Mario Mori: “Vaccarino collaborava con il Sisde” – De Profundis per il giornalismo

Leggo le notizie e un conato di vomito mi assale. Il giornalismo è morto! Il giornalismo in tutte le sue forme. Il colpo di grazia a quello che rimaneva della già macilenta credibilità della stampa, lo danno le notizie pubblicate in merito al processo in corso dinanzi al tribunale di Marsala, che vedono Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, accusato di favoreggiamento aggravato alla mafia, per aver passato informazioni segrete su inchieste a carico di Messina Denaro, ottenute da due carabinieri. Un’inchiesta su quella che fu definita ignobilmente dalla stampa come “una rete di talpe del boss”. Ma sulle “talpe”, torneremo dopo, al termine dell’omelia funebre alla memoria del giornalismo.Che l’espressione più alta e nobile dell’attività d’informazione – così come la Corte Suprema di Cassazione ha definito il giornalismo d’inchiesta – fosse morta e sepolta, purtroppo lo sapevo già. Ritenevo però che il cronista di giudiziaria potesse ancora svolgere il proprio lavoro. Del resto, spesso si tratta di riportare in maniera asettica le notizie che emergono a seguito di attività giudiziaria, il più delle volte nel corso delle udienze dibattimentali di un processo.

A testimoniare nel corso dell’udienza del 16 aprile, il Generale Mario Mori che ha narrato di come Vaccarino collaborasse con il Sisde per arrivare alla cattura di Matteo Messina Denaro. Collaborazione nota – secondo quanto dichiarato dal Generale – anche al Procuratore di Palermo, Piero Grasso, già a far data dal 2004. Mori ha anche raccontato di aver continuato a informare Piero Grasso delle attività in corso e dei rapporti tra il Sisde e Vaccarino anche dopo che Grasso passò alla Direzione Nazionale Antimafia, venendo dallo stesso rassicurato sul fatto che delle informazioni ottenute avrebbe riferito alla Procura di Palermo.Mario Mori: “Vaccarino collaborava con il Sisde”

Nonostante ciò, nel 2006, dopo la cattura del boss Bernardo Provenzano, la Procura, di Palermo, venuta al corrente dei rapporti epistolari tra Vaccarino e Matteo Messina Denaro, indagò sull’ex sindaco. Secondo quanto riportato dalla stampa, la Procura apprese dei rapporti di Vaccarino con il Sisde a seguito delle intercettazioni a carico dell’ex sindaco. Strano visto che Mori da almeno due anni teneva informato Grasso e che lo stesso aveva affermato di aver trasmesso gli atti alla procura palermitana.

Il Sisde informava Grasso

Vaccarino e GrassoChe il Sisde tenesse informata la magistratura, non è proprio la notizia dell’ultima ora, tant’è che lo stesso Mori nel 2011, nel corso di un’intervista, dichiara: “Vaccarino iniziò una corrispondenza col boss, attraverso pizzini. Di fatto glieli dettavamo noi, d’accordo con il procuratore palermitano Pietro Grasso, con cui avevamo deciso le tappe dell’inchiesta, perché i servizi non possono svolgere attività di polizia. Presto il boss rispose, firmandosi Alessio, e chiamando il professore Svetonio: un particolare che rivela come Messina Denaro sia un uomo colto. Man mano conoscemmo, direttamente da “Alessio”, i fiancheggiatori che tutelavano la sua latitanza, e ci avvicinammo anche ai suoi principali interessi economici. La sua cultura e questa rete di rapporti sono tra i motivi per cui è imprendibile da 18 anni. Nel 2006, dopo la cattura del boss Bernardo Provenzano, vennero ritrovati vari pizzini, tra cui anche uno di Messina Denaro in cui si faceva proprio riferimento, sebbene non con il nome e cognome, a Vaccarino. Avremmo potuto usare questo elemento a nostro vantaggio. Invece successe qualcosa che non mi sono mai saputo spiegare. Prima iniziò la fuga di notizie. Il nome di Vaccarino fu pubblicato dalla stampa, cosa che lo mise in pericolo e bruciò l’indagine. Messina Denaro scrisse un’ultima lettera, raggelante, a Vaccarino in cui assicurò che «la Sua illustre persona fa già parte del mio testamento». Mancò poi la fiducia della Procura di Palermo, che avviò un’inchiesta su Vaccarino. Mancò la loro fiducia in un’operazione del Sisde, perché condotta da uomini che erano appartenuti al Ros.”

