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IERI COME OGGI, TURPE E INCANTATA LA SICILIA DI PROSERPINA

Testo foto e filmato di Diego Romeo

Il regista Daniele Salvo e lo scrittore Luigi di Rajmoautori di questo “rapimento” di Proserpina in scena al Teatro dell’Efebo, mettono il dito nella piaga in una Sicilia bella e dannata sotto lo shock di una siccità sempre annunciata e mai risolta. “Benedetti signori- sembrano dire Salvo e Di Rajmo- sta qui l’origine dei mali, come non avete previsto i danni che avrebbe fatto il Plutone (oggi i nuovi Plutoni)uscito dalle sue fogne infernali predatore della virginea Proserpina figlia di Cerere, la dea delle messi  che si sarebbe vendicata con siccità e carestie”? E dire che la desertificazione sicula era stata prevista scientificamente nel 2005 in un convegno agrigentino. Sempre che lo scrittore nostrano reo confesso di non aver mai letto un libro, dia la colpa ai detrattori sociali. Salvo e Di Rajmo insistono e affondano lo stiletto allorchè il primo nelle sue note di regia ricorda “i meravigliosi campi di Sicilia dove per voce di due antichi rapsodi si sviluppa una storia tesissima e appassionante densa di colpi di scena, mentre Di Rajmo impenitente romantico, parla di “ridenti campi di Sicilia” dove la mezzana Venere fa incontrare Plutone con Proserpina sulle rive del lago Pergusa oggi rinsecchito. Un colpo di fulmine che costrinse Cerere alla vendetta siglando il nostro destino climatico .  Non contenti i due “tragediatori” nella messinscena ci fanno sentire il gorgoglio delle acque lacustri e poi ricorrendo a un repertorio emozionale di suoni e rumori che riecheggiano quei film marveliani pazzescamente digitalizzati. Presentato l’anno scorso come “Il ratto di Proserpina” (Pagliai- Gassman) al teatro di Giunone, quest’anno la produzione è passata alla provincia regionale come anche “Kokalos” e “Icaro” prossimamente in scena.  Una produzione ( pagatacon soldi pubblici) soprattutto improntata a un “Mito” che fa fatica a insegnare qualcosa di democratico a governatori refrattari alla lezione di Creonte. Un dilemma: insistere con questi spettacoli o auspicare che il colto e inclito pubblico selezioni meglio i suoi governanti? Se il teatro è “vita” dovrebbe pur concludere qualcosa. O no?