Fioravanti contro Fioravanti

Tra il 1982 e il 1983 cominciano ad arrivare alla magistratura inquirente dichiarazioni di collaboratori di giustizia provenienti dalla destra eversiva, che indicano in Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, militanti dei Nuclei armati rivoluzionari, gli autori materiali dell’omicidio Mattarella.
Il primo a fare questa rivelazione, sia pure in maniera ancora nebulosa, è Cristiano Fioravanti, fratello minore di Valerio, anch’egli militante dei Nar, ma dal 1981 collaboratore di giustizia. Già in un verbale dell’ottobre 1982 Cristiano comincia a collegare l’omicidio di Piersanti Mattarella a suo fratello Valerio, precisando che quest’ultimo, nei giorni in cui fu commesso l’omicidio, si trovava a Palermo ospite di Francesco Mangiameli, uno dei dirigenti di Terza posizione. Cristiano aggiunge che anche prima di quel delitto (e pure successivamente, come vedremo) suo fratello aveva fatto «frequenti viaggi in Sicilia insieme a Gilberto Cavallini» e che lì entrambi erano da tempo in contatto con Mangiameli10.
In Sicilia, Francesco Mangiameli, detto Ciccio, era il capo riconosciuto di Terza posizione, un gruppo dello spontaneismo armato di estrema destra la cui storia ha incrociato in più punti, non sempre pacificamente, quella dei Nar. Quando Cristiano Fioravanti inizia a fare le sue rivelazioni agli inquirenti, Mangiameli in realtà è già morto da circa due anni, essendo stato assassinato il 9settembre 1980 proprio dai due fratelli Fioravanti –sul punto ampiamente confessi –con il concorso della compagna di Valerio, Francesca Mambro, e di altri due camerati (Giorgio Vale e Dario Mariani), tutti condannati con sentenza definitiva. Le assidue frequentazioni tra Valerio Fioravanti e Ciccio Mangiameli si collocano tra il 1979 e l’estate 1980, quando i Nar e Tp si concentrano su un comune progetto «eroico», quello cioè di organizzare l’evasione dal carcere di Pierluigi Concutelli, il killer neofascista che sta scontando l’ergastolo per avere assassinato il magistrato Vittorio Occorsio nel 1976. Ciascuno ha i suoi miti, si sa, e anche per ragioni generazionali il giovane Mangiameli e l’ancor più giovane Fioravanti si appassionano all’idea di liberare il loro «eroe» Concutelli.
Il progetto non verrà realizzato, ma il dipanarsi dei suoi tentativi falliti finirà per riflettersi sulle indagini relative sia all’omicidio Mattarella, sia all’omicidio Mangiameli, sia –addirittura –alla strage di Bologna del 2 agosto 1980, per la quale Francesca Mambro e Valerio Fioravanti sono stati condannati all’ergastolo con sentenza definitiva. In un interrogatorio del 22 marzo 1985 Cristiano Fioravanti dichiara con maggior precisione che gli autori materiali dell’omicidio Mattarella sono suo fratello Valerio e Gilberto Cavallini, «coinvolti in ciò dai rapporti equivoci che Mangiameli stringeva in Sicilia». Cristiano osserva che la stessa uccisione di Mangiameli «richiama quei collegamenti», e precisa che in quei giorni, intorno all’Epifania del 1980, c’era a Palermo presso Mangiameli, con Valerio e Gilberto, anche Francesca Mambro.
Le dichiarazioni in cui Cristiano Fioravanti accusa suo fratello Valerio dell’omicidio Mattarella sono sempre piuttosto sofferte, ma in quelle rese tra marzo e dicembre del 1986 a Giovanni Falcone e agli altri giudici istruttori del pool di Palermo egli appare sempre meno combattuto. Queste sono, riportate fedelmente, le parti più rilevanti del suo racconto:«Della partecipazione di mio fratello all’omicidio Mattarella appresi da lui stesso dopo l’omicidio del Mangiameli [9 settembre 1980] e precisamente il giorno successivo, di mattina. Io infatti avevo partecipato a quell’omicidio