L’insigne avvocato Mauro Mellini, già parlamentare, leader politico nazionale e membro del CSM: ‘Si apre un Caso Petrotto nel caso Montante. STORIA DI UNA “CONDANNA ALLA MORTE CIVILE” DELLA MAFIA ANTIMAFIOSA DI SICINDUSTRIA

STORIA DI UNA “CONDANNA ALLA MORTE CIVILE”

DELLA MAFIA ANTIMAFIOSA DI SICINDUSTRIA

C’è mafia e mafia. Si è sempre parlato di un mitico “Terzo Livello”, della Supermafia.

Cioè si è parlato del “Terzo Livello” che non c’è.

Di quello che c’era (e c’è) non se ne parlava o pochissimo se ne parla se non a vanvera. Venuti i nodi al pettine, accertato che mafiosi erano, si stenta a ricordare ed a far ricordare a chi di ragione che quei signori, la crème della Confindustria in Sicilia (Sicindustria) erano gli esponenti, gli esempi dell’antimafia. Avevano condannato all’ostracismo quegli imprenditori che “pagavano il pizzo”, le vittime di estorsioni, cui avrebbero dovuto piuttosto tendere una mano fraterna. Erano “Sicindustria antipizzo”. Il pizzo alla mafia tradizionale, il pizzo tradizionale, ché, invece, poi, forme moderne di “pizzi” ben più corposi correvano e si intrecciavano tra di loro per i loro affari, per il loro monopolio di servizi pubblici.

Parlo, ovviamente, di quello che si chiama caso Montante, l’ex presidente di Sicindustria arrestato per aver creato una rete di corruzione e di reciproci favori e vassallaggi e di “difesa” da sguardi indiscreti a protezione dei loro affari. Affarosissimi. Ma parlare di caso Montante è troppo poco. Se non si parla di caso Catanzaro (il suo successore) alla testa di Sicindustria, l’uomo “della monnezza”. E di tutta, più o meno, Sincindustria.

Antimafiosa e, come oggi appare finalmente dagli atti dell’inchiesta giudiziaria di Caltanissetta, mafiosa, in realtà, nel senso pieno della parola.

Ma c’è un caso, una serie di episodi della storia del potere mafioso di Montante, che voglio ricordare. Perché non devono essere dimenticati da nessuno ed è esso stesso “un caso” tale da consentire un parallelismo clamoroso con un’altra vicenda, un’altra storia di una delle icone dell’Antimafia tradizionale.

Anche la Mafia dell’Antimafia e, quindi, la mafia del “Terzo Livello”, la mafia di Sicindustria, conosceva (speriamo che sia giusto usare il verbo al passato) la “condanna a morte”.

Certo, non a lupara, con le bombe ed i mitra.

Ma anche non immaginaria, né provata solo da una frase, da un’imprecazione di un ergastolano in gabbia (al “41 bis”).

La “condanna” decretata da Montante nei confronti di Salvatore Petrotto, indomito ex Sindaco (cacciato con uno sciagurato provvedimento antimafia del Ministro Alfano di scioglimento dell’Amministrazione Comunale) di Racalmuto, il paese di Leonardo Sciascia. La “condanna” è oggi provata con tanto di “mandato” e particolari dell’esecuzione, fornitura degli strumenti letali, persone nel ruolo di sicario, compenso ad essi pagato.

“Condanna” alla morte civile, all’emarginazione, allo sputtanamento a mezzo stampa.

Con le accuse più varie ed infamanti.

Perché Petrotto era veramente “andato troppo oltre” nel suo programma di raccolta differenziata dei rifiuti, monopolio, o quasi, del vice di Montante, Catanzaro, il patron di ogni pubblica iniziativa di Siculiana, Agrigento e dintorni, l’uomo della supergalattica, pestifera discarica di Siculiana-Monteallegro.

Petrotto ha resistito oltre ogni limite di capacità umana ad una persescuzione organizzata da Montante (e Sicindustria) nei suoi confronti. Una persecuzione cui la magistratura Agrigentina ha, con la sua lunga inerzia e la sua allarmante sordità, dato un valido contributo.

Salvatore Petrotto da anni andava scrivendo, proclamando, verità oggi finalmente “scoperte” sulla banda dei “monnezzari”. Era andato a Roma a deporre avanti alla Commissione Parlamentare di indagine.

Non mancava di segnalare misteriosi e sistematici incendi di stabilimenti per la raccolta differenziata delle immondizie.

E raccoglieva querele, che magistrati e magistrate di Agrigento non disdegnavano di mandare avanti. Così come sembrava che fossero sordi e ciechi di fronte alle molteplici, intrecciate malefatte, di tutto il sistema dei servizi relativi a rifiuti solidi urbani, fognature ed impianti idrici denunziati da Petrotto.

La rete, creata da Montante a protezione del monopolio mafioso locale (quello vero, importante) funzionava benissimo.

Petrotto è stato “condannato a morte” per “fortuna” alla morte civile, da quella mafia.

Non ha avuto una tifoseria cretina ed impudente che lo esaltasse come “eroe” di una resistenza solitaria e tenace. Non è stato proclamato “cittadino onorario”, nemmeno di qualche comune vicino a Racalmuto. Non ha fatto carriera con la sua solitaria, coraggiosa, documentata, annosa battaglia contro la Supermafia dei “monnezzari”. Non è un profittatore.

E’ andato nuovamente “troppo oltre” in un mondo di leccapiedi, di voltagabbana, di pennivendoli, di gente sul libro paga dei manigoldi, non ha fruito della fortuna degli eroi immaginari.

Credo che se Leonardo Sciascia fosse vivo, avrebbe scritto qualcuno sull’ex Sindaco del suo paese. Che è l’opposto di certi profittatori delle battaglie vuote e false alla moda.

Noi prendiamo atto con soddisfazione di questo punto fermo che oggi gli eventi preoccupanti di Caltanissetta pongono nella vicenda della strenue battaglia di Salvatore Petrotto dopo che la magistratura di Agrigento per tanti anni sembrava decisa a non vedere e ad impedire che altri vedessero.

Si apre un Caso Petrotto nel caso Montante.

Auguri a Salvatore Petrotto. Ce ne fossero tanti come lui.

Mauro Mellini

18.06.2018