Gaspare, un altro innocente

Quella di Gaspare Palmeri è una storia comune a molti: un innocente ucciso dalla violenza mafiosa senza pietà e soprattutto senza motivo. Era nel posto sbagliato al momento sbagliato? In realtà sono sempre i mafiosi ad essere nel posto sbagliato.
Era il 18 giugno 1991, e ad essere ucciso dai colpi di tre pistole calibro 38 un operaio della forestale con la passione per il calcio. Da Ficuzza stava rientrando nella sua città, Castellammare del Golfo, quando il fuoco mafioso uccise lui e gli altri colleghi. Tra loro, come riveleranno diversi anni dopo alcuni collaboratori di giustizia, caddero due innocenti: Gaspare Palmeri e Stefano Siragusa. Per anni Gaspare è stato “etichettato”, la sua famiglia isolata. Marchiati a fuoco dal dubbio di essere vicini ad ambienti mafiosi. La vedova e i figli Giovanni e Filippo però non si sono mai arresi, hanno ottenuto verità e giustizia soltanto nel 2003, quando la Corte di Assise di Palermo ha stabilito l’innocenza di tre dei presenti, le due vittime e l’unico sopravvissuto, Antonino Mercadante. Oggi l’eredità di Gaspare cammina sulle gambe dei nipoti e dei suoi figli che incontrano i ragazzi delle scuole da nord a sud. A Gaspare Palmeri nel 2017 il Comune di Castellammare del Golfo ha intitolato una via.
(Emanuel Butticè)

“Ciao a tutti,

Mi chiamo Gaspare Palmeri, ho 61 anni e vivo a Castellammare del Golfo in provincia di Trapani.
Faccio l’agente tecnico della forestale alle dipendenze della Regione Siciliana. Sono sposato con Anna ed ho due figli Filippo e Giovanni. Sono una persona normale, che al mattino si alza presto per andare al lavoro, come tanti siciliani cerco onestamente di portare a casa il pane per mantenere la mia famiglia.
Il 18 giugno 1991, con un collega di Castellammare partiamo a bordo della mia Fiat 127 per andare a Ficuzza, vicino a Corleone, per assistere alla partita di calcetto nella quale gioca la squadra di cui è presidente un dirigente del Corpo Forestale di Trapani.Il programma è di trascorrere qualche ora in compagnia e di divertirsi guardando la partita per poi tornare a casa.
Ma questo non è un giorno come tanti.
Raggiungiamo Alcamo, dove nella piazza principale abbiamo appuntamento con altri due colleghi, Siragusa Stefano e Parisi Domenico, quest’ultimo lo conosco solo di vista, in quanto non lavoriamo insieme. Saliamo sulla Golf nuova di Siragusa e ci dirigiamo verso Ficuzza dove ci attende la partita di calcetto.Dopo la partita ci fermiamo in un bar di Ficuzza a festeggiare la vittoria della squadra locale e la fine del campionato e poi, verso le 18 ripartiamo alla volta di casa, percorrendo lo stesso tragitto fatto all’andata.Ad un certo punto, dopo l’incrocio con la strada che porta al Santuario della Madonna di Tagliavia, l’auto rallenta perché c’è del fuoco ai bordi della carreggiata e un attimo dopo sento il crepitio di colpi di arma da fuoco, una mitraglietta e delle pistole, non capisco…che mi colpiscono…e poi più nulla.Siamo state vittime di un agguato in piena regola.Degli occupanti di quell’auto solo una persona miracolosamente si salva, protetta dal corpo di un collega che gli ha fatto da scudo e che, appena tutto finisce riesce, con grande difficoltà a raggiungere il vicino ospedale di Corleone per farsi soccorrere e dare l’allarme.Io non c’è l’ho fatta. Ero seduto sul sedile posteriore della Golf e sono morto senza neanche rendermene conto, “attinto da diversi colpi concentrati nell’emitorace anteriore destro ed alla regione scapolare sinistra e al braccio sinistro”, come scriverà poi, durante il processo, il medico legale.Non so perché è accaduto.
Le indagini e il processo, apertosi nel 2003, grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori, hanno chiarito che la ragione del triplice omicidio era colpire uno degli occupanti dell’auto, imparentato con il clan Greco che si era contrapposto ai Corleonesi di Totò Riina e che le altre due vittime “Il Siragusa e il Palmeri erano cadute nell’agguato sol perché quel giorno si trovavano nella stessa auto in cui viaggiava Parisi Domenico, obiettivo dei killer”.
Per l’omicidio, l’11 aprile del 2003 la 1° sezione della Corte d’Assise di Palermo ha condannato Agrigento Giuseppe, Benenati Simone, Madonia Salvatore e Riina Salvatore alla pena dell’ergastolo e Brusca Giovanni, divenuto collaboratore di giustizia, alla pena di 14 anni di reclusione.
Chi ha detto che i mafiosi si ammazzano tra di loro e che la cosa, a noi persone normali, non ci riguarda? Cosa c’entravo io in questa faccenda?
All’inizio, prima del processo, e ancora oggi, c’è gente che pensa e dice che quello che è capitato è in qualche modo anche colpa mia, che me lo sono andato a cercare e che, se è successo un motivo deve pur esserci…
Il motivo è che la mafia, cosa nostra, non guarda in faccia a nessuno, per perseguire i suoi obiettivi e annientare gli avversari non ha esitato a uccidere due innocenti e a rovinare due famiglie che nulla avevano a che fare con gli affari dei boss.Ogni anno, il 21 marzo il mio nome, insieme a quello di tanti altri, viene letto in una piazza di questo Paese durante la Giornata della memoria e dell’impegno organizzata da Libera per ricordare le vittime innocenti di tutte le mafie,
Mi chiamo Gaspare Palmeri e questa è la mia storia”.

´(Questa lettera è stata scritta dai figli Filippo e Giovanni e da alcuni ragazzi di Castellammare del Golfo)

 

http://mafie.blogautore.repubblica.it/