Attentato Antoci e ricostruzione giudiziaria

7 maggio 2019 un lungo articolo a firma di Mario Barresi sul quotidiano La Sicilia ricostruisce la vicenda giudiziaria relativa all’attentato ad Antoci. Perentorio il richiamo in prima pagina:

“L’attentato ad Antoci? Caso ancora aperto tra vecchi misteri e nuove piste. L’archiviazione dei 14 mafiosi, le intercettazioni, il dna nelle cicche di sigarette, il file audio e il falso pentito: zero riscontri. Poliziotti contro, le due versioni”

L’articolo riepiloga, puntualmente, gli elementi di dubbio che sarebbero emersi nel corso delle indagini: “Non sono stati i mafiosi. O meglio: ‘quei’ presunti mafiosi dei Nebrodi. Con il tentato attentato a Giuseppe Antoci non c’entra alcuno dei 14 indagati, tutti archiviati dal gip di Messina. «L’avvenuta esplorazione di ogni possibile spunto investigativo», scrive il giudice Eugenio Fiorentino, «non consente di ravvisare ulteriori attività compiutamente idonee all’individuazione di alcuno degli autori dei delitti contestati».

E questa, carte alla mano, è l’unica certezza giudiziaria su ciò che accadde, nella notte fra il 17 e il 18 maggio del 2016, sui tornanti della strada statale 289 fra San Fratello e Cesarò: la Lancia “Thesis” blindata su cui viaggiavano l’ex presidente del Parco dei Nebrodi e due uomini della sua scorta, fu bloccata con delle pietre sulla carreggiata e poi attinta da «tre colpi in calibro 12 a palla unica verosimilmente del tipo Cervo o Brenneke», come dice la Scientifica di Roma.

Dopo due anni di indagini (intercettazioni a tappeto, acquisizione di migliaia di tabulati telefonici, ricostruzioni balistiche hi-tech, consultazioni di fonti confidenziali fra le cosche dei Nerbrodi, prelievi di dna), la Dda di Messina s’è dovuta arrendere.”

Il giorno dopo, in un’intervista ad una emittente locale nel corso di una sua visita a Messina, il presidente della Commissione nazionale antimafia Nicola Morra annuncia l’intenzione di aprire un’indagine sulla vicenda e al tempo stesso fa sue le domande ancora senza risposta sulla vicenda Antoci.

“Sappiamo tutti che su quegli atti giudiziari c’è ancora tanto da lavorare… È un caso complesso, definito come il peggior attentato dopo le stragi del 1992-93 eppure tutto è stato archiviato. Chi sono stati i mandanti? Chi sono stati gli esecutori? L’archiviazione che ho studiato pone interrogativi che credo debbano avere delle risposte”.

Fin dall’inizio, per la verità, non erano stati pochi i media che avevano raccolto e rilanciato le perplessità affiorate su questo attentato, sull’effettiva dinamica, sul movente, sui mandanti o perfino sul fatto che l’episodio ci sia mai stato.

“L’agguato dei Nebrodi non ha ancora un colpevole. E dalle intercettazioni si scopre che lo cercano anche le cosche”, titola il 19 marzo 2017 un articolo di Francesco Viviano sull’Espresso. Quello che segue è, nei passaggi più significativi, il suo articolo.

“L’inchiesta si rivela subito difficile per le forze dell’ordine che sguinzagliano in tutte le direzioni i loro informatori. Ma da questi, a distanza di tanti mesi e nonostante il grande sforzo investigativo riversato sul territorio, non hanno avuto neanche una piccola traccia, un’ipotesi, un sospetto. Niente di niente. Neanche gli esami del dna dal sangue rilevato nel luogo dell’attentato, e che si presume possa appartenere a uno degli assalitori, hanno permesso di risalire all’identità di chi ha sparato e quindi al movente.

