La difesa ad oltranza di Confindustria

Così evidenziati gli elementi più salienti che supportano adeguatamente e in maniera incontrovertibile la credibilità dei principali accusatori di MONTANTE (e, di riflesso, di alcuni dei suoi coimputati), deve altresì rilevarsi come la loro esitazione a rompere gli indugi, rivelando agli inquirenti quanto a loro conoscenza, è ampiamente spiegata dai timori, da loro ripetutamente manifestati nel corso delle conversazioni esaminate, di subire una bieca reazione vendicativa da parte del predetto MONTANTE e della sua potente macchina del potere.
Timori che, ex post, si rivelavano tutt’altro che infondati, posto che, alla pubblicazione dell’intervista di VENTURI su La Repubblica, seguiva una pronta presa di posizione di Confindustria nazionale, all’epoca presieduta da Giorgio SQUINZI, di tipo sostanzialmente espulsivo nei riguardi dello stesso VENTURI, e aprioristicamente solidaristica in favore di MONTANTE.
Giorgio SQUINZI, infatti, alla lettura dell’articolo di stampa, si schierava apertamente dalla parte del suo vice, MONTANTE, sicché a VENTURI non restava altro che assumere una decisione abdicativa innanzi al collegio dei cosiddetti “probiviri”, presieduto dal Dott. Federico LANDI, collegio chiuso in un ottuso j’accuse fondato su presunte violazioni, da parte di VENTURI, del codice etico confindustriale.
Ciò emerge, in particolare, dalle sommarie informazioni testimoniali rese da Marco VENTURI il 2 novembre 2015, nonché dalla documentazione dallo stesso prodotta:

Verbale di sommarie informazioni testimoniali rese da Marco VE’NTURI il 2 novembre 2015
…omissis…
“ho chiesto di poter conferire con la S.V. per rappresentare quanto avvenuto negli ultimi giorni,
successivamente all’intervista rilasciata in data 17 settembre scorso al quotidiano “La Repubblica”.
La settimana dopo, infatti, e sin dal lunedì ho inviato più sms, dopo una iniziale chiamata senza
risposta, al Presidente SQUINZI, chiedendogli un incontro ed anticipandogliene il contenuto; in
particolare nell’ultimo sms del giovedì ho accennato a SQUINZI della necessità di parlargli della non applicazione del codice etico e, genericamente, difatti gravi.
Sino al giovedì il Presidente SQUINZI mi ha sempre risposto in maniera cordiale, mentre all’ultimo
messaggio, inviato in quella giornata, si è limitato a rispondere che si trovava a Taranto. Dopo circa mezz’ora ho ricevuto la lettera di convocazione dei probiviri nazionali che aveva, almeno
in quel momento, un carattere interlocutorio.
Sempre quel giorno, mentre mi trovavo all’aeroporto di Fiumicino, ho avuto modo di leggere un
comunicato stampa di SQUINZI con cui esprimeva solidarietà incondizionata a MONTANTE.
Ho immediatamente dettato un altro comunicato stampa per le agenzie con il quale mi dichiarava
basito per le parole di SQUINZI, rilasciate senza che prima avesse avuto modo di ascoltare le mie
ragioni.
Gli organi di stampa nei giorni seguenti hanno dato atto di questo scambio di comunicati tra me e il
Presidente SQUINZI.
Successivamente ho ricevuto un ‘ulteriore nota da parte dei probiviri, con la quale mi si intimava,
pena l’espulsione da Confindustria, di non rilasciare ulteriori dichiarazioni o interviste alla stampa e
mi si comunicava la convocazione per il giorno 1 ottobre presso la sede di Federchimica a Milano.
…omissis…
L’incontro ai probiviri è iniziato alle ore 14 dell’1 ottobre ed allo stesso erano presenti il dott. LANDI, altri 4 probiviri ed uno collegato in conference call.
Preliminarmente ho chiesto perché la sede dell’audizione fosse stata spostata; il dott. LANDI mi ha
fatto presente che gli era stato consigliato per evitare un danno di immagine a Confindustria e che
tale sollecitazione gli era giunta dal Comitato di Presidenza di Confindustria Nazionale, ma alla mia
insistenza nell’avere delucidazioni sul nominativo, è intervenuto uno dei probiviri che mi ha fatto
presente che si trattava di decisione assunta dal collegio dei probiviri stesso.
Preciso che in quella sede ho consegnato ai presenti un documento, copia del quale produca alla S. V.
Ho anche chiesto perché avevano convocato me e non era, invece, mai stato convocato MONTANTE e mi è stato risposto che questi non aveva infranto alcuna regola del codice etico e non aveva avuto sino a quel momento alcun avviso di garanzia da parte dell’A.G.
Ho risposto di essere personalmente a conoscenza di una indagine nei confronti del MONTANTE
poiché ero stato escusso dall’autorità giudiziaria, ribadendo, pertanto che questi avrebbe dovuto
essere sanzionato con l’espulsione o, al limite, con l ‘autosospensione.
Per contro i probiviri mi hanno risposto che il comportamento da me tenuto in questi ultimi giorni e le dichiarazioni rilasciate alla stampa avevano, di fatto, decretato il mio allontanamento da Confindustria. Ho replicato che, pur essendo consapevole che in un contesto monolitico quale ormai è diventata Confindustria “i panni sporchi si devono lavare in famiglia”, avendo ritenuto inopportuno affrontare quelle vicende all’interno degli organismi provinciali e regionali poiché composti da persone condizionate da MONTANTE.

