ATTENTATO AD ANTOCI: E’ STATA LA MAFIA DEI PASCOLI O L’ANTIMAFIA DI LA ‘MUNNIZZA’? LE IENE E L’AGGRESSIONE A FAVA, AL GIORNALISTA VIVIANO ED ALL’EX VICE QUESTORE CERAOLO

Vorremmo azzardare qualche spiegazione ed avanzare alcune ipotesi, per capire il perché delle recenti ed immotivate aggressioni, da parte delle Iene, nei confronti di tutti coloro i quali hanno messo in discussione l’attendibilità di alcune ricostruzioni, relative ad un attentato subito dall’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci. Era la notte tra il 17 ed il 18 maggio del 2016, Giuseppe Antoci stava dormendo, quando tre colpi di fucile raggiungono la parte bassa della portiera posteriore della macchina blindata a bordo della quale stava viaggiando. Una delle due corsie della strada che stava attraversando era ostruita da alcuni massi, mentre l’altra carreggiata era libera. L’autista e la scorta di Antoci si fermano, mentre sopraggiunge l’allora commissario di polizia di Sant’Agata di Militello, Daniele Manganaro, che lo fa scendere dall’auto blindata, lo fa salire nella sua e, di corsa, se lo porta via. Si tratta di un intervento per lo meno imprudente. Il tutto sembra molto rocambolesco.

Subito, ed è il minimo che si possa fare in questi casi, si parla ovviamente di attentato mafioso, in risposta all’azione di contrasto da parte di Giuseppe Antoci, nella sua qualità di Presidente dela Parco dei Nebrodi, contro la mafia dei pascoli che, grazie ad una sorta di occupazione ‘militare’, di migliaia di ettari di superfici boschive, ottiene da decenni, in maniera illecita, ingenti finanziamenti dall’Unione Europea.

Solo che…

Qualche anno dopo, malgrado la pressante attività investigativa da parte dei ROS dei Carabinieri, le Autorità Giudiziarie messinesi, coadiuvate stranamente dagli stessi poliziotti rimasti vittime di quell’attentato, non riescono a trovare i colpevoli ed il relativo procedimento penale veniva archiviato.

Quindi che quell’attentato sia di matrice mafiosa rimane solo una plausibile ipotesi e niente di piu’.

Anzi succedono una serie di cose strane come ad esempio…

Le morti “naturali” di due poliziotti, la testimonianza choc dell’ex compagna dell’agente Granata, presente quella notte sul luogo dell’attentato. Un giallo, fra i tanti misteri rimasti irrisolti, di cui ovviamente, nel corso delle due trasmissioni delle Iene non si parla. Si tratta del decesso dei due più fidati collaboratori del vice questore Daniele Manganaro, a distanza di un giorno l’uno dall’altro.
Nella relazione dell’Antimafia Regionale, che sarà trasmessa oltre che al Presidente dell’Ars, anche alla Commissione antimafia nazionale e alle Procure della Repubblica competenti, si affronta anche la vicenda del sovrintendente Calogero Emilio Todaro e dell’assistente capo Tiziano Granata.

Ma le Iene su questo punto, nel corso di due trasmissioni ‘pirata’, mandate in onda a febbraio, non dicono niente.

Per loro è assolutamente insignificante il fatto che due poliziotti quarantenni, pienamente coinvolti in quelle intricate e tragiche vicende, pur godendo di ottima salute, muoiono a distanza di un giorno l’uno dall’altro. Granata, il 1° marzo 2018 per arresto cardiocircolatorio. Todaro, l’indomani, a seguito di una leucemia fulminante. Per queste morti, la Commissione – che ha cercato di approfondire i numerosi interrogativi lasciati aperti dal decreto di archiviazione, disposto dal gip di Messina sul caso Antoci – ha chiesto che vengano riaperte le indagini”.

Granata era l’autista di Manganaro, la notte dell’agguato ad Antoci. Todaro fu invece tra i primi ad

intervenire sul luogo del crimine, in qualità di responsabile della sezione di polizia giudiziaria del commissariato di Sant’Agata di Militello. Todaro, proprio per il suo ruolo di responsabile della sezione polizia giudiziaria, è anche l’operatore che avrebbe seguito le indagini sull’agguato, in co-delega con la squadra mobile di Messina, per conto del commissariato di Sant’Agata di Militello.