(…) Oltre ai poliziotti e ai carabinieri, alla ricerca degli autori dell’agguato a quanto pare si siano messi pure i boss mafiosi dei clan messinesi e di quelli che agiscono sul territorio dei Nebrodi. (…)

Qualche giorno dopo l’agguato al presidente del parco dei Nebrodi i boss, parlando tra di loro, si chiedono insistentemente «cu fu» (chi è stato?). Da una cosca all’altra la domanda è sempre la stessa, ma anche la risposta: «Noi non siamo stati». «Potrebbero essere stati i catanesi?» chiede un intercettato al suo interlocutore, che risponde: «Ce l’avrebbero detto, quantomeno ci avrebbero avvertiti per evitarci ulteriori guai».

Insomma, gli storici clan dei Bontempo-Scavo e le altre famiglie che in questi mesi hanno avuto tra le loro file decine di arresti non si danno pace. Anche loro brancolano nel buio e, se avessero avuto notizie, avrebbero fatto giustizia a modo loro oppure, come spesso la storia della mafia insegna, avrebbero segnalato in maniera anonima agli investigatori gli autori dell’attentato per allentare la pressione nei loro confronti. L’unica segnalazione anonima che è arrivata fino ad ora è invece quella inviata a tre procure, Messina, Patti e Termini Imerese, al Ministero dell’Interno, al capo della Polizia e all’autorità Anticorruzione. (…) La denuncia anonima adesso è al vaglio delle tre procure siciliane: vi si trovano accuse anche nei confronti di Manganaro. Secondo l’anonimo il dirigente del commissariato di Sant’Agata di Militello sarebbe anche “vicino” a esponenti politici del Pd e ad alcuni personaggi dell’Antimafia come il senatore Giuseppe Lumia, eletto nella lista “il megafono” di Rosario Crocetta.”

Il 23 marzo 2017 l’articolo sul settimanale siciliano Centonove a firma di Enzo Basso riprende e rilancia (fin dal titolo: “Chi è… Stato?”) i dubbi sull’attentato.

“Chi è stato?” chiedono i boss al telefono dopo l’attentato del diciotto maggio scorso al presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci. Ma ancora, dieci mesi dopo le modalità dell’agguato notturno alle due di notte tra Cesarò e San Fratello, in contrada Muto, sulle quali indagano in tandem le direzioni investigative antimafia di Messina e Catania, restano avvolte in un mistero.

Una scena quasi cinematografica: un gruppo di aggressori che sparano nella notte, vengono raggiunti all’improvviso dai provvidenziali colpi di pistola del vicequestore Daniele Manganaro e scappano nell’oscurità del bosco, lasciando ai bordi della strada due bottiglie molotov. Tecniche di un agguato, che non trova eguali nella letteratura criminale e che stupisce gli stessi boss, legati ai clan della macellazione: “Chi è stato?”

Nulla rispetto al documento di fitte sei pagine, svelato dal giornalista Franco Viviano su “L’Espresso”, dove si parla anche di uno esplosivo scritto inviato mesi fa alla Procura di Patti, a quella di Termini Imerese e a quella di Messina, oltre che al Viminale, e al Capo della polizia in cui si raccontano fatti inquietanti che portano l’anonimo estensore a chiedere: “Chi è lo Stato?”: il gruppo di potere del governatore Crocetta e del senatore Lumia, insieme a un manipolo di poliziotti, stretto attorno ad Antoci, oppure è lo Stato che tollera degenerazioni di potere?

Per supportare queste tesi, l’anonimo mostra di essere addentro alle cose della polizia: “i proiettili spediti da Palermo sono calibro 9 per 9, Luger, in esclusiva dotazione alle forze di polizia dotate di armi parabellum , per chi si esercita nei poligoni di tiro Uits”.

Infine, il 29 aprile 2019 la trasmissione Report, in un lungo servizio di Paolo Mondani sul caso Montante, dedica alcuni passaggi particolarmente significativi sulla vicenda Antoci: anche in questo caso riprendendo e rilanciando il dubbio che di un autentico attentato si sia trattato.

Tag: Caso Antoci

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