senza conoscerne, né previamente chiederne, i motivi. Successivamente, specie perché mio fratello insisteva che era necessario uccidere anche la moglie e la figlia del Mangiameli, chiesi spiegazioni sul perché di tali delitti. Eravamo in auto in giro per Roma e credo fosse presente anche Francesca Mambro. Mio fratello mi disse che il Mangiameli aveva fatto delle promesse circa aiuti e appoggi che doveva ricevere in Sicilia e che queste promesse non erano state mantenute. In particolare aveva promesso che, grazie a determinati appoggi che si era procurato, sarebbe riuscito a propiziare l’evasione di Concutelli, previo trasferimento di costui in un ospedale o in un carcere meno sorvegliato di quello ove si trovava.
Quanto a questi appoggi e aiuti sarebbero venuti al Mangiameli e al nostro gruppo, come mi disse mio fratello, in cambio di un favore fatto a imprecisati ambienti che avevano interesse all’uccisione del presidente della Regione siciliana. All’uopo era stata fatta una riunione a Palermo in casa del Mangiameli, in periodo che non so di quanto antecedente all’omicidio del Mattarella, e nel corso di essa erano intervenuti, oltre al Mangiameli, mio fratello Valerio, la moglie del Mangiameli, e una persona della Regione (non so se funzionario o politico). Quest’ultimo avrebbe dato «la dritta», cioè le necessarie indicazioni per poter programmare l’omicidio. Aggiunse mio fratello che l’omicidio era stato poi effettivamente commesso da lui e dal Cavallini, mentre una collaborazione era stata prestata da Gabriele De Francisci [altro membro dei Nar, n.d.a.], il quale aveva procurato una casa di appoggio, sempre necessaria allorché si procede ad azioni armate […].Faccio ancora presente che l’episodio dell’uccisione del Mattarella narratomi da mio fratello non mi meravigliò, nonostante fossi certo che l’uccisione di un politico siciliano era estranea ai fini politici delle nostre azioni. Infatti rientrava nella nostra filosofia di azione procedere anche ad azioni criminose per procurarci favori, a condizione però che ciò non comportasse un legame stabile con diversi ambienti e gruppi. Invero azioni criminose siffatte furono commesse anche a Milano e a Roma».Per quanto riguarda invece il movente dell’omicidio di Francesco Mangiameli, Cristiano lo ricollega al timore, esternato da Valerio Fioravanti, che Mangiameli potesse rivelare ciò che sapeva sull’uccisione di Mattarella e sulla riunione che ne aveva preceduto l’assassinio. Poiché a quella riunione avevano assistito anche la moglie di Mangiameli e la sua bambina, Valerio avrebbe voluto uccidere anche queste ultime prima che venisse ritrovato il cadavere di Mangiameli, che era stato affondato in un laghetto. Fortunatamente l’ulteriore orrendo massacro è stato sventato perché il corpo del malcapitato è riaffiorato ed è stato ben presto ritrovato. Ecco come conclude Cristiano Fioravanti:«Sono sicuro che Valerio mi abbia detto la verità nel confidarmi le sue responsabilità nell’omicidio dell’uomo politico siciliano. Egli doveva convincermi dell’utilità, dopo l’uccisione di Mangiameli, anche dell’uccisione della moglie e della figlia di quest’ultimo e, pertanto, doveva presentarmi una reale esigenza; e mi disse che la moglie aveva partecipato alla riunione in cui si era decisa l’uccisione ed era ancora più pericolosa del marito13».Tuttavia è stata avanzata un’altra ipotesi, forse più plausibile, per quanto riguarda il movente dell’omicidio di Mangiameli, nel senso che esso sia in realtà ricollegabile al timore che quest’ultimo potesse rivelare ciò che certamente sapeva sulla strage della stazione di Bologna.

 

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