Molti organi di informazione, tranne le Iene, ovviamente, avanzano seri dubbi sulla tragica coincidenza delle morti di questi due disgraziati poliziotti.
Anche Manganaro e la compagna di Granata, Lorena Ricciardello, esprimono delle giustificabili perplessità riguardo al fatto che si tratti di due decessi per cause naturali.
Ricciardello, in particolare, ha descritto alla Commissione quale fosse lo stato d’animo di Granata, sia nei mesi successivi all’agguato che nei giorni immediatamente precedenti alla sua morte.”Era preoccupato….diceva che bisognava stare attenti e faceva anche attenzione a dove e come si muoveva, nel senso che si guardava sempre attorno“.
Infine pare ci sia un vuoto nella giornata del 28 febbraio, in cui non si hanno notizie di Tiziano e del suo telefono. Ma il giornalista delle Iene, Gaetano Pecoraro con questi servizi, studiati e montati a tavolino, cerca di screditare Fava e denigra l’intero operato della Commissione Antimafia sollevando anche questioni di incompetenza.
Pecoraro, guarda caso, chissà perché, ha però dimenticato di citare la morte dei due agenti della scorta di Antoci, presenti quella notte, morti a distanza di poche ore l’uno dall’altro.
Uno è stato trovato senza vita nella sua casa a Brolo, nel Messinese; mentre l’altro, capo della squadra di polizia giudiziaria, lo stesso giorno viene ricoverato in ospedale a Messina, per una sospetta leucemia, e perde la vita il giorno dopo. Una drammatica sequenza su cui due procure siciliane hanno deciso di vederci chiaro. Quella di Messina è al lavoro sul decesso del sovrintendente capo Rino Todaro, 46 anni. Quella di Patti, nel Messinese, sta indagando con l’ipotesi di omicidio sulla morte dell’assistente capo Tiziano Granata, 40 anni.
Granata, la notte del 18 maggio 2016, guidava l’auto di servizio sulla quale c’era anche il vicequestore aggiunto Daniele Manganaro che aveva ingaggiato un conflitto a fuoco con un commando, che aveva teso un agguato all’ex presidente del parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci.
Gaetano Pecoraro ha volutamente omesso di raccontare questa triste pagina del caso Antoci, sulla quale gli organi inquirenti stanno ancora indagando.

Altro fondamentale passaggio, omesso dal giornalista Pecoraro in entrambi i servizi mandati in onda dalle Iene è evidenziato nella relazione finale della Commissione Antimafia sul ‘caso Antoci.’

Il Sindaco di Cesarò, Salvatore Calí, parla di aver ricevuto una telefonata da parte del senatore Lumia (che, in molte inchieste giudiziarie, viene indicato come il referente politico di Antonello Montante), ma anche da parte dello stesso Giuseppe Antoci. Entrambi lo invitavano a rettificare una sua dichiarazione pubblica, precisando che doveva dire alla stampa che quell’attentato era di matrice mafiosa. Il Lumia ed Antoci, siamo nel 2016, si rivolgevano al Calì rimproverandolo e raccomandandogli di dire che era stata la mafia dei Nebrodi ad ordire ed a mettere in atto quell’attentato. Anche se ad oggi, siamo nel 2020, non c’è alcun riscontro investigativo che dimostri tale assunto; considerato che non sono stati individuati né i colpevoli e né gli eventuali mandanti. Eppure si continua ad aggredire e crocifiggere il presidente dell’Antimafia Regionale, Claudio Fava, od ancora il giornalista Francesco Viviano che, sul settimanale L’Espresso, aveva semplicemente espresso qualche

perplessità sulle modalità di questo attentato. Od ancora, sempre il giornalista Pecoraro, in preda ad una sorta ‘accanimento terapeutico’ si è messo alle calcagna dell’ex vice questore Mario Ceraolo, che oggi è in pensione e fa l’avvocato, perché reo, anche lui, di avere messo in discussione alcune ricostruzioni che sembrerebbero del tutto apodittiche.

Anzi, nel caso di Ceraolo ci si spinge ben oltre… Quasi come se meritasse una severa punizione!
L’ex vice questore e oggi avvocato Mario Ceraolo, deve forse pagare il prezzo di avere rispostoo a delle dichiarazioni di Giuseppe Antoci sul suo conto, in cui si faceva riferimento ad una presunta indagine aperta a Messina su di lui. Al che il Ceraolo alcuni mesi fa andò dritto al punto, replicando e smentendo la notizia. Si è trattato dell’ennesimo tassello di una sequela di polemiche, partite dopo la pubblicazione della relazione della Commissione Regionale Antimafia, sul fallito agguato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi, nel maggio 2016. Le conclusioni del dossier non sono state condivise dal protagonista, secondo il quale non c’è alcun dubbio che ci fosse la mafia dietro il suo agguato. Così, a più riprese, Antoci ha risposto, aprendo il fuoco di fila prima contro Claudio Fava, presidente della Commissione, poi contro Ceraolo, che così ha replicato:

