Silvia Romano si è convertita all’Islam? Abbiamo pagato un riscatto?

Sentire che Silvia Romano si è convertita all’Islam,  dopo essere rapita  18 mesi fa in Kenya e liberata forse a seguito del pagamento di un riscatto, sta suscitando molteplici reazioni da parte di alcuni politici ma soprattutto da parte di un’opinione pubblica che ormai si avvale dei social per informarsi e per informare i propri amici.

Un’opinione pubblica che giudica in maniera acritica fatti e aspetti dei quali non ha alcuna conoscenza e che non è meno scevra da condizionamenti di quanto non lo sia chi viene indottrinato da predicatori di varie sette, ivi compresi i falsi imam salafiti che predicano nelle Madrasse l’islam più radicale, insegnando l’odio e preparando gli studenti alla guerra contro i presunti nemici di Allah.

Silvia Romano è stata rapita da criminali comuni prima di essere consegnata al gruppo fondamentalista di al-Shabab, con il quale la nostra intelligence avrebbe trattato il suo rilascio. È facile muovere accuse ai nostri servizi sostenendo che pagare un riscatto non rappresenta un’operazione di intelligence. Fin troppo facile per chi non immagina neppure l’attività che implica una trattativa di questo genere, dalla raccolta di notizie all’avvio di un canale di mediazione, alle prove che l’ostaggio sia ancora in vita, alle garanzie che una volta pagato il riscatto lo stesso venga rilasciato.

Il pagamento di un riscatto, se da un lato fa correre meno rischi all’ostaggio e più facilmente permette di arrivare alla sua liberazione, dall’altro permette a chi ha organizzato o gestito il rapimento di ottenere ingenti somme che molto probabilmente sono destinate all’acquisto di armi, a traffici illeciti o attività terroristiche.

Non v’è dunque alcun dubbio, che tutti noi avremmo preferito che la liberazione di Silvia Romano, così come di altri ostaggi prima di lei, fosse stato il risultato di una brillante operazione di intelligence alla quale avesse fatto seguito un blitz che avesse permesso di mettere in salvo Silvia eliminando il gruppo fondamentalista che la teneva prigioniera.

Per principio, e valutate le conseguenze, come buona parte dei lettori sono contrario al pagamento di riscatti, ma questo impone anche un’altra riflessione: Siamo disposti a fare uccidere ogni persona che si trovi nelle mani di sequestratori? Lo saremmo anche se si trattasse di una persona a noi cara?

È facile essere eroi con la pelle degli altri. Facile accusare chi come Silvia Romano lavorava per una Ong. Facile dimenticare che la stessa sorte è toccata a giornalisti, diplomatici, tecnici di grandi società e persino operai di varie nazionalità usati per operazioni di scambio di prigionieri. Quante altre nazioni, così come l’Italia, pagano riscatti per il rilascio di ostaggi? Quasi tutte. Sarebbe stato sufficiente vedere i video del reporter britannico John Cantlie (sequestrato dall’Isis e anche lui presumibilmente convertitosi) per rendersi conto di come la determinazione a non cedere ai ricatti riguardi quasi esclusivamente gli Stati Uniti. Tant’è che gli ostaggi sono sempre stati uccisi. Non sono stati salvati da eroi con la tutina a stelle e strisce, da Superman o dall’Uomo Ragno.

Oggi, sul banco degli imputati c’è Silvia Romano. L’ostaggio convertito, la ragazza che si dice abbia sposato uno dei suoi carcerieri, quella che molti vogliono sia in attesa del figlio di un terrorista. Forse sarà anche vero, ma ci siamo chiesti come sia possibile che una persona tenuta in ostaggio da un gruppo fondamentalista si converta a una religione che non è la sua? Cosa sappiamo di questi 18 mesi trascorsi nelle mani dei sequestratori? Quali conoscenze abbiamo dei metodi di indottrinamento? A spiegare le ragioni di quello che accade, potrebbe essere sufficiente la cosiddetta “Sindrome di Stoccolma”, che spinge la vittima a legarsi al proprio carnefice.