In realtà, questa indefessa fedeltà di Confindustria nazionale a MONTANTE aveva una spiegazione utilitaristica ben precisa, che emerge dalle parole di Nazario SACCIA, ex ufficiale della Guardia di Finanza (e già comandante del G.I.C.O. di Caltanissetta), transitato in E.N.I. s.p.a., vicino a MONTANTE e al coimputato Diego DI SIMONE PERRICONE, secondo cui la questione legalitaria era servita all’associazione degli industriali, in chiave strumentale, soltanto per acquisire la legittimazione a sedere allo stesso tavolo delle istituzioni, al di fuori di qualsivoglia teleologia di carattere etico: “…dice la meteora MONTANTE…la meteora MONTANTE è servita…è stato un astro…come dire ci ha consentito di stare su certi ri…su certe… su certi tavoli in un certo momento però vidi comu finiu…cioè ma a noi che cazzo ce ne fotte…noi che ama fari so/di…ama a fari
business…siamo un associazione di imprenditori…mica di paladini della giustizia” (conv. tel. progr. n. 2679 del 5 febbraio 2016; vd. C.N.R. n. 1092/2017 cit., p. 1190).
Tali parole, lette alla luce del rinvenimento (sequestro del 22 febbraio 2016), nell’abitazione di MONTANTE, di un’email inviatagli proprio dal presidente del collegio dei cosiddetti “probiviri”, Federico LANDI, mettevano a nudo una fortissima ragione associativa alla base della posizione avversativa assunta nei riguardi di VENTURI: MONTANTE, grazie ai suoi “collegamenti istituzionali con l’Interpol in Romania”, avrebbe dovuto adoperarsi per evitare la deflagrazione di uno scandalo, legato a gravi illeciti commessi da Marco RONDINA nella qualità di direttore di Unionimprese Romania, che avrebbe potuto gettare una cattiva luce sulle imprese italiane e sull’organizzazione confindustriale.
Per i dettagli, si richiama il contenuto dell’ordinanza cautelare (da p. 498), che peraltro riporta integralmente il testo dell’email sopra menzionata e ne contiene una esplicazione ragionata e condivisibile:
Ed invero, all’esito delle perquisizioni eseguite da questo Ufficio nei confronti del MONTANTE in data 22.2.2016, all”interno di una cartellina intestata “Senato della Repubblica” e riportante a mano la scritta “Grifa ex Fiat Termini 1.” veniva rinvenuta una e-mail (di seguito riportata) che Federico LANDI (e cioè il Presidente dei Probiviri innanzi ai quali era stato convocato il VENTURI) inviava al MONTANTE il 14.10.2010:
[…]
Sarà agevole rilevare come il LANDI, con quella e-mail, avesse inteso ragguagliare il MONTANTE di una “situazione delicatissima” – che aveva appreso nel corso di un incontro riservato avuto a Bucarest con il dott. Paolo SARTORI (indicato come Direttore del coordinamento Interpol del Sud Est Europa) e Fambasciatore italiano in Romania – riguardante i numerosi elementi di prova che le autorità inquirenti rumene avevano raccolto su collegamenti tra l”allora Direttore di Unimpresa Romania ed esponenti della criminalità organizzata italiana. Il LANDI evidenziava, altresì, che non era stata avviata sino a quel momento alcuna iniziativa in quel paese per volere del Premier rumeno “(“per evitarsi problemi con le imprese italiane numerosissime in un momento di grave difficoltà economica”) e riferiva delle preoccupazioni dell°ambasciatore italiano relative al fatto che – laddove le autorità politiche avessero dato il via libera ad eventuali azioni giudiziarie – ne sarebbe nato uno scandalo enorme che avrebbe finito per travolgere le imprese italiane ”e la stessa Confindustria”.
Il LANDI riferiva, infine, delle iniziative che aveva già intrapreso affinché si procedesse, in prevenzione, a rimuovere il Direttore di Unimpresa Romania e chiedeva, altresì, al MONTANTE di attivarsi attraverso i suoi “collegamenti istituzionali con l’Interpol in Romania” per acquisire, in maniera formale, elementi che avrebbero consentito ai probiviri confederali di intervenire.

