Quando cambia il direttore

Cosa mi resta di quell’esperienza? Del giornale diretto da Paride, dico. Beh, forse è stato l’unico momento in cui mi sono sentito davvero libero di dire quello che pensavo e, soprattutto, di scrivere tutto quello che riuscivo a trovare. Ci siamo battuti per la verità sul delitto Fortugno, il vice presidente del Consiglio regionale ucciso durante le primarie del Pd. Grazie a una nostra inchiesta l’Asl di Locri fu sciolta per infiltrazioni mafiose. Ok, anche il nostro editore aveva a che fare con la Sanità — possiede diverse cliniche private — ma non ci siamo mai posti il problema e se c’era da fare il suo nome si scriveva senza troppi giri di parole. A già, il suo nome: Pietro, si chiama, detto “Pierino”. Io adesso lo odio con tutte le mie forze ma credetemi, all’epoca, quando “Calabria Ora” arrivò in edicola, credevo di toccare il cielo con un dito. Peccato che sia finita in un altro modo.
Il giorno che Paride andò via qualcosa nel nostro giornale si spezzò. Per sempre. Anche se al suo posto Pierino chiamò un giornalista esperto, uno di quelli da cui puoi imparare tantissimo se solo riesci a entrare nelle sue grazie. Io, per come sono fatto, non ci sono riuscito. Ma questa non è una notizia.
Paolo per tutta la vita si è occupato di giudiziaria. Amico di tanti magistrati, nemico di altri, legatissimo a un pezzo di politica che qui in Calabria conta davvero. Destra, sinistra, centro: dalle mie parti, come dice una mia collega, sono solo entità geografiche. Paolo a certe cose non ha mai dato troppa importanza, io sì. Forse anche per questo non ci siamo mai presi. E insomma, quando c’è stato da scegliere il nuovo gruppo dirigente, io sono stato simpaticamente scartato. Ho continuato a seguire i miei processi in tribunale, mi sono scritto le mie cose, più di una volta ho aperto il giornale con i miei pezzi ma di promozioni e quant’altro non se ne doveva parlare.
Dalla mia scrivania in fondo alla stanza — il sottoscala lo chiamo io — ho provato a ritagliarmi uno spazio di libertà, una riserva indiana alla quale solo in pochi erano ammessi: un paio di colleghi con i quali ubriacarsi la sera, poche e fidate fonti, qualche capo più illuminato disposto a immolarsi per difendere uno come me, spesso indifendibile, in una terra nella quale calare la testa è un requisito imprescindibile per evitare guai e conquistarsi uno straccio di stipendio a fine mese.
Col direttore — quello nuovo, intendo — ho avuto un paio di scontri quasi subito. Paolo è fatto così: o lo “ami”, e dunque lo assecondi in tutto, gli riconosci un ruolo da stella cometa dell’informazione (e possibilmente anche della tua vita), oppure vai a ingrandire la lista dei cattivi, quelli che per lui contano poco più di niente. Io in quella lista ci sono finito quasi subito.
Mi ricordo che una volta gli portai una notizia bomba per una città come Cosenza: scoprii che i capi di un partito, l’Udc, che appoggiavano ufficialmente il candidato di sinistra alle Regionali, sotto sotto flirtavano con il leader del centrodestra, il superfavorito di quelle elezioni. Insomma, si spaccava la coalizione a poche settimane dal voto e non mi sembrava una cosa di poco conto. Vabbè, per farla breve, mi smontò la notizia, mi fece capire che tirare fuori questa storia non era conveniente, almeno in quel momento.
Non la presi bene, alzai pure la voce. Diciamo che il già esile rapporto tra noi si è interrotto drasticamente.
Per carità, Paolo e la sua squadra di fedelissimi piazzati alla guida di tutti i settori sono rimasti con noi per diverso tempo, in linea di massima mi hanno fatto lavorare in libertà, tranne quando c’era di mezzo qualche big della politica o qualche vicenda alla quale l’editore poteva essere interessato. Che poi è la normalità in qualsiasi giornale, mica c’è da stupirsi. Solo che io ho un carattere di merda, ogni qual volta mi mettevano i bastoni tra le ruote lo dicevo a voce alta, magari prendevo pure per il culo il caposervizio di turno. Diciamolo, anch’io sono uno stronzo mica da ridere. Ma ho 40 anni, quasi. E a 40 anni ormai non cambio più.
(2. continua)

 

fonte http://mafie.blogautore.repubblica.it/