De Donno: Antonio Vaccarino collaborò alle indagini per la cattura di Bernardo Provenzano

Si è tenuta oggi pomeriggio, presso il Tribunale di Marsala, l’udienza che vede imputato l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, con l’accusa di aver favorito la mafia. La storia, è quella dell’indagine che ha visto coinvolti anche un colonnello della Dia e un appuntato dei carabinieri in servizio a Castelvetrano in merito a informazioni su intercettazioni che riguardavano Matteo Messina Denaro.

Nel corso dell’udienza di oggi ha testimoniato il Colonnello Giuseppe De Donno, il quale ha sostanzialmente confermato quanto dichiarato in precedenza dal Generale Mario Mori, raccontando che Vaccarino inoltrò una lettera alla Direzione del Sisde, offrendosi di collaborare con le Istituzioni. Acquisita la lettera, il Generale Mori né parlò con De Donno affidandogli l’incarico di contattare l’ex sindaco. Prima di iniziare la collaborazione, così come sempre accade in questi casi, venne appurata la credibilità, accertando nel corso dei tanti incontri tra il colonnello e l’ex sindaco non soltanto l’attendibilità di quest’ultimo ma anche la correttezza e le motivazioni, ritenute a solo fine di giustizia. Una volta fatte le necessarie verifiche iniziò la collaborazione tra Vaccarino e i vertici della direzione del Sisde. Narra dunque De Donno delle modalità con le quali l’ex sindaco riuscì a contattare Matteo Messina Denaro e di come ogni passaggio venisse concordato in seno alla Direzione dei servizi e di come ogniqualvolta il latitante rispondeva a Vaccarino, lo stesso colonnello venisse in Sicilia per acquisire la missiva del boss che veniva aperta e letta contemporaneamente dai due, che insieme concordavano la risposta.

Bernardo Provenzano

Bernardo Provenzano

De Donno è poi entrato nel merito delle indagini sull’allora boss latitante  Bernardo Provenzano. Il Sisde