Pare evidente concludere – almeno stando al contenuto letterale della mail in questione – che “i tavoli” attorno ai quali, anche grazie al MONTANTE, CONFINDUSTRIA Nazionale si era potuta sedere, servissero per finalità legate alla tutela degli interessi economici dell’associazione degli imprenditori, potendo dirsi particolarmente palese che il LANDI, assieme al MONTANTE, intendessero agire, nella vicenda in questione, “in prevenzione” e dunque al fine di evitare che l’associazione potesse risultare invischiata in vicende che, di certo, ne avrebbero procurato grave nocumento all’immagine.

E’ pertanto evidente come la posizione assunta da Giorgio SQUINZI e dal collegio dei probiviri nell’affare MONTANTE, quale già affiorava dalle pagine del giornale, non mostrava di essere ispirata ad una logica di preservazione dell’immagine di Confindustria rispetto a presunti attacchi mediatici da parte di un suo appartenente, ma ad una finalità di stampo utilitaristico-associativo.
L’associazione nazionale degli industriali, dunque, benché annoverasse, al suo interno, anche un collegio dei “probiviri”, chiamato ad assicurare il rispetto del codice etico, appariva legata ad un concetto trasimacheo di giustizia, secondo cui “Il giusto altro non è che l’utile del più forte”. E in quel momento il più forte era MONTANTE.
La proscrizione di VENTURI, quale hostis publicus, da Confindustria era soltanto una delle possibili sanzioni conseguenti alla lesa maestà del potente industriale.
Questi, infatti, come si evince dalle conversazioni intercettate, aveva elaborato una visione nemetica dell’esistenza e delle relazioni personali, per cui chiunque, entrato in contatto con lui, avesse tradito le sue aspettative sinallagmatiche, sarebbe automaticamente transitato nella lista degli epurandi.
Tanto si evince dal contenuto di diverse intercettazioni.
L’8 febbraio 2016, per esempio, Rosanna BAIO, moglie di Michele TRUBIA, al ritorno da un cena cui avevano partecipato anche MONTANTE e l’amico sindacalista PASQUALETFO, commentava con il marito il proposito espresso dall’imprenditore di Serradifalco di “scassare” VENTURI, perché tutti coloro che lo avevano tradito dovevano “pagare”. Ed è in tale contesto che MONTANTE, secondo la BAIO, pronunciava espressamente la parola “vendetta” (cfr. C.N.R. n. 1092/17 cit., da p. 374, e all. n. 133 alla medesima informativa).

[…] D’altro canto, meno di una settimana prima, MONTANTE, intercettato a casa propria nel corso di una cena, cui stava partecipando ancora una volta TROBIA, aveva affermato che era suo intendimento “rump/’ri u culu” a tutti coloro che lo stavano attaccando (cfr. C.N.R. n. 1092/2017 cit., da p. 377).

Conversazione ambientale del 2 febbraio 2016, progr. nr. 109
omissis
omissis dal minuto 00.13.55 al minuto 00.28. 34, Montante spiega che è previsto a livello Nazionale
e spiega le quote che pagano le aziende. Poi parlano di pietanze e di ciò che devono mangiare.
Successivamente la conversazione viene integralmente trascritta.’

TROBIA : e allura Antonello…. ca mafari…. ci ama rumpiri u culu a tutti… ?
VALENZA: (ride)…
MONTANTE: l’avvocato . ..
TROBIA: ni pigliammu sta bella soddisfazione…
MONTANTE: u culu ci lu spaccammu di sìcuru…..
TROBIA: mi chiedevo per far fare un straordinario.. ne parlavo con lui… questo continuo ripetere ritornare alla stessa cosa non è un modo di aggredire… cioè non esiste questa… non dico… non è stolking.. non è… è una sorta di…continua aggressione ecco…un un reato di ammissione… ripetere per esempio fare un riassunto… spunta na notizia in un giornale su quella notizia scrivono poi ogni du íorna… c’è uno ca scrivi.. sempri.. il riassunto della stessa cosa…..
MONTANTE: non po fari nenti…
TROBIA: non si può fare niente vero… ? la stampa…
MONTANTE: non puoi fare niente… puoi fare solo ca.. puoi fare solo che…che non abbiamo (inc).. tutte le denunce informazioni querele normali.. querele più approfondite… già u fattu ca tu vidi… c’è ne sono di tu.. di tutti i colori…. aziende che hanno….hanno ricevuto .. avvisi di garanzia…? di tutto di più…. solo questo puoi fare… poi…poí..poi..poi… risarcimento danni.. poi tutto c’è…però per ora tu non è che puoi fare arrestare….ne ca ci po sparari… inc…..

