Summit e Patti per il futuro

12 ottobre di quell’anno [1957] all’hotel Delle Palme di Palermo si tiene un singolare incontro siculo–americano. Da parte americana, tra gli altri, ci sono Lucky Luciano, Giuseppe Bonanno noto anche come Joe Bananas, Francesco Garofalo che negli Stati Uniti era conosciuto come Frank Carrol e Joseph Palermo della famiglia Lucchese. Gli italiani sono rappresentati dal vecchio Giuseppe Genco Russo, Gaspare Maggadino, i fratelli Greco, Luciano Leggio e i La Barbera. « Tutti avevano in  comune  la  capacita`   di  pensare  in  grande,  a  superamento  delle modeste e taccagne visuali contadine delle precedenti generazioni mafiose ».  C’è anche  Gaetano  Badalamenti  « dalla  mentalità  più  tradizionalista e rispettosa degli antichi valori mafiosi », che appare come un  « personaggio  in  bilico  tra  due  eta` ».
L’incontro  di  Palermo  segue quello analogo tra siciliani e americani dell’anno precedente nella villa di Joseph Barbara ad Apalachin (New York).
L’ordine del giorno di questi incontri si concentra su due questioni. La prima: la riorganizzazione del traffico internazionale di droga che, dopo la chiusura della grande base caraibica di Cuba, dove era in corso la rivoluzione di Fidel Castro, è costretta a trovare nuove rotte rispetto alle quali la posizione geografica della Sicilia diventa centrale, anzi strategica; la seconda: la creazione di una struttura di vertice di Cosa nostra che sul modello americano permetta alle cosche siciliane di evitare  la  frammentazione,  struttura  che  anni  dopo  sarà  rivelata  in tutti  i  suoi  dettagli  da  Tommaso  Buscetta  quando  deciderà  di  parlare con Giovanni Falcone. In conseguenza di questa decisione dapprima « si costituisce un organismo provinciale palermitano, da cui sono esclusi dunque i trapanasi, nel quale siedono inizialmente personaggi di secondo rango (semplici “soldati”) e non i capi-famiglia » che invece parteciperanno in un secondo momento dando impulso alla struttura  di  comando  più  solida  e  più  duratura  nel  tempo.
Buscetta darà  una versione diversa dell’incontro che, ammette, c’è stato  ma  al  ristorante  Spano`  che  si  affaccia  sul  mare  e  non  all’hotel Delle  Palme  dove  invece  è  alloggiato  Bonanno  che,  come  un  gran signore d’altri tempi, riceve gente e tiene conversazione con numerose persone  accorse  ad  omaggiarlo.  E,  soprattutto,  non  si  è parlato  di stupefacenti  perché,  dice  Buscetta:  « sono  convinto  che  Joe  Bonanno non abbia mai commerciato in stupefacenti ». Buscetta invece con- ferma che in quell’incontro conviviale Bonanno ha prospettato l’idea di dar vita ad una commissione.
Il   vertice   all’hotel   Delle   Palme   è  talmente   sottovalutato   dalla polizia che redige un rapporto sulla partecipazione di Genco Russo scrivendo  che  è accompagnato  da  alcuni  «sconosciuti».  In  una  relazione all’Antimafia si possono leggere giudizi molto severi: In nessun modo può  ritenersi possibile che la Questura di Palermo non fosse in condizione di individuare gli « sconosciuti » prima della fine delle riunioni che si tenevano in uno dei saloni del centralissimo e lussuoso albergo palermitano. Del resto questa spavalda manifestazione di sicurezza dell’organizzazione  mafiosa  è  la  conseguenza  dell’inefficienza  degli  organi  della sicurezza pubblica, che i boss non ignorano e sanno valutare.
L’inefficienza  degli  organi  di  polizia  è fatta  risalire  ad  una  causa precisa che ha le sue radici nel mondo politico: Naturalmente  l’insipienza  degli  organi  della  pubblica  sicurezza  non  è che  il  riflesso  della  insensibilità  del  potere  politico,  intorno  agli  anni  ’50,  nel valutare il fenomeno mafioso per affrontarlo e distruggerlo, o quanto meno contenerlo nella sua pericolosa evoluzione. Probabilmente se quegli « sconosciuti » partecipanti al vertice palermitano fossero stati individuati, si sarebbe avuto  un  quadro  molto  più   preciso  della  evoluzione  della  « nuova  mafia », quella che si staccherà  dalle tradizionali condizioni agrarie legate al feudo, ed allo sfruttamento delle masse contadine, per collegarsi ai grandi interessi dell’edilizia, dei mercati ed infine del contrabbando e della droga. Avremmo avuto più  chiara la successione che si preparava, verso la meta`  degli anni ’60, nell’organizzazione mafiosa ed il ruolo di grande importanza che vi avrebbero svolto i nuovi e più spietati capi, i La Barbera, i Greco, i Leggio, i Badalamenti.