Ma la storia di Silvia è più complessa e merita certamente un’analisi più approfondita che impone ben altre conoscenze che non l’esternazione di pancia su un social. Conoscenze che purtroppo non hanno la quasi totalità di politici e giornalisti. È lei stessa a raccontare agli inquirenti di come i primi giorni piangesse sempre, di come fosse stata rassicurata che non le avrebbero fatto del male, che sarebbe stata trattata bene. Poi, il primo il contatto con una persona che comincia a conquistare un minimo della sua fiducia. Uno dei rapitori che parla l’inglese, al quale lei chiede dei libri da leggere e, successivamente, anche il Corano.

Perché il Corano? Silvia Romano quasi certamente si trova nei pressi di villaggi, tanto che sente il muezzin che richiama i fedeli per la preghiera. Da lì potrebbe essere iniziato un dialogo con l’unico rapitore che parla l’inglese. Avrà certamente ascoltato le preghiere obbligatorie per ogni musulmano, Fajr/Suhur, Dohr, ‘Assr, Maghrib/Iftar, Ishaa. Un ostaggio è insicuro, impaurito, incerto. In quelle condizioni, isolato dalla società tradizionale, non è difficile avviare un rapporto personale con l’unica persona che parla una lingua che comprendi. È sufficiente che il tuo interlocutore abbia un minimo di carisma, che si mostri sereno, rassicurante, perché tu, prigioniero, abbia la sensazione di ricevere un supporto morale e inizi a fidarti, almeno un po’. Certamente più di quanto non ti fideresti in condizioni normali di un predicatore esaltato che cerchi di indottrinarti. Fermo restando che ci si può convertire per tanti altri motivi, così come accade quotidianamente in tutto il mondo e tra i fedeli di tutte le religioni.

Tutto questo avviene più facilmente in piccoli gruppi (come nel caso di rapitori con ostaggi o all’interno delle carceri) dove facilmente si può restare impressionati da chi vive una vita apparentemente umile e pia, dedita alla preghiera, che può spingere ad approfondire l’insegnamento tradizionale partendo dalla conoscenza del Corano, dalla sua memorizzazione, e dagli hadith, arrivando talvolta a una radicalizzazione ideologica nata da una strategia volta a capitalizzare le incertezze offrendo cibo, amicizia e sostegno spirituale.

Silvia Romano, seppur convertita, apparentemente non sembra si sia radicalizzata. Non avrebbe teso la mano al ministro Di Maio – e già stupisce che lo abbia fatto da Musulmana, mentre oltretutto ci troviamo nel periodo del Ramadan – non sarebbe rimasta indifferente alla mano dell’agente che la sospingeva in direzione di quanti al suo arrivo in aeroporto la stavano attendendo. Non sarebbe rimasta indifferente dinanzi al gesto del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che l’ha presa per le braccia.

Che sia musulmana o meno non credo possa essere determinante in merito al fatto che andasse liberata o se per la sua liberazione fosse giusto pagare un riscatto. Resto dell’idea che in linea di principio il blitz, la liberazione di un ostaggio, l’eliminazione di un gruppo criminale o terroristico, sarebbe la soluzione migliore e condivisa da tutti, ma quanto e quando è fattibile? Su Facebook, lontani dal problema e con i nostri cari al sicuro, è fin troppo facile fare gli eroi.

La vicenda di Silvia Romano mi riporta alla mente quella di un altro ostaggio, seppur per ragioni diverse, l’eritrea Zwena. Vivere, anche da lontano, il calvario di Zwena, insegna molto più di quanto non ci si possa immaginare. Una vicenda che ha indotto il medico Salvatore Nocera Bracco a scrivere delle sue esperienze  in Africa, dove per ragioni professionali si è recato.

Soltanto il tempo chiarirà i motivi e quanto sia reale la conversione di Silvia Romano. Soltanto il tempo potrà dire quanto la stessa sia profonda. Che poi sia Musulmana, Cattolica, Buddista o Atea, non cambia nulla, così come il fatto che sia incinta o meno. L’unico dato che cambierebbe il senso delle cose, sarebbe una sua eventuale complicità che allo stato non sembra emergere, se non nelle supposizioni dei tanti opinionisti di Facebook che fino a qualche mese fa erano esperti allenatori, poi abili politici, successivamente esperti virologi e adesso tutti esperti agenti segreti. Nelle more di sapere quanto accaduto, non ergiamoci a giudici, ad agenti segreti ed eroi con il pigiamino con Topolino, convinti di aver indossato la tuta da Superman…

Gian J. Morici