Il quadro si tinge di tonalità ancora più marcatamente decadenti se si considerano le parole pronunciate da MONTANTE qualche giorno dopo, anch’esse oggetto di captazione, nel corso di una conversazione dallo stesso intrattenuta con l’amico Calogero Giuseppe VALENZA, vice presidente della camera di commercio di Caltanissetta. In tale contesto, infatti, MONTANTE professava certezza circa l’adesione di Ivanohe LO BELLO ai suoi desiderata (relativi ad una questione non meglio precisata), posto che, altrimenti, egli gli avrebbe fatto saltare la testa, così come prima o poi avrebbe fatto a pezzi Pino RABIOLO, evidentemente transitato dalla lista bianca a quella nera delle sue relazioni sociali, dovendosi considerare quest’ultimo un traditore, alla stessa stregua di VENTURI, il cui destino non poteva che essere l’isolamento e la morte sociale. La regula aurea, infatti, per MONTANTE era quella evangelica, in edizione rivista ed aggiornata, per cui o con me o contro di me ( tu sio cu mi o contru di mia…; cfr. C.N.R. n. 1092/2017 cit da p 377).
[…] Come accennato sopra, a quali specifiche circostanze, inerenti a LO BELLO, avesse inteso riferirsi MONTANTE in quel 13 giugno 2016, non è chiaro.
Tuttavia, CICERO riferiva di un episodio, che l’organo requirente collocava ragionevolmente nel  marzo 2015, nel quale il rifiuto di Ivanohe LO BELLO alla pretesa di MONTANTE di ottenere la sottoscrizione di un documento, aveva scatenato la reazione di quest’ultimo, che aveva ridotto in lacrime l’amico riluttante.
La vicenda era stata raccontata da Linda VANCHERI, che ne era stata testimone oculare, ad Alfonso CICERO, il quale, riversandola agli investigatori con tutti i dettagli appresi dalla donna, consentiva agli inquirenti di circoscrivere il fatto entro ben precise coordinate spazio-temporali.
Sul punto appare utile riportare il contenuto dell’ordinanza cautelare (da p. 513), in cui gli eventi sono ricostruiti, con estrema precisione logica, verificando le dichiarazioni di CICERO, testualmente riportate, alla luce dell’analisi dei tabulati telefonici delle persone coinvolte nella vicenda e degli esiti dell’accertamento compiuto dalla P.G. dei nominativi delle persone alloggiate nell’albergo nel quale il fatto si era consumato:

Ed invero, il CICERO evidenziava di aver raccolto, dopo la pubblicazione della notizia dell’indagine in corso nei confronti del MONTANTE, le confidenze della VANCHERI su di un episodio cui la stessa aveva assistito – e che le aveva provocato notevole turbamento – all’interno di una stanza di un albergo romano.
In quella occasione erano presenti il MONTANTE, l’avvocato Antonio INGROIA – intento a collaborare il primo nella stesura di un documento a difesa dello stesso – la VANCHERI, appunto, ed il LO BELLO ed il MONTANTE era addivenuto ad uno scontro, quasi fisico, con il LO BELLO medesimo poiché questi si era rifiutato di sottoscrivere il documento che si stava redigendo. L’imprenditore catanese si era quindi allontanato dall’hotel in stato di estrema agitazione e paura, piangendo a dirotto ed aveva, poi, inviato diversi sms proprio alla VANCHERI.
La vicenda riferita dal CICERO si è, con ragionevole certezza, effettivamente
verificata in data 5 marzo 2015 posto che:
sebbene dall’analisi dei tabulati telefonici, si è potuto accertare che le utenze in uso al MONTANTE, al LO BELLO e all’INGROIA venissero contemporaneamente censite a Roma in diverse occasioni, sia nel mese di febbraio che nel mese di marzo, il 5 marzo è l’unico giorno in cui, nelle ore serali – proprio come raccontato dal CICERO – e precisamente dalle 23.11, si registrava l”invio di una serie di sms da parte del LO BELLO alla VANCHERI, la quale rispondeva, dopo la mezzanotte, con un solo sms.
Inoltre, sempre il 5 marzo 2015, veniva accertata – attraverso la banca dati “alloggiati” – la presenza del MONTANTE presso l’Hotel Majestic sito a Roma in via Vittorio Veneto 50 (cfr, all. nr. 133 – accertamento alloggiati a carico del MONTANTE Antonio Calogero). Ulteriore conferma si aveva dall’analisi delle celle agganciate dagli apparecchi radiomobili in uso al MONTANTE – ubicate nei pressi del citato albergo sin dal pomeriggio di quel 5 marzo – così come quelle del LO BELLO e di INGROIA, che, sempre quel giorno, venivano censite vicine tra loro e tutte prossime all”indirizzo dell°Hote1 Majestic sin dal tardo pomeriggio e fino a dopo le 23.00 (cfr. annotazione nr. 1062/201 7 cat. II Mob. SCO- 3° Gruppo del 26.04.2017, all. 4 della CNR).