Giudizio molto netto e puntuale sui ritardi, le sottovalutazioni, le incomprensioni di quegli anni che concretamente si traducono in un vantaggio nei confronti di una organizzazione che ancora  si  conosce  poco e che molti sono convinti che non esista neppure, se non nelle fantasie  dei  nemici  della  Sicilia  e  dei  siciliani. Ma, a metà degli  anni settanta, quando viene pubblicata la relazione dell’Antimafia, la potenza  della  mafia  è  indicata  nei  « grandi  interessi  dell’edilizia,  dei mercati ed infine del contrabbando e della droga », cioè nel passaggio dalla  mafia  rurale  a  una  mafia  più  dinamica  e  più  aggressiva,  colta, peraltro, in un delicato momento di trasformazione e di riorganizzazione.
Nel   1958   Badalamenti   è  diffidato   dalla   Questura   di   Palermo. L’anonimo estensore del curriculum scrive che Badalamenti, in quel periodo, « per la sua violenza ed il suo passato assurge a figura di preminente importanza presso la malavita locale, tanto che la gente del paese lo teme al punto che preferisce accettare silenziosamente la sua prepotenza e le sue malefatte, per paura di vendette e rappresaglie ». Il 2 settembre 1961 a Cinisi ci sono due omicidi che la ”voce pubblica” addebita a Badalamenti. Il duplice omicidio è attribuito a Badalamenti anche dal senatore Zuccala`  perché, a suo avviso, « porta l’impronta  del  nuovo  astro  in  ascesa  che  nello  stile  del  più  spietato killerismo, ora rompe la tregua tra le cosche per “governare” l’importante centro mafioso di Cinisi ».
Badalamenti continua a tessere la sua fitta rete di relazioni andando  ben  al  di  la`  della  realtà  locale  e  frequentando  mafiosi  di calibro elevato. Il 21 agosto 1960 il « contrabbandiere » Badalamenti va a ricevere assieme a Francesco Garofalo, originario di Castellammare del Golfo, all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo, Vincenzo Martinez, originario di Marsala e proveniente da Roma.
Garofalo e Martinez sono cittadini statunitensi. Entrambi finiscono in un rapporto del luglio 1965 firmato dalla Squadra mobile della Questura di Palermo insieme ad altri siciliani del calibro di Gaspare e Giuseppe Magaddino,  Diego  Plaia,  Giuseppe  Scandariato,  Gioè Imperiale,  Francesco Paolo Coppola, Angelo Coffaro e Giuseppe Genco Russo. Tutti quanti sono rinviati a giudizio dal giudice istruttore presso il Tribunale di  Palermo  Aldo  Vigneri  perché  ritenuti  responsabili  di  aver  « svolto in Italia, e specialmente in Sicilia, negli anni dell’immediato dopoguerra  al  1965,  una  intensa  attività  associata  negli  illeciti  traffici  di narcotici, della valuta, del tabacco e dell’emigrazione clandestina interessanti gli Stati Uniti d’America e la Sicilia nel quadro della vasta organizzazione a delinquere tra italo–americani, operante negli Stati Uniti con il nome di “Cosa nostra” ovvero “Mafia Americana”, strettamente collegata alla mafia siciliana per rapporti di filiazione e permanenti ragioni di interesse ».
Francesco  Garofalo  è  « schedato »  come  sospetto  trafficante  di stupefacenti   ed   è  ritenuto   associato   con   « Plaia   Diego,   Buccellato Antonio, Martinez Vincenzo, Badalamenti Gaetano, Orlando Calogero, Cerrito Joseph, tutti elementi dediti al traffico internazionale dei narcotici ». Don Tano, descritto come un « malfattore internazionale », non è imputato in questo procedimento penale ma i suoi incontri con alcuni imputati sono ritenuti, data la sua fama e i suoi precedenti, indizi  di  pericolosità  per  gli  stessi  imputati.
