai De Luca è un uomo in missione. Si sveglia e va a dormire sui social, incontra lavoratori e imprese, scatta foto, vive di polemica (come quella col giornalista Pipitone), celebra comizi. Lo fa all’aperto, sotto l’occhio vigile degli smartphone, anziché rinchiudersi nei cinema o nei teatri. “Non abbiamo timore se ci sono 50 persone o 500”. Gli ultimi sondaggi – da venerdì non è più possibile pubblicarne – lo danno a una manciata di punti da Schifani. Gli rimangono dieci giorni per tentare l’aggancio o per rivelarsi, al contrario, l’ennesima meteora. La Sicilia potrà affidarsi alla pancia, e scegliere di votare in massa per lui; o alla testa, scegliendo il ‘già visto e già sentito’ perché lo trova più rassicurante. Quella di Scateno è comunque un’esperienza da raccontare. Come quella della Chinnici, d’altronde. Solo con qualche scossa in più.

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