Del resto, nel corso di una conversazione intercorsa il 15 gennaio 2016 tra il solito Michele TROBIA e l’avvocato romano Enrico TOTI, il primo raccontava al secondo della coazione esercitata su di lui da MONTANTE, pochi giorni prima, affinché si risolvesse ad isolare VENTURI, altrimenti potendosi interpretare la sua equidistanza tra lo stesso MONTANTE e il suo accusatore come una forma di tradimento nei suoi riguardi (TROBIA, riferendo il pensiero dell’imprenditore di Serradifalco: “non si ammettono discussioni con me o contro di me…”).
MONTANTE, tra l’altro, secondo TROBIA, aveva manifestato il proposito di attivarsi per fare chiudere l’azienda di VENTURI, perché il potente industriale era “terrificante”, “paranoico”, “terribile”, assimilabile al boss Totò RIINA (“Se fosse lui Riina… invece di essere lì Riina…”), mentre TOTI, a sua volta, lo definiva un “malvagio”, in preda a “deliri di onnipotenza” (cfr. C.N.R. n. 1092/2017 cit., da p. 365): […].
Anche nella conversazione progr. n. 852 del 6 marzo 2016 Michele TROBIA, stavolta chiacchierando con Pietro RABIOLO, uno dei “traditori” di MONTANTE, commentava la mentalità di quest’ultimo di vendicarsi di tutti coloro che deludevano le sue aspettative solidaristiche. Ma chi veramente ne scolpiva il suo ordinario modus operandi era Pietro RABIOLO: “chi ha a che fare con Antonello ne rimane schiavo a vita” (C.N.R. n. 1092/2017 cit., da p. 367):

Conv. progr. n. 852 del 6 marzo 2016
TROBIA: ti rifiuti tu di collaborare con me di restare a fare parte del gruppo di assumerti delle responsabilità ed in cambio.. .
RA B1OLO: ora ti faccio vedere io…
TROBIA: e ora ti rompo il culo…se ti ho detto che io io io…ho vissuto questa cosa in prima persona … conosco il soggetto è fatto così…
RABIOLO: cioè quindi o rimani schiavo per tutta la vita. ..
TROBIA: chiddru Davide Scancarello con i torroni appena si sono azzuffati
RABIOLO: e…
TROBIA: gli ha gridato e me l ‘ha detto Davide a me infatti mi fa la ringrazio lei rischia a farmi entrare nella (inc) pirchi mi dissi tu non lavorerai più in nessuna parte d ‘Italia manco all’estero non ci sarà angolo dove tu potrai trovare spazio per i tuoi torroni…per dirlo in maniera violenta gliel’ha detto in faccia chiddru lo ripete e questo discorso
[…]
omissis
RABIOLO: si ma…però voglio dire a questo punto…quando ha a che fare con Antonello ne rimane
schiavo a vita…eh…
TROBIA: allora…
RABIOLO: perché appena non dico ti ribelli ma chiedi cortesemente di non essere più suo schiavo hai le sue ire di sopra eh…
omissis
TROBIA: io ti dico sinceramente…che Antonello è veramente una persona pericolosissima…e che
purtroppo ha fondato un impero lui è avido

Tali e tante minacce di vendetta ripetutamente lanciate da MONTANTE nei confronti dei “traditori” o degli eretici, come pure possiamo definirli, non possono essere liquidate, semplicemente, come innocue manifestazioni di straripamento verbale, legate a contingenti situazioni di nervosismo, trattandosi in realtà dello strumento mediante il quale l’imprenditore di Serradifalco soggiogava chi gli stava intorno, consapevole che un atto di ribellione sarebbe stato pesantemente sanzionato.
Actis, e non semplicemente verbis.

 

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