“Messina Denaro, parla, non ti manca molto”

L’appello a Messina Denaro della responsabile legale della clinica “La Maddalena”: “Parla, non ti manca molto”. Indagati i figli di Luppino. Il racconto del traslocatore da un covo all’altro.

La responsabile legale della clinica “La Maddalena” a Palermo, dove per due anni Matteo Messina Denaro è stato curato per un tumore al colon con metastasi al fegato, Alessia Randazzo, ha scritto un appello sui social, rivolgendosi al boss. E si legge: “Al signor Andrea Bonafede avrei da dire una sola cosa: se, facendoti prestare una vita che non meriti, nel cammino della malattia ti fossi specchiato in ognuno dei tuoi errori, adesso parla. Fallo ora, che sai che non manca molto al momento in cui quel bambino (Giuseppe Di Matteo) e tutti gli altri te li ritroverai davanti”. Nel frattempo la Procura della Repubblica di Palermo, capitanata dal capo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, ha iscritto altri due indagati nell’apposito registro. Si tratta di Vincenzo e Antonio Luppino, e sono i figli di Giovanni Luppino, l’agricoltore e commerciante di olive, autista di Matteo Messina Denaro arrestato con lui alla clinica “La Maddalena” lunedì 16 gennaio, e già detenuto in carcere. I Carabinieri hanno perquisito le abitazioni dei due Luppino, e nell’appartamento di Vincenzo è stata trovata una sorta di stanza nascosta che stata perquisita. Esito: vuota. Sabato scorso in un cortile recintato di proprietà dei Luppino la Polizia ha trovato l’Alfa Romeo “Giulietta” nera di Matteo Messina Denaro. Ancora nel frattempo si è alla ricerca di tutto ciò che è ruotato intorno all’ex capo di Cosa Nostra, compresa una donna la cui presenza, non occasionale ma assidua, sarebbe testimoniata dagli abiti ed effetti personali femminili trovati nel covo di vicolo San Vito. Si ipotizza che si tratti di un’amante, che avrebbe frequentato anche il covo precedente, ovvero l’abitazione in via San Giovanni 260, poi traslocata in vicolo San Vito 4. L’impresa che ha effettuato il trasloco, la “Casa nuova”, è stata la stella cometa che ha consentito ai Re Magi dei Carabinieri di trovare la grotta di Betlemme, ossia l’ultimo covo della trentennale latitanza di Messina Denaro. Il titolare dell’impresa, Gianni Jihed, 33 anni, di origini tunisine ma nato a Mazara del Vallo, ha spiegato di essere stato contattato il 24 maggio del 2022 al telefono da un cliente, che adesso comprende essere stato Messina Denaro. E racconta: “Non fece nomi, aveva una voce molto rilassata, disse che aveva bisogno di un trasloco a Campobello e mi mandò le foto dei mobili su Whatsapp con l’indirizzo di via San Giovanni 260. Un letto, una lavatrice, il frigo con il famoso magnete ‘Il padrino sono io’ e due armadi completamente vuoti. Roba economica, tanto che gli feci un prezzo basso: 500 euro. Pagò in contanti alla consegna, mi disse che per la fattura mi avrebbe mandato poi i documenti e il codice fiscale che in quel momento non aveva con sé. Fissammo come appuntamento per il trasloco la mattina del 4 giugno alle ore 7:30. Lui disse che i mobili si trovavano al primo piano della casa di via San Giovanni, perciò insieme al camion mandai anche il rimorchio con la scala aerea. Ma non andai io personalmente, per quella consegna incaricai due miei dipendenti e altri due li chiesi in prestito a un’altra impresa. Tutti ragazzi trentenni come me, che non l’hanno riconosciuto”. Poi Gianni Jihed ricorda un particolare: “Il 4 giugno ero in ritardo. Alle 7 gli mandai un Whatsapp per avvisarlo che la squadra di operai sarebbe arrivata circa 20 minuti più tardi. Lui mi inviò allora un messaggio vocale che ancora conservo sul telefonino e a risentirlo oggi mi fa davvero accapponare la pelle. Stavolta la sua voce era molto infastidita, il tono sempre calmo ma completamente diverso. Disse: ‘L’importante è che non tardate ancora. Vi stiamo aspettando fuori’. Parlò al plurale, ma all’appuntamento era solo e fu anche gentile. Uno dei due miei dipendenti, Mohamed, tunisino, mi ha detto che, una volta entrati a casa in via San Giovanni, Messina Denaro tornò subito affabile e fece i complimenti ai quattro ragazzi: ‘Lavorate bene’ ha detto. Poi ha offerto loro dell’acqua e il caffè. Quando è stato scoperto il covo di vicolo San Vito, sono stato rimproverato dal padre di uno degli operai che ha partecipato al trasloco. Mi ha detto: ‘Ma che hai mandato mio figlio a fare un lavoro per Matteo Messina Denaro?’. Io non ho capito più niente. Ho chiamato un mio amico avvocato, Antonio Mariano Consentino, per chiedergli consiglio, e lui mi ha portato subito alla Polizia che così ha trovato sul mio cellulare anche l’indirizzo del covo di via San Giovanni”.

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