Il triumvirato di cosa nostra


6 triumvirato

Il  punto  di  partenza  dei  rapporti  è il  periodo  che  va  dalla  strage di Ciaculli del 30 giugno 1963 alla conclusione del processo davanti alla corte di assise di Catanzaro il 22 dicembre 1968. Periodo tranquillo, senza tanti morti ammazzati – appena un paio – che gli inquirenti ritengono frutto di una tregua siglata dai principali capi mafiosi preoccupati di non turbare l’andamento del processo di Catanzaro. Buscetta,  come  si  vedrà   tra  poco,  darà   una  lettura  completamente diversa di quel periodo.
Le pagine dedicate a Badalamenti descrivono le progressioni compiute in campo criminale dal « vaccaio » di Cinisi. Una « fonte fiduciaria certa » racconta che Badalamenti « a seguito di riunione dei capi-gruppo, ognuno rappresentante di cinque famiglie, era stato nominato, secondo il vecchio rituale mafioso, “Presidente della Commissione” ». Le carte giudiziarie delineano un personaggio con una « posizione di preminenza e un ruolo direzionale » non solo all’interno della mafia siciliana ma anche nei collegamenti internazionali tra questa e quella americana.
Una donna, rimasta vedova del marito ucciso, « ha precisato che   il marito, entrato a far parte della mafia, ebbe modo di apprendere che il Badalamenti era un “padreterno” per l’alto ruolo da lui ricoperto che gli conferiva il potere di realizzare qualsiasi sua decisione e di infliggere qualsiasi punizione ».
Le carte dell’istruttoria ci mostrano nuove, importanti amicizie di don Tano a cominciare da quella, molto stretta, con Luciano Leggio.    I due diventano compari dopo che Liggio fa da padrino di battesimo di   un   figlio   di   Badalamenti.   è  un’amicizia   antica,   che   risale   al 1957–1958 quando Liggio, non si sa come, ha assunto il « servizio di autotrasporti » per la costruzione dell’aeroporto di Punta Raisi.
Badalamenti, nonostante il soggiorno obbligato, si muove libera- mente e mantiene i contatti con « altri affiliati », primo fra tutti  Gerlando  Alberti  « e  il  suo  nucleo  mafioso,  nonché   con  i  latitanti Buscetta Tommaso, Greco “ciaschiteddu” e con Calderone Giuseppe ». Badalamenti  è fotografato  mentre  va  a  casa  di  Gerlando  Alberti  a Cologno Monzese, è solito incontrare nella zona di Macherio Gaetano Fidanzati e Faro Randazzo, è controllato dalla polizia il 17 giugno 1970 insieme a Gerlando Alberti, Giuseppe Calderone, Tommaso Buscetta e Salvatore Greco.
Dopo la sentenza di Catanzaro e il rientro a casa di numerosi capi mafia  c’è una  riorganizzazione  delle  cosche  mafiose  e  una  ripresa  in grande  stile  del  traffico  degli  stupefacenti  che  avviene  nei  modi  più disparati come « il lancio in mare della droga in involucri impermeabili assicurati a un gavitello e il loro successivo recupero con mezzi veloci. Altro sistema era quello di far pervenire la droga dal Medio Oriente, via Malta (per il successivo inoltro negli Usa o presso le raffinerie francesi) in occasioni di sbarchi di sigarette, dentro un cartone opportunamente contrassegnato ».
