Calogero e la vendetta di Luciano Liggio

Mancava qualche mese alla conclusione del Secondo Conflitto mondiale, ma la fine per Calogero Comaianni era già stata decisa. Sei mesi prima aveva arrestato Luciano Liggio, il giovane protetto da quel “U Dutturi” Michele Navarra, che Liggio, come in una tragedia greca, ucciderà anni dopo, nel 1958, per poter prenderne il posto come boss di Corleone.
Era il 2 agosto 1944. Calogero Comaianni era di guardia nel paesetto siculo, situato a circa cinquanta chilometri a sud del capoluogo di Regione, Palermo. Calogero stava compiendo il consueto giro di perlustrazione per la campagna assieme ad altre due guardie campestri, Pietro Splendido e Pietro Cortimiglia, quando si accorse di un furto in corso d’opera.
Gli autori del crimine erano personaggi conosciuti: Luciano Liggio e Vito Di Frisco.
L’allora diciannovenne Liggio venne arrestato mentre tentava di rubare covoni di grano, mietuto ed imballato durante le torride giornate estive da giovani braccianti provenienti da Bagheria, Misilmeri e Villabate. Una volta sorpreso ed ammanettato venne scortato “quasi a calci” attraverso il paese, fino alla caserma dei carabinieri.
Umiliato in tal modo, Lucianeddu, già meditava vendetta.
E così la mattina del 28 marzo 1945 – Liggio era fuori dal carcere in libertà provvisoria già da ottobre – due killer a volto scoperto pedinano Calogero e gli sparano.
I colpi di pistola lo atterrano sui gradini di casa nella centrale via Sferlazzo, davanti agli occhi atterriti della moglie Maddalena Ribaudo e del più grande di cinque figli, Carmelo.
Il piano di vendetta Liggio l’aveva studiato per mesi assieme a tale Giovanni Pasqua, suo coetaneo.
L’omicidio doveva essere messo a segno la sera del 27 marzo ma Calogero, accortosi di essere seguito da due individui incappucciati, di cui in uno gli parve di riconoscere proprio il volto di Giovanni Pasqua, riuscì a rifugiarsi aprendo rapidamente il portone di casa, cogliendo di sorpresa i due assassini.
Spaventato, confidò alla moglie l’accaduto interrogandosi sul perché di tale evento.
La mattina seguente sembrerà a Comaianni di vivere un dejà-vu: due individui lo seguono mentre esce per buttare l’immondizia, lui se ne accorge; questa volta cerca prima riparo da un vicino che gli chiude la porta in faccia, poi a casa. Bussa. Gli sparano.
Ferito, tenta di salire i primi scalini.
I killer lo raggiungono. Calogero li riconosce mentre gli scaricano addosso i colpi di lupara fatali.
Muore a 45 anni Calogero Comaianni per mano di giovanotti spietati: uno si chiama Giovanni Pasqua, il quale prima confessa, poi presto ritratta (e verrà dichiarato innocente perché egli si lamenterà che la sua confessione durante il processo di primo grado, era stata estratta con la tortura); l’altro, arrestato nel 1964, tre anni prima del processo d’appello, è Luciano Leggio, amico e precettore di quei “corleonesi”, parimenti spietati, Riina e Provenzano.
E’ lo stesso Giovanni Pasqua ad indicare in Liggio l’assassino di Comaianni. Durante il medesimo processo di primo grado, lo accuserà anche del delitto del sindacalista Placido Rizzotto.
Entrambi i processi termineranno, in primo grado, con una medesima, insoddisfacente, “insufficienza di prove.
Il processo davanti alla Corte d’Assise d’appello di Bari, nel 1967, confermerà la sentenza di primo grado.

 

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