Gioia Tauro, Michele che aveva solo 12 anni

La mafia non guarda in faccia nessuno. Non ha guardato in faccia Michele Arcangelo Tripodi e l’innocenza dei suoi dodici anni quando, la sera del 18 Marzo 1990 lo ha fatto sparire da Gioia Tauro, dove il piccolo viveva con la sua famiglia.
Una telefonata anonima: “Michele è stato rapito. Preparate i soldi e che siano tanti” il solo indizio che la madre di Michele, Maria Montagna Gangemini, ha avuto a disposizione per anni. Ricevuta quella telefonata, il primo pensiero dei genitori di Michelangelo (Michele per gli amici) fu quello di uno scherzo. Ma non era così.
Quello era un primo avvertimento per il padre Rocco Tripodi, commerciante di agrumi in odore di mafia: la colpa di Rocco era quella di aver fatto un qualche sgarro ai criminali della Piana di Gioia Tauro. Michele, invece, di colpe non ne aveva. A mezzanotte di quello stesso giorno si iniziarono le ricerche di Michele, senza successo. Si scoprirà in seguito che, probabilmente, il piccolo Michele era stato ucciso la sera stessa, per essere poi seppellito in un luogo sconosciuto, dov’è rimasto per sette lunghissimi anni. Eppure, con la sparizione di Michele a Rocco Tripodi stava venendo concessa una scelta: piegarsi alla volontà di chi lo minacciava (non fu mai chiaro, infatti, se si trattasse di una lite tra cosche rivali o di una discrepanza interna alla stessa cosca Lamalfa, a cui Rocco Tripodi apparteneva) o mantenere la sua posizione. Rocco Tripodi, irremovibile, seguì questa seconda opzione e sarà proprio questa decisione a portarlo alla morte otto mesi dopo la sparizione di Michele a cui invece, una scelta non fu mai concessa. Una scarica di 18 colpi di lupara porrà fine alla vita di Rocco. L’auto andrà fuori strada, mentre viaggiava verso Palmi, e Ferdinando Barbalace che, chissà per quali coincidenze, stava guidando dietro la macchina di Rocco, sarebbe stato ucciso perché accorso sul luogo del delitto, pensando a un incidente stradale e volendo prestare aiuto. Un altro nome che si aggiunge alla lunga lista delle vittime trasversali di mafia. E questa è solo parte di una delle tragedie architettate dalla mafia.
Per sette lunghissimi anni del piccolo Michele non si sono avute notizie. La madre Maria, pur rimasta sola, non ha mai smesso, però, di cercare il figlio scomparso, rivolgendosi anche alla trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?” con la speranza di far luce sulla scomparsa del figlio.
Michele sarà ritrovato il 14 luglio 1997 nelle campagne di Rosarno grazie alle confessioni dei collaboratori di giustizia che solo tardivamente hanno rivelato gli omicidi eseguiti in quel periodo, tra i quali, quello di Michele. Da qui prenderà avvio l’operazione “Tirreno”, grazie alla quale verranno arrestati centinaia di esponenti delle cosche della Piana e altri capi storici. Ed è così che è stato indicato il luogo di sepoltura di Michele insieme al nome dell’omicida. Inoltre è stato anche indicato il nome del conoscente che, all’epoca minorenne, avrebbe attirato Michele in trappola. Processato, è stato discolpato.
Ma la tragedia di Michele non finisce qui. Nel punto in cui Annunziato Raso, collaboratore di giustizia, aveva inizialmente indicato di scavare, il corpo di Michele non venne ritrovato. Ci sarà un’altra rivelazione, quella del fratello di Annunziato, Salvatore, che indicherà un luogo non molto distante, quaranta metri rispetto a quello inizialmente segnalato da Annunziato stesso. Quando il corpo venne riportato alla luce, un dettaglio, la scarpa tranciata a metà, poteva essere indice che il corpo fosse già stato dissotterrato in precedenza e spostato in un punto diverso rispetto quello iniziale. E il mistero si infittisce. Come mai tutto questo è stato architettato? Il sospetto era che fosse per far perdere credibilità alla confessione di Annunziato Raso.
Quella di Michele è una delle tante storie che vede come protagonista una vittima di mafia, vittima di un mondo le cui logiche ai più spesso risultano incomprensibili: un mondo distante ma allo stesso tempo vicino. Questo mondo lo ha inghiottito, distruggendo non solo la sua vita alla tenera età di 12 anni, ma sottraendolo anche all’abbraccio materno e alla dovuta sepoltura, lasciando un vuoto e un’indeterminatezza che soltanto prima l’amore e poi la disperazione di una madre sono state in grado di colmare. Una madre che ha scavato per conto proprio, non volendo più aspettare, dopo le sollecitazioni, i tempi della giustizia, inginocchiata, sotto un sole infuocato, assieme a parenti e a un operaio in un agrumeto privato. Una madre che ha trovato i resti del proprio figlio, briciole di capelli e indumenti che le hanno fatto sussurrare “Figlio mio, avevi solo dodici anni”. E la giustizia, per quelli come Michele arriva sempre troppo tardi.

https://mafie.blogautore.repubblica.it/