Nel mese di ottobre del 1961 Badalamenti è segnalato ancora una volta all’aeroporto di Palermo in compagnia dei palermitani Angelo La Barbera e Rosario Mancino, personaggio di un certo rilievo per quel tempo  tanto  che  a  lui  è dedicato  un  intero  capitolo  nella  relazione dell’Antimafia sui singoli mafiosi. Inizia come scaricatore di porto, poi prosegue come titolare di una agenzia marittima e, infine, come esportatore di agrumi. I rapporti con Mancino sono di epoca antica e si possono far risalire almeno al 1951. Quell’anno il palermitano invia 50 kg. di eroina negli Stati Uniti all’indirizzo del trafficante  Nino  Battaglia,  nome  dietro  al  quale  si  cela  l’identità  di Badalamenti; e forse non deve essere stato molto difficile individuare il nesso tra Badalamenti e Battaglia essendo proprio Battaglia – « battagghia » in dialetto siciliano – il soprannome dei Badalamenti di  Cinisi.  è l’insieme  di  questi  rapporti  a  far  includere  Badalamenti nell’elenco dei 25 trafficanti « che senza dubbio si possono considerare    di primo piano », elenco predisposto dalla Guardia di Finanza.
All’inizio degli anni sessanta don Tano Badalamenti si sposta a  Roma dove convergono altri mafiosi. Per la precisione,  dal  febbraio  1962, « a Roma si sono dati convegno quasi tutti i maggiori esponenti    dei gruppi facenti capo a Mancino Rosario, a La Barbera Angelo, ai Greco  di  Ciaculli,  ai  Badalamenti  di  Cinisi ».  Nelle  vicinanze  c’è già Francesco Paolo Coppola, meglio noto come Frank tre dita. «Durante questo periodo, stante alle notizie raccolte sia in Italia che negli Stati Uniti,  il  controllo  sul  traffico  della  droga  passò  nelle  mani  dei  pochi latitanti come Davì  Pietro, Greco Salvatore fu Pietro, Greco Salvatore    fu Giuseppe, Buscetta Tommaso, Badalamenti Gaetano ». A Roma Badalamenti alloggia per qualche tempo all’hotel Cesari, meta di tanti altri mafiosi compresi Rosario Mancino e Angelo La Barbera. In quel periodo Badalamenti svolge una funzione importante nel mondo criminale  poiché  coordina  «i  rapporti  tra  Joe  Pici,  Gaetano  Chiofalo e Frank Coppola, rispettivamente residenti a Torrilla in Brianza, a Marsiglia e a Pomezia».
Dopo la clamorosa uccisione di Cesare Manzella, Badalamenti, prudentemente, sparisce dalla circolazione e si da`  alla latitanza che si concluderà  il  26  luglio  1969  quando  farà  rientro  a  Palermo  con  un aereo proveniente da Roma.
Durante il periodo della latitanza il suo curriculum si arricchisce ulteriormente:
28 maggio 1963 – Denunziato, in stato di latitanza, dalla Squadra mobile e dal Nucleo di polizia giudiziaria dei carabinieri di Palermo per associazione a delinquere ed altro;
17 luglio 1963 – Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo: mandato  di  cattura  perché   imputato  del  reato  di  associazione  per delinquere ed altro;
21 febbraio 1966 – Procura generale di Messina: ordine di carcerazione per conversione di pena, dovendo scontare anni tre di reclusione per contrabbando di tabacchi esteri, perché  non solvibile al pagamento della multa di £. 252.104.359;
25 febbraio 1967 – Denunziato, insieme ad altre 90 persone, dal Nucleo di polizia giudiziaria dei carabinieri di  Roma,  per  traffici  illeciti;
22 dicembre 1968 – Corte di assise di Catanzaro: assolto, per insufficienza di prove, dalla imputazione di associazione per delinquere; revocato il mandato di cattura emesso dall’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo in data 17 marzo 1963.
Durante il dibattimento del processo di Catanzaro emergono rapporti economici tra Badalamenti, Domenico Coppola, Filippo Rimi, Giacomo  Riina.  Tali  rapporti,  però,  sono  valutati  dai  giudici  catanzaresi alla stregua di rapporti d’affari e non come indizi di cointeressenze che nulla hanno a che fare con commerci quali quelli ufficialmente   dichiarati.
«All’epoca dei fatti per cui è processo», Gaetano Badalamenti risulta «impegnato nell’amministrazione dei beni propri (industria armentizia), delle sorelle e del fratello Emanuele residente in America ». La conclusione dei giudici è chiara: «Non può pertanto del tutto escludersi che rapporti economici (quali risultano attraverso i menzionati assegni) siano stati mantenuti dal Badalamenti con altri imputati, quali Rimi Filippo, Coppola Domenico (entrambi commercianti  grossisti  di  agrumi,  vini  ed  animali)  nonché  col  Di  Pisa (che curava il commercio di vino per l’esercizio intestato a sua madre) in conseguenza della comune loro attività commerciale».   Insomma, sono tutti commercianti, più  o meno agiati, che hanno tra loro normali rapporti relativi ai loro commerci.

Fonte mafie blog autore repubblica