Un bambino morto e nessun colpevole


Gero Tedesco, giornalista, documentario “Quasi12. Nessun colpevole”

Ci sono storie che restano lì. Ferme. Immobili. Restano a prendere polvere negli scaffali degli archivi dei tribunali per decenni, molto spesso, per sempre. Storie dimenticate e delitti irrisolti. In America li chiamano “cold case”.
E’ il destino che, in Italia, accomuna tante vicende che per fatti contingenti, o chissà per cosa, nessuno decide di approfondire, ricordare, indagare.
La sera del 21 aprile del 1999 dei colpi di fucile squarciarono il silenzio tra le campagne di Agrigento e Favara. Fucilate esplose all’indirizzo di un fuoristrada di proprietà di un presunto boss di Cosa Nostra favarese. I sicari sono convinti di avere fatto centro, di avere eliminato il nemico. Ma si sbagliano. A morire è il piccolo Stefano Pompeo, che aveva appena undici anni. I killer scrissero la parola fine sulla giovane vita di un ragazzino, figlio di gente perbene, che con la criminalità non c’entrava nulla. Tante incredibili coincidenze hanno fatto in modo che la tragedia si consumasse. Il padre di Stefano, quel giorno libero dal suo lavoro di macellaio in un supermercato, venne chiamato a sezionare un maiale da alcuni compaesani che avevano organizzato una cena in una casa colonica. Stefano cercò di convincere il padre a poterlo seguire, il padre aveva però risposto con un secco “no”, ma il bambino si intrufolò in macchina. A quel punto si stava facendo troppo tardi e il padre desistette dal lasciare il figlio a casa: “Va bene Stefano, ma non ti sporcare perchè mamma si arrabbia”.
A quella “schiticchiata”, come si chiamano le cene in campagna in Sicilia, non c’erano però solo persone perbene, c’erano anche dei presunti affiliati a una cosca di Favara che erano in rotta con altre famiglie mafiose del luogo. Arrivati in campagna Stefano, appassionato di fuoristrada, chiese all’autista di un presunto boss, che stava andando a comprare del pane che qualcuno aveva dimenticato, di potere andare con lui su quell’auto tanto ammirata. A pochi chilometri però, ad aspettare quel fuoristrada, sul quale i sicari credevano ci fossero il presunto capo mafia e il suo austista, c’era un commando. L’autista rimane illeso, per Stefano nulla da fare. La corsa in ospedale fu inutile. Stefano morì così a undici anni, quasi 12. Da quel giorno nessuno è stato indagato per la morte del bambino, nessuno ha mai rivelato particolari determinanti sull’agguato, nessuno ha promosso la riapertura del caso. La morte di un bambino è finita, così, nell’oblìo. La famiglia non ha neppure mai avuto riconosciuto nessuno dei benefici previsti per le vittime di mafia. La motivazione? Se non ci sono indagati non possiamo sapere con certezza se è stato davvero un delitto a sfondo mafioso. Una doppia beffa per la famiglia Pompeo che, a 20 anni da quella sera di aprile, aspetta ancora giustizia per il proprio bambino ammazzato da un commando mafioso. Uno Stato che non sa scoprire i colpevoli della morte di un bimbo non si sente colpevole, ma, anzi, risponde picche a una legittima istanza di genitori che, per colpa di quella mafia che dalle loro parti, per troppi anni, ha lastricato le strade di sangue, ha perso il bene più grande: un figlio. Eppure il collaboratore di giustizia Maurizio Di Gati lo aveva detto chiaramente: “Quello è stato un agguato maturato nell’ambito della guerra di mafia”. Di Gati però non ha saputo dare indicazioni precise su killer e mandanti, anche se il quadro era ben circostanziato. E così, niente. Nessun  indagato e, di conseguenza, nessun processo. Nulla di nulla. Il fascicolo d’inchiesta sulla morte di quel bambino appassionato di fumetti e fuoristrada, è rimasto per 20 anni a prendere polvere in uno scaffale.
Il documentario “Quasi12. Nessun colpevole”, prodotto da Fuoririga, ripercorre per la prima volta l’intera vicenda, facendo parlare i protagonisti, loro malgrado, di una tragedia dimenticata: la mamma, il padre, l’ex componente della Commissione parlamentare antimafia Giuseppe Scozzari, l’insegnante del piccolo, il giornalista che si occupò del caso.
A spiegare come sia potuto accadere che nulla è stato mai fatto per trovare la verità è il procuratore aggiunto di Agrigento Salvatore Vella. “Quasi12” vuole che non si dimentichi che su quel fuoristrada poteva esserci ognuno di noi. “Dimenticare Stefano è come ucciderlo un’altra volta”, è la frase che è riecheggiata nelle interviste e nei servizi giornalistici che sono apparsi subito dopo la proiezione del documentario. La stessa frase che è arrivata con forza alla Direzione Distrettuale di Palermo che, a pochi giorni dalla Prima di “Quasi12-Nessun Colpevole”, ha fatto quell’annuncio che si aspettava da sempre: “Le indagini sull’omicidio di Stefano Pompeo sono riaperte e verranno utilizzate moderne tecniche investigative allora sconosciute”.
Un annuncio che arriva come uno tsunami sui social network, rimbalzato dagli articoli di stampa. Migliaia di condivisioni  diffondono la notizia che c’è ancora una speranza: Stefano e la sua famiglia potranno avere giustizia. Il messaggio più bello arriva alla produzione di “Quasi12-Nessun Colpevole”, a scriverlo è la mamma di Stefano, Carmelina Presti: “Grazie a voi si sono riaperte le indagini sull’omicidio del mio bambino, da stamattina piango di gioia. Siete i miei angeli”. Di angelo ce n’era uno e aveva solo 11 anni, quasi 12, era appasionato di fuoristrada, amava gli animali, adorava il fumetto Lupo Alberto, sognava di diventare un grande cuoco e si chiamava Stefano.

Fonte mafie blog autore repubblica