Il processo celebratosi a Palermo conferma l’impianto accusatorio formulato nel rinvio a giudizio nei confronti degli imputati – nel frattempo scesi a 75 rispetto ai 114 iniziali – a cominciare dall’importanza della riunione del 1970 a Milano, importanza attestata dalla partecipazione di Alberti e Badalamenti che lasciano la sede del confino, di Calderone che si sposta appositamente da Catania e di Buscetta che « si indusse a venire in Italia nonostante pesasse su di lui la condanna a quattordici anni di reclusione inflittagli dalla Corte di Assise  di  Catanzaro ».  La  riunione  è sicuramente  importante,  come intuiscono i giudici palermitani, ma per motivi completamente diversi da  quelli  immaginati.  Buscetta,  come  si  vedrà  in  seguito,  racconterà che  l’incontro  di  Milano  è stato  organizzato  per  discutere  le  proposte della partecipazione della mafia siciliana al golpe Borghese. Quanto ai collegamenti internazionali risulta che sono « tra loro collegati nello schema della malavita organizzata siciliana per il traffico dell’eroina diretta agli Stati Uniti ed associati inoltre a gruppi di malfattori internazionali operanti in Francia, Canada, USA ». Badalamenti  è condannato  a  6  anni  e  8  mesi  di  reclusione  per  i  reati contestatigli  « esclusa,  come  per  tutti  gli  altri,  la  scorreria  in  armi ».  Insomma,  sono  sì mafiosi,  ma  di  una  razza  speciale dal momento che non sono armati!
Il soggiorno milanese di noti mafiosi richiama l’attenzione della Commissione antimafia sin dal 1972. Nella sua relazione il presidente Francesco Cattanei menziona il fatto che « il noto Gaetano Badala- menti, confinato a Macherio, ha fatto di quella zona del milanese il centro di rapporti e di attività  poco chiare collegate allo stesso Alberti e ad altri mafiosi come Gaetano Fidanzati, Faro Randazzo, Gaspare Gambino, Calogero Messina ed altri ».
A Milano, secondo un altro presidente della Commissione, Luigi Carraro, si sono svolti numerosi incontri tra Luciano Liggio e altri noti mafiosi come Agostino e Domenico Coppola, Gaetano Badalamenti, Salvatore Riina, Giuseppe Calderone e Giuseppe Contorno ».
Alla relazione Carraro aggiunge un particolare di non poco conto la relazione di minoranza firmata da deputati e senatori del Partito comunista italiano e della Sinistra indipendente a cominciare da Pio La Torre: « il commercialista palermitano Pino Mandalari (candidato del MSI alle elezioni politiche del 1972) ospita nel suo studio le società finanziarie  di  alcuni  tra  i  più  noti  gangesters  tra  cui  Salvatore  Riina, braccio  destro  di  Leggio,  e  il  Badalamenti  di  Cinisi,  nonché  quelle  di padre  Coppola.  Tali  società  intestate  a  dei  prestanome  si  occupano delle attività  più  varie (dall’acquisto dei terreni ed immobili come beni di rifugio alla speculazione edilizia, alla sofisticazione dei vini) ». Presso  lo  studio  Mandalari  aveva  sede  la  società  S.A.Z.O.I.  che secondo la Guardia di finanza di Palermo appartiene a Gaetano Bada- lamenti.  Presidente  del  collegio  sindacale  è proprio  Mandalari.  Altre società  nella  disponibilità  di  Badalamenti  sono:  S.F.A.C.  Spa,  Sicula calcestruzzi Spa, Immobiliare B.B.P.–S.N.C, Copacabana Spa, Investimenti Spa, Ber. Ma. Asfalti Srl, Badalamenti Vito & C. S.N.C., Badalamenti Gaetano ditta individuale, Vitale Teresa ditta individuale.
A  distanza  di  tanti  anni  non  è possibile  conoscere  la  consistenza del patrimonio finanziario movimentato dalle società  finanziarie ospitate  nello  studio  del  commercialista  Pino  Mandalari,  ma  è probabile che sia stata talmente rilevante da suscitare invidie e gelosie; sentimenti e risentimenti, questi, gravidi di tragedie quando albergano in cuori mafiosi. Sta qui, secondo Giovanni Falcone, una delle ragioni della grande guerra di mafia esplosa negli anni ottanta. Intervistato da Marcelle Padovani spiega: « L’origine di tale guerra risale agli inizi degli anni Settanta, quanto alcune famiglie realizzano vere e proprie fortune grazie al traffico di stupefacenti. Gaetano Badalamenti, all’epoca uno dei pochi boss in libertà, getta le basi del commercio con gli Stati Uniti, in particolare con Detroit, dove ha la sua testa di ponte. Salvatore Riina, il “corleonese”, se ne accorge nel corso di una conversazione con Domenico Coppola, residente negli Stati Uniti, da lui convocato appositamente in Sicilia. Ecco gettati i presupposti per lo scatenamento della guerra di mafia ».
