La lotta alla mafia delle chiacchiere e quella per ricostruire un sistema economico dove il lavoro è un diritto

Per contrastare i sistemi criminali non servono solo buone intenzioni, antimafia da salotto, teorie giornalistiche e sentenze sommarie. Serve essere in primo luogo cittadini protagonisti di una lotta quotidiana verso ogni forma di sopraffazione e condizionamento. Alla base di ogni sviluppo sociale rimane il lavoro.

Lo dice anche il compagno CGIL , Landini. Il lavoro non ha colore politico. Il lavoro è al centro di ogni possibile sviluppo

La mafia e la politica hanno , nel sud Italia , sempre fatto leva sul bisogno di  lavoro e il “pane per i picciriddi”, per ottenere consenso. “Cu ti runa a manciari chiamalu patri” dicevano gli anziani

Questa è la vera questione. La mafia, la borghesia mafiosa e la politica, hanno sempre controllato il lavoro e quel poco di economia di mercato che insiste in certe zone del sud.  Questi fetenti hanno sempre saputo bene il significato del lavoro per avere consenso. Anche l’antimafia sul tema del lavoro ha fallito. Caso Saguto e Montante docet.

Chi scrive di mafia spesso trascura questo aspetto. A parole tutto è più facile. Se non cambia la condizione economica è difficile debellare la mafio-politica

Chi è mantenuto dai genitori , vive di stipendio pubblico (pusticeddu) o non ha famiglia da mantenere  e non sa minimamente cosa significa, pagare bollette, mutuo e figli da mantenere, ha più facilità di parlare senza responsabilità del vivere quotidiano. Insomma a chiacchiere tutto è possibile.  Sbarcare il lunario è difficile . Questo aspetto non è mai sfuggito all’imprenditoria mafiosa e politicizzata. Per combattere il sistema mafioso bisogna fare i conti con la realtà. Quella realtà che è fatta di persone che per trovare lavoro o vanno via o devono spesso piegarsi ad un sistema barbaro.

A Castelvetrano, lo sanno pure i topi, il lavoro è stato oggetto di ricatto per decenni. Tranne i raccomandati, molti dei quali assunti nella Prima Repubblica dentro il comune, per trovare un posto, dovevi avere amici, altrimenti, se non volevi “leccare”, ti aprivi una partita iva. Il boss Messina Denaro e suoi amici veri, hanno sempre messo le mani su questo proficuo mercato del consenso. Ancora oggi, stretti parenti della famiglia del boss lavorano in diverse attività presenti nel territorio. Casualità? Ci crediamo poco. Si parla della maestra di scuola materna che di certo, dopo quanto appreso, non poteva rimanere in quella struttura: Doveva Lei stessa ammettere le sue responsabilità e fare un passo indietro. Purtroppo, in questa direzione, troppo poco si parla di chi ha favorito le assunzioni di parenti e stretti amici del boss negli ultimi 10 anni in varie attività locali. Di Grigoli, che era costretto ad assumere amici e parenti del boss si sa molto, anche attraverso il processo di Marsala ma del lavoro controllato dalla mafia si sa pochissimo.

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Sebbene sembra che in questi ultimi anni la lotta alle mafie si sia accentuata o quantomeno sia stata relegata solo all’ambito, seppur fondamentale, giudiziario, è giusto anche rilevare una serie di buone pratiche di cittadinanza nel quotidiano che si sono sviluppate in questo periodo e che andrebbero moltiplicate.

Sappiamo quanto alle organizzazioni criminali giovi il disimpegno sistemico dei cittadini nella vita pubblica o il sostegno interessato per il raggiungimento dei propri scopi personali, aziendali e commerciali. Negare il consenso alle mafie significa mettere in campo una serie di allarmi per riconoscere ciò che cambia nei territori in cui viviamo, nelle cose che facciamo tutti i giorni.

Non servono coraggiosi eroi ma semplicemente dei cittadini che non siano costretti a scegliere con chi stare per campare. Non si possono scaricare tutte le colpe a cittadini che vivono in zone dove lo Stato è rimasto assente e spesso ambiguo. Non basta indignarsi. Bisogna sporcarsi le mani e lavorare per costruire una economia libera da condizionamenti e dove il lavoro non è un favore ma un diritto

Ass. Verità e Giustizia