“Debbo rilevare che il sig. Antoci ed il dott. Manganaro, tramite il suo legale, rivolgono strumentali attacchi nei miei confronti, nonostante le conclusioni cui è pervenuta la Commissione Regionale Antimafia siano basate, oltre che su di un articolato compendio di atti giudiziari, su numerose audizioni in grado di fornire un oggettivo contributo alla verità; ma in merito a detti elementi, che, secondo quanto emerge dalla relazione, li smentiscono su più circostanze, i due hanno ritenuto di non soffermarsi.”

“Così come nulla dicono in merito ai “dubbi” e alle “anomalie” cui fa riferimento, davanti alla Commissione Regionale Antimafia, il Questore pro tempore in relazione a quanto accaduto il 18 maggio 2016 e nel corso delle indagini.

Il dott. Manganaro – smentito su varie dirimenti circostanze dal Sindaco Calì, dal Maresciallo Lo Porto, dagli agenti della scorta e dal suo autista, dai Questori Finocchiaro e Cucchiara – è, addirittura, giunto al punto di smentirsi da solo allorquando, al solo scopo di diffamarmi davanti alla Commissione Antimafia, ha negato specifiche circostanze, dimenticandosi di averle già ammesse davanti ai Pubblici Ministeri due anni prima.

Forse qualche ulteriore spiegazione del perché anche le Iene abbiano preso di mira il Ceraolo, la potremmo rintracciare rovistando sempre, e comunque, in mezzo ai rifiuti.

E sì, fa sempre capolino l’antimafia della ‘munnizza’ o, come sono sempre solito affermare, la ‘munnizza dell’antimafia’. Di queste insane prassi para-giudiziarie, ne parlo nel mio libro ‘Il Sistema Montante’,

pubblicato lo scorso anno dall’editore Bonfirraro. Purtroppo è sempre la solita vecchia storia, sempre attuale ed assai utile a far fuori chiunque si ribella alla ‘dittatura delle discariche’. Infatti, per gestire tranquillamente delle mega discariche o mega impianti inquinanti, in cui vengono trattati gli scarti del petrolio, è necessario sbarazzarsi, con tanto di processo per mafia a carico dei malcapitati e sventurati sindaci e relativo scioglimento dei Comuni, delle Amministrazioni e dei Consigli Comunali che si oppongono a tali business illeciti ed altamente inquinanti. Come è noto qualcosa del genere è avvenuto nel 2007 a Siculiana, nel 2012 a Racalmuto, nel 2015 Scicli, e lo scorso anno a Misterbianco.

E chi può escludere, Iene permettendo, che anche da quelle parti, nel Messinese, non stia avvenendo, ancora una volta, qualcosa del genere? Anche in questi giorni, infatti, stanno continuando ad infuriare non solo le polemiche, ma anche le proteste contro la mega discarica di Mazzarrà Sant’Andrea, gestita dalla società Tirreno Ambiente ed il cui commissario è l’ex eurodeputato e dirigente regionale, Sonia Alfano. In quell’area si rischia di continuare ad ammorbare l’aria ed inquinare le falde acquifere di numerosi paesi e, tra questi, Furnari. Tra l’altro recentemente, così come è avvenuto per la discarica di Motta Sant’Anastasia, al confine con Misterbianco, sono stati autorizzati degli impianti, sovradimensionati, per depurare il

percolato proveniente anche da altre discariche.

E c’è di piu’…

Chi difende in questo momento gli interessi ambientali, economici e legali del comune di Furnari?

Ma, guarda caso, Mario Ceraolo, nella sua nuova veste di avvocato del comune Furnari, ossia l’ex vice questore aggredito proprio in questi giorni dal giornalista Gaetano Pecoraro, formalmente per far luce sull’attentato ad Antoci. Sostanzialmente non lo sappiamo!

Ed allora, forse nel Messinese, oltre all’attentato ad Antoci c’è di piu’. Ci sono da ‘smaltire’, come al solito, le svariate centinaia di milioni di euro del business di la ‘munnizza’, del business relativo alla depurazione del percolato, ossia il liquido altamente inquinante che sprigionano i rifiuti.

E l’inquinamento in Sicilia, così come nel resto d’Italia, non è solo quello di natura ambientale…