Anche Buscetta, che conosceva molto bene sia Badalamenti che Leggio  e  Riina,  sottolinea  la  disparità   delle  condizioni  economiche esistenti  tra  di  loro.  Badalamenti  « li  ha  mantenuti  per  anni,  perché i corleonesi erano dei pezzenti morti di fame. Se ne prese cura, gli  trovava le case per dormire durante le loro latitanze, il sostegno economico.  Riina  e  Liggio  avevano  molti  obblighi  nei  suoi  confronti ».
Antonino Calderone ha raccontato del risentimento di Luciano Leggio, condiviso dagli altri corleonesi, nei confronti di Badalamenti: «L’accusa rivolta a Badalamenti era di essersi arricchito con la droga nel  momento  in  cui  molte  famiglie  si  trovavano  in  serie  difficoltà finanziarie e molti uomini d’onore erano quasi alla fame»; tra l’altro, Badalamenti  avrebbe  iniziato  da  solo  il  commercio  di stupefacenti «all’insaputa  degli  altri  capimafia  che  versavano  in  gravi  difficoltà economiche».
La disparità  di condizioni economiche esistenti all’interno di Cosa nostra spiegano tante cose, dalle gerarchie di comando, che per anni sono nelle mani di Badalamenti, alle manovre, poi riuscite di Riina e dei corleonesi, di dare l’assalto al potere dei Badalamenti e dei suoi uomini. Lotte di potere e lotte di supremazia economica si intrecciano nel  cuore  più   profondo  di  una  moderna,  anzi  della  più   moderna organizzazione mafiosa italiana.
Gli anni che vanno dal 1970 al 1978 costituiscono il periodo cruciale di Badalamenti che passa dal fulgore della massima potenza ai vertici di Cosa nostra all’espulsione dalla stessa organizzazione. Per comprendere il 1970 occorre fare un passo indietro, agli anni 1962–1963 caratterizzati dallo scontro armato con i La Barbera ritenuti  gli  assassini  di  Calcedonio  Di  Pisa.  In  realtà,  si  scoprirà  dopo che  ad  uccidere  Calcedonio  Di  Pisa  è stato  Michele  Cavataio,  detto  il “cobra”,  che  ha  fatto  ricadere  la  responsabilità   sui  la  Barbera  per prenderne  il  posto.  A  metà di  dicembre  1969  a  Viale  Lazio,  in  pieno centro di Palermo, sei mafiosi travestiti da poliziotti entrano sparando negli uffici di una impresa edile e ammazzano Cavataio.
Il 1963, come si ricorderà, è l’anno in cui è iniziato un periodo di tregua  che  durerà  fino  al  1968,  tregua  che  tutti  –  magistrati,  forze dell’ordine, opinionisti – hanno ritenuto che sia stata il frutto di un accordo  tra  i  capi  mafia  per  non  turbare  il  processo  di  Catanzaro.  è, invece, accaduto qualcosa di più  clamoroso perché – racconta Buscetta negli  anni  successivi  –  i  vertici  di  Cosa  nostra,  vuoi  perché   non riescono a porre rimedio al caos interno vuoi perché  sottoposti a una repressione da parte dello Stato dopo la strage di Ciaculli, decidono   di sciogliere l’organizzazione, almeno per una fase transitoria.
L’idea di ricostituire il vertice dell’organizzazione matura nel 1970. Secondo  Buscetta,  nel  giugno  del  1970  c’è un  incontro  a  Roma  tra  lo stesso Buscetta, Bontate, Salvatore Greco e Badalamenti. Nell’occasione Buscetta suggerisce agli altri di ricostituire la Commissione di Cosa  nostra.  I  quattro  si  trovano  d’accordo  anche  nell’opportunità  di includere Luciano Leggio che verrà  sostituito, in sua assenza, da Toto` Riina.  La  decisione  assunta  successivamente  è quella  di  dar  vita  a  un triumvirato formato da Stefano Bontate, Luciano Liggio e Gaetano Badalamenti, « un individuo rozzo e ignorante ma “venerato come Dio in terra” nei loro ambienti »”.
Per quanto potere abbia avuto, Badalamenti rimane pur tuttavia un uomo che non riesce a far dimenticare la sua estrazione sociale. Se Stefano Bontate – uomo che ha la « raffinata cultura della mediazione della mafia cittadina », figlio di quel « Paolino che, sin dall’immediato dopoguerra », ha intessuto « rapporti politici ad altissimo  livello »  –  per  i  suoi  modi  è soprannominato  il  «principe  di Villagrazia », il mafioso di Cinisi, « un boss  zotico come pochi », è costretto a subire le punture di spillo di Liggio « che non rinunciava a sottolineare l’ignoranza di Gaetano Badalamenti rilevando con piacere maligno gli errori di grammatica e di sintassi ». Liggio, quanto  a  estrazione  sociale  non  è certo  « superiore »  a  Badalamenti, però,  contrariamente  al  “vaccaio”  di  Cinisi,  « benché  figlio  di  poveri braccianti e inveterato assassino, coltivava l’immagine di intellettuale della mafia e amava farsi chiamare “professore” ». Disprezzato perché  incolto e dai modi alquanto rozzi, odiato perché  si è arricchito alle spalle di altri mafiosi, Badalamenti è  anche temuto e rispettato per il  suo  sistema  di  potere  che  va  ben  al  di  la`  di  Cosa  nostra.
Il triumvirato è un “miracolo” mafioso perché  mette assieme due aspetti della mafia del tempo: da una parte Bontate e Badalamenti che si sono arricchiti con il traffico di droga, che « controllano molti politici siciliani e assieme ai Salvo costituiscono una holding dell’illecito quasi inespugnabile», dall’altra parte « capiscono di dover cooptare nella gerarchia di comando quei rozzi, arroganti, semianalfabeti corleonesi, che hanno il merito di sparare e ammazzare ».
Forte della nuova carica Badalamenti ordina a Salvatore Zara, un camorrista napoletano affiliato a Cosa nostra, di uccidere un uomo che sul  finire  degli  anni  cinquanta  si  è reso  responsabile  di  un  oltraggio nei confronti del famoso Lucky Luciano, espulso dagli USA e da poco residente  a  Napoli.  Luciano  è schiaffeggiato  all’ippodromo  di  Agnano da un esuberante guappo in vena di esibizionismo. L’offesa, seppure con  molti  anni  di  ritardo,  è lavata  e  Badalamenti,  « fiero »  di  aver ordinato  l’assassinio,  si  precipita  a  far  sapere  negli  USA  quanto  è appena accaduto.
La costituzione della commissione e la formazione del triumvirato hanno   solo   rinviato   lo   scontro   interno   che   si   alimenterà   di   vari ingredienti  e  di  varie  causali  momentanee,  ma  che  avrà  sempre  come epicentro sensibile « un problema di potere ».
Lo   scontro   non   esploderà   all’improvviso   ma   avrà   una   lunga gestazione  data  la  tattica  attendista  dei  corleonesi.  Toto`   Riina,  che eredita il comando prima esercitato da Luciano Liggio, agisce  abilmente per minare,  giorno  dopo  giorno,  progressivamente,  il  potere  e  il prestigio di Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti.

Fonte mafie blog autore repubblica