Mario Mori sulle “motivazioni trattativa”

Il generale dei Carabinieri del Ros, Mario Mori, interviene sulle motivazioni della sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo che lo ha assolto al processo “trattativa”. I dettagli.

Il generale dei Carabinieri del Ros, Mario Mori, a seguito della pubblicazione delle motivazioni della sentenza emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo che lo ha assolto al processo “Trattativa” insieme ai colleghi Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, ha diffuso una lettera alla stampa. E tra l’altro ha affermato: “Bisogna valutare quanto accaduto nel contesto storico dell’epoca: le stragi contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e poi prima tante morti eccellenti, da Piersanti Mattarella, Cesare Terranova, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Pio La Torre e tanti altri ancora. E bisogna considerare attentamente anche l’impatto di tali avvenimenti sulla pubblica opinione che, davanti alle tragiche scene di Capaci e via D’Amelio, constatava la drammatica impotenza dello Stato nel combattere il fenomeno mafioso, mai giunto a osare tanto nella storia italiana, e pretendeva una reazione adeguata da parte dell’ambito istituzionale. Ciò provocò una fase d’incertezza e di vuoto estremamente pericolosa. E trascorse del tempo prima che lo Stato nella sua interezza si riprendesse dal trauma provocato dagli attentati di Cosa Nostra. Nel frattempo pochi, tra quelli rimasti sul terreno, tentavano di indirizzare le proprie attività. Come responsabile delle operazioni di un reparto operativo quale il Ros, forte delle mie esperienze passate, applicai immediatamente lo schema già definito contro il terrorismo, proponendomi, come preciso obiettivo, la cattura di elementi del vertice mafioso. Per realizzare questo disegno spiegai anche in modo chiaro ai magistrati interessati, agli esponenti istituzionali competenti e ai miei superiori, quali erano gli obiettivi prefissati e le procedure attraverso le quali intendevo raggiungerli. Le modalità esecutive che volevo applicare erano peraltro note in ambito nazionale, perché conosciute ed apprezzate come proprie del così detto ‘Nucleo Dalla Chiesa’, che aveva operato con successo nella lotta al terrorismo. Non servivano mano libera o autorizzazioni speciali. Attuavo una linea investigativa adeguata alla grave situazione della sicurezza pubblica, ma pienamente inquadrata nelle norme previste dall’ordinamento legislativo. Prova ne sia che questa tecnica, messa in atto in più parti del territorio nazionale, non ha mai dato luogo altrove a polemiche. Ed è stata sempre giudicata rispettosa delle disposizioni vigenti. Il contatto con Vito Ciancimino può essere considerato (come lo definiscono i giudici) ‘improvvido’ oggi, quando lo si giudica a 30 anni dai fatti. Penso che non lo fosse nel 1992 quando lo Stato appariva in ginocchio e non giungevano, anche dai magistrati requirenti, indirizzi o iniziative da assumere. Vi era anzi chi dichiarava, come il sostituto procuratore Vittorio Teresi: ‘Dobbiamo dare un segnale fortissimo. La giurisdizione penale a Palermo è finita. Dobbiamo chiudere il Tribunale per cinque anni. Lo riapriremo solo quando gli altri organi dello Stato faranno il loro dovere fino in fondo. Prendete i dieci superlatitanti, sorvegliate le zone ad alto rischio. E poi ne riparleremo. Volevo andare via, ma dopo Falcone sono rimasto, ho detto a Borsellino: metto la mia vita nelle tue mani, ma battiamo la mafia. Adesso basta, mi accorgo che non serve a nulla combattere. Qui si muore per nulla”. A chi legge o ascolta, queste parole suonano come una resa di fronte a Cosa Nostra, anche perché contestualmente c’era chi, come il dottor Antonino Caponnetto, dopo la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sosteneva che ‘era tutto finito’. Il contatto con la fonte Ciancimino era un atto del tutto consentito alla polizia giudiziaria e poteva essere sviluppato in tutta riservatezza. Dissento anche sul fatto che il Ros non rispettò le procedure, se ciò fosse stato evidente penso proprio che la Procura della Repubblica di Palermo lo avrebbe sottolineato con atti documentati, ma ciò non avvenne”.

teleacras angelo ruoppolo