Antonio, l’angelo custode del procuratore

Antonio Lorusso era un appuntato del Corpo degli Agenti di Custodia. Fu ucciso il 5 maggio 1971 da Cosa Nostra, mentre si trovava in auto con il procuratore Capo della Repubblica Pietro Scaglione. Il racconto, che trae spunto da quanto successo, è dedicato alla memoria di Antonio, ripercorrendo i momenti di quella tragica giornata, i probabili pensieri e i sentimenti della vittima, ignara del destino che l’attendeva.
Era una giornata particolarmente calda quella del 5 maggio a Palermo. Il sole bruciava sulla pelle e il fresco sapore dell’estate andava diffondendosi con largo anticipo per le vie della città. Un uomo si svegliava pronto a vivere una nuova giornata lavorativa, una delle tante accompagnata da quel cielo sereno e dai raggi di sole filtrati dalle tapparelle. Antonio – così si chiama l’uomo in questione – si preparava per recarsi a lavoro: ha 42 anni, volto buono e occhi vispi. È nato a Ruvo di Puglia, è un uomo onesto e dedito al lavoro ed alla famiglia. È “dotato di grandi capacità, operosità e irreprensibile condotta, intuitivo, disciplinato e riguardoso, si distingue per encomiabile attaccamento al dovere e per la precisione e lo zelo con cui disimpegna i vari incarichi affidatigli”, così lo dipinge con parole di elogio il Procuratore Pietro Scaglione.
Antonio, mentre scendeva le scale, pensò a tutto ciò che avrebbe dovuto fare quel giorno del 5 maggio 1971, a cominciare dal recarsi proprio presso l’abitazione del Procuratore Scaglione, che avrebbe dovuto accompagnare al cimitero – come faceva ormai da sei anni – da quando la moglie di lui se ne era andata. Salito in macchina, come suo solito, si aggiustò la camicia e partì, canticchiando una canzone in dialetto pugliese. In quel breve tragitto da casa sua a quella di Scaglione, rivangò alcuni avvenimenti della sua vita, al mestiere che aveva scelto e a quanto lui avesse fatto per gli altri. Si rendeva conto di prestare servizio accanto ad un uomo che combatteva per la giustizia, un concetto astratto per molti, ma che lui non riteneva tale. Spesso aveva udito uomini parlare di giustizia. Erano quelli che si nascondevano dietro alle parole, abili nell’arte del persuadere. Affermavano con sicurezza che la giustizia si sarebbe potuta ottenere solo con un cambiamento nella società e nell’uomo. E, dunque, non si poteva far nulla perché nulla sarebbe cambiato.
Antonio, però, non la pensava così: “Si può fare qualcosa, basta pensare in grande”, ripeteva spesso a sé stesso, sebbene provasse un certo timore nel dire questo ad alta voce. Forse per paura di essere tradito da quelle stesse parole nelle quali riponeva fiducia. E poi c’era la dedizione per il lavoro dignitoso che svolgeva. Per lui la giustizia era un po’ come la Provvidenza per Fra Cristoforo de I Promessi Sposi. Posso dire ora con certezza che sebbene spesso temesse di parlare ad alta voce, ciò che Antonio pensava lo dimostrava lavorando con costanza ogni singolo giorno. Nel suo mondo fatto di lealtà e dedizione, è riuscito a cambiare qualcosa, tuttavia rimettendoci la vita.
Una volta che il Procuratore Scaglione entrò in macchina, i due si scambiarono un sorriso. Poi la macchina ripartì. Durante il viaggio, tra una chiacchiera e l’altra, Antonio si chiedeva a cosa stesse pensando l’uomo che da ormai tanto tempo scortava ed era diventato suo grande amico. Aveva imparato a comprenderlo sebbene quest’ultimo non fosse loquace. Scaglione per lui era un uomo buono e onesto. E Antonio non poteva che essere fiero di fargli da scorta. In quella giornata così bella, lesse negli occhi di Scaglione timore e preoccupazione, così come dai suoi gesti – il costante battere dell’indice – comprendeva il desiderio di liberarsi di quei pensieri più grandi di lui. “Starà pensando a sua moglie” ripeteva tra sé e sé Antonio, ignaro di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco. I pensieri che tormentavano Pietro Scaglione da tanti anni, infatti, sarebbero presto diventati reali. Antonio accostò la macchina di fronte all’entrata principale del cimitero e aspettò pazientemente il ritorno del Procuratore, il quale, dopo aver reso omaggio alla moglie con un gran mazzo di fiori, tornò alla macchina e chiese ad Antonio di portarlo al Palazzo di Giustizia.
Il viaggio in macchina era silenzioso. Non si trattava però di uno di quei silenzi imbarazzanti. Entrambi erano assorti nei rispettivi pensieri. Quando si crede in ciò che si fa, si ha una vera passione. Lavorare per servire la giustizia non è solo un dovere, una vocazione, ma diventa quasi una necessità personale.
D’improvviso il tempo sembrò fermarsi e tutto cambiò. La macchina in cui viaggiavano Lorusso e Scaglione si trovava in via dei Cipressi. I due uomini furono completamente presi alla sprovvista da una Fiat 850 bianca che affiancò la loro Fiat 1500 nera. Antonio tentò invano di destreggiarsi da quel blocco improvviso ma tutto accadde in fretta. Alcuni uomini scesero dall’auto e immediatamente Antonio Lorusso e Pietro Scaglione compresero cosa stesse accadendo.
Quando si lavora contro qualcosa di troppo grande e poco conosciuta, e non si dispone dei giusti mezzi con cui combattere, spesso si finisce per soccombere. Antonio Lorusso e Pietro Scaglione videro la morte in faccia e, impotenti, dovettero accettarla. Morirono così, colpiti da decine di proiettili. Antonio era portato via alle braccia amorevoli della moglie e dei suoi due figli.
Anni dopo Antonio Lorusso è stato riconosciuto Vittima del Dovere dal Ministero dell’Interno. A lui è dedicato il carcere dei Pagliarelli: alla cerimonia di intitolazione sono stati presenti il figlio del procuratore Scaglione, Antonio, e i figli dell’agente Lorusso, Felice e Salvatore. Lorusso e Scaglione erano accomunati anche dall’impegno per il miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri.
Di Antonio Lorusso si parla e se ne è parlato poco. Eppure bisogna ricordare che molti uomini come lui sono morti prestando servizio al fianco di procuratori, magistrati e giudici. Passano in secondo piano coloro che, pur consapevoli di poter morire in qualsiasi momento, hanno continuato a lavorare, come se nulla fosse. Per se stessi, per una battaglia in cui credevano e che non ritenevano persa in partenza o addirittura impossibile. Diamo memoria e voce a coloro che sono stati dimenticati, che erano il contorno di storie passate, ricordiamo anche l’ultimo agente di scorta. Impariamo da questi uomini, impariamo a coltivare le nostre idee: i frutti saranno ottimi. Perché tutto parte dal più piccolo dei gesti.

Giordana Germinario (Studentessa del Liceo Tito Livio di Martina Franca – Progetto Cosa Vostra)

 

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