Covid-19 E se avesse ragione Francesco Loria, medico siciliano?

Cosa sappiamo del nuovo Coronavirus? Esattamente quello che ha detto la virologa Ilaria Capua al Corriere della Sera: “Noi questo virus lo conosciamo da poco, in Italia da metà febbraio quindi sì e no da due mesi. Sono tante, tantissime le cose che non sappiamo e su cui molti si interrogano e purtroppo la scienza ha tempi lunghi, lunghissimi per arrivare alle sue certezze relative. Un mare di incertezza ci avvolge e ci disorienta”.

Negli ultimi giorni abbiamo assistito a un rincorrersi di notizie in merito a possibili nuove cure. Dalle bufale su farmaci miracolosi usati all’estero (Russia e Giappone) smentite da nuovi focolai e decessi, a farmaci attualmente testati in via sperimentale nelle nostre strutture ospedaliere e che sembra possano rappresentare una speranza concreta a livello di cura, come nel caso dell’ospedale Cotugno di Napoli, dove il dottor Paolo Ascierto, ha per primo utilizzato il tocilizumab nel trattamento dei pazienti affetti da Covid-19.

Contemporaneamente, purtroppo, assistiamo alle polemiche e alle critiche da parte di altri medici che ogniqualvolta si prospetta una nuova possibile scoperta o cura, immediatamente la tacciano di essere una nuova bufala.

I più recenti studi, convengono sul fatto che il problema principale del virus non è tanto la sua letalità intrinseca, quanto la reazione immunitaria che provoca nell’organismo colpito.

Il nostro organismo, reagisce dunque con un meccanismo di difesa che serve ad eliminare l’agente che l’ha aggredito (nel nostro caso il virus SARS-CoV-2 che è quello che causa la malattia, Covid-19) avviando il processo di riparazione delle cellule o dei tessuti colpiti. L’infiammazione, non è altro che il meccanismo di difesa con il quale reagisce il nostro corpo all’aggressione subita.

Le citochine infiammatorie, comunicando  con le cellule del sistema immunitario scatenano la risposta al virus. È proprio l’eccesso di questa risposta la causa dell’elevato livello di letalità della malattia.

Da questi studi sono nate le teorie sui meccanismi con i quali il virus determina la malattia, l’evoluzione di questa, lo studio dei farmaci da adoperare.

Nel tentativo di comprendere quello che sta accadendo, abbiamo seguito quotidianamente le notizie che riguardano non soltanto i dati statistici in merito all’andamento dell’epidemia nel nostro paese, ma anche le nuove possibili scoperte. Ci siamo così imbattuti in un video del 26 febbraio di quest’anno, nel quale il dottor Francesco Loria, medico di Cammarata (Ag), illustra una sua ricerca sul modo in cui il virus agisce per attaccare le cellule e sul perché colpisce prevalentemente i polmoni. Si tratta di una ricerca che Loria ha anche depositato e i cui dati scientifici sono stati trasmessi all’Istituto Superiore della Sanità e ad Istituti Ospedalieri.

Loria ritiene che la sua ricerca lo abbia portato a risolvere alcuni punti oscuri che la letteratura scientifica non aveva ancora chiarito, spiegando che dai dati biochimici analizzati si può arrivare, per esempio, al perché il contagio e la sua evoluzione segua un percorso diverso nella popolazione in età pediatrica. Uno studio in merito al quale si è anche confrontato con colleghi di diversa branca di specializzazione che hanno trovato interessanti le sue scoperte, confrontandole con le conoscenze nel campo della loro specializzazione.

La ricerca del dottor Loria, partita dallo studio della preesistente letteratura scientifica mondiale, troverebbe riscontro in quanto sembra che confermino gli studi resi noti in questi ultimi giorni. Anche all’estero si starebbe indagando su un anticorpo monoclonale basato sui dati dell’elaborazione del medico siciliano.

Il medico siciliano, che non ha fatto alcun cenno a una possibile terapia, ha anche prodotto uno studio in merito all’elevata differenza di decessi avvenuti nel Nord Italia rispetto al Meridione. Un’indagine che spiegherebbe le differenze regionali (come ad esempio Veneto, Trentino e Valle D’Aosta)  rispetto la Lombardia, dove Loria avrebbe individuato una sostanza che verrebbe toccata dalla reazione biochimica trattata nella sua ricerca. Sarebbe sufficiente un semplice test per verificare non soltanto il fattore ambientale che ha causato l’immane tragedia nel Nord, ma anche per individuare e proteggere i soggetti che sarebbero più predisposti a sviluppare il Covid-19 con gravi conseguenze.  È paradossale che si sia arrivati a voler sperimentare farmaci dei quali si parla nei video diffusi dall’estero su Youtube, quasi ignorando – o facendo finta d’ignorare –   presupposti chimici da assioma sui quali non si può dissentire e lo studio condotto già mesi prima dell’epidemia sui farmaci ACE-inibitori e farmaci sartani.

Una ricerca molto complessa – quella di Loria – che mette in correlazione la molecola da lui studiata, la costituzione dell’atmosfera, la fascia di età pediatrica che quasi non sviluppa la malattia e la fascia di popolazione ipertesa che si ammala di più. Tutti dati verificati e verificabili con evidenze cliniche ed epidemiologiche, che poggiano su studi pubblicati con rigore scientifico, che potrebbero essere utili sia per la prevenzione, riuscendo ad individuare le fasce a rischio, che per arrivare a una terapia, bloccando, prima dell’ingresso cellulare i recettori che il virus va a toccare, per non farne partire la produzione (guarda il video).

Sarà una coincidenza quella che diversi studi – seppure in tempi e con aspetti diversi  – sembrano portare nella stessa direzione? Loria già nel mese di febbraio aveva esposto alcune teorie che oggi trovano conforto con le più recenti scoperte. Perché dunque avventurarsi in ricerche frazionate ed eterogenee con sperimentazioni di farmaci (v. il giapponese Avigan) per i quali non c’era alcuna evidenza scientifica  che curasse o prevenisse il Covid-19, anziché mantenere una linea di condotta univoca mettendo insieme tutto ciò che conosciamo di questo nuovo coronavirus perché si possa arrivare nel più breve tempo possibile – se non a un vaccino – a una cura?

L’ultima notizia è quella di poche ore fa che vede una terapia anticoronavirus progettata in Italia e prenotata da ospedali americani pronti a sperimentarla. nordamericani e canadesi, diversi pazienti sono pronti a provarla. A metterla a punto un gruppo di ricerca coordinato dal professor Giacomo Rossi, che partito dal coronavirus del gatto è arrivato a un protocollo di cura per gli esseri umani.

Anche in questo caso, è stato evidenziato che il nuovo virus presenta un numero maggiore di legami con i siti di Ace2, che utilizza per entrare nelle cellule del polmone, dell’apparato digerente e del tratto genito-urinario dell’uomo.

Un’analisi che conferma quanto già scoperto e sostenuto da Francesco Loria fin dal mese di febbraio.

Mentre i medici in prima linea si confrontano per arrivare a una soluzione, parte del mondo scientifico (in particolare quella che può permettersi di inondare l’informazione con le proprie teorie) alla stregua di quello calcistico e di quello politico, sembra dividersi in tifoserie da stadio. Più che la ricerca della soluzione, pare debba prevalere l’acquisizione del merito o quantomeno l’imprimatur  di questo o quel professorone, poco importa che siamo in presenza di circa 20.000 morti a seguito di questa epidemia.

Gian J. Morici