Ma non è soltanto Mori a informare Pietro Grasso. Anche Vaccarino ritiene ineludibile il coinvolgimento della massima autorità nazionale antimafia. Vaccarino-Svetonio, decide dunque di coinvolgere l’Autorità Giudiziaria, ammettendo la sua appartenenza al Sisde, ad un Organo Investigativo di Trapani, allertato dalla Super Procura di Roma (Pietro Grasso). È la fine dell’operazione Svetonio-Servizi segreti. Un’improvvisa fuga di notizie porta a conoscenza della stampa (anche quella internazionale) del ruolo di Vaccarino-Svetonio, mandando in fumo ogni progetto di cattura del boss e la mappatura delle famiglie mafiose siciliane, concedendo un notevole vantaggio a Matteo Messina Denaro ed esponendo, nel contempo, Vaccarino alle ritorsioni del latitante. Nessuno ha mai negato che Grasso – e chissà quanti altri magistrati – fossero a conoscenza dell’operazione Alessio- Svetonio. Fatti narrati anche in epoca più recente dallo stesso Vaccarino.

Unica magra consolazione, per Vaccarino, vedere archiviare l’indagine che lo riguardava per la sua collaborazione con il Sisde, a seguito della richiesta sottoscritta da ben nove magistrati della Procura di Palermo. Del resto, se come affermano Vaccarino e Mori la magistratura era informata, come avrebbero potuto non archiviare?

Il Funerale

Si celebravano così le esequie del giornalismo. Quello che non si chiedeva perché Vaccarino fosse stato indagato, perché venne dato in pasto alla stampa che rivelò la sua veste di informatore dei servizi segreti, perché non scaturì nessuna indagine per scoprire la talpa o le talpe – questa volta sì tali – che facendo conoscere il ruolo di Vaccarino persino all’opinione pubblica, mandarono a monte l’operazione che – secondo quanto testimoniato dal Generale Mori – avrebbe portato all’arresto di Matteo Messina Denaro. Nessun giornalista che trovasse il coraggio di guardare verso il basso alla ricerca di quei gingilli – nascosti dove il sole non batte – che gli avrebbero permesso quantomeno di porsi delle domande. Niente, tutti muti come le aringhe in un barile.

Muti erano allora e muti rimangono oggi, riportando, soltanto in parte, quanto emerso nel corso dell’udienza del 16 aprile al Tribunale di Marsala. Soltanto la parte delle dichiarazioni di Mori, senza porre una sola domanda a sé stessi. Grasso informò i colleghi di Palermo? Chi erano i magistrati che sapevano di Svetonio? Perché non venne avviata alcuna indagine in merito alla fuga di notizie? Niente, come aringhe in un barile…

Caro Giornalista, tu che per primo hai dato notizia delle dichiarazioni di Mori, tu che non ti sei firmato (forse non ti ho trovato io, ma i primi articoli riportavano soltanto un laconico “Redazione”) visto che eri in udienza, c’erano altri testi oltre al Generale Mori? Se sì, cosa hanno dichiarato? Perché non lo hai riportato? Per timore del coronavirus eri forse uscito dall’aula? Perché, caro Giornalista, dopo aver sentito le dichiarazioni del generale Mori, oggi con un tuo articolo non chiedi spiegazioni a quei magistrati che già nel 2004 sapevano di Svetonio e Alessio? Tu che eri in aula, prova a cercare laddove non batte il sole, forse qualche brandello dei gioielli di famiglia può essere rimasto. Altrimenti, sotterra anche quelli con il tuo dovere di difendere il diritto all’informazione, assolvendo all’obbligo inderogabile del rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservando sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede.

Caro – e anonimo – Giornalista, ti immagino seduto in aula, con carta e penna a prendere appunti. Ma forse eri distratto e magari ti è sfuggito qualche passaggio importante della testimonianza, così come ti sono sfuggite quelle di altri eventuali testi, le cui possibili dichiarazioni potevano essere di notevole rilevanza. Sai, caro Giornalista, mi piacerebbe conoscere il tuo nome, poter leggere gli appunti che hai preso nel corso dell’udienza.

O forse mi sbaglio, e tu, erede di Sherlock Holmes e James Bond, armato di penna e taccuino, stai già scrivendo le domande da porre a Pietro Grasso e agli altri magistrati.

Mentre penso tutto questo, un altro conato di vomito mi assale e in lontananza sento le voci: “L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen!”

Sepolto il giornalismo, con esso vengono tumulati i gioielli di famiglia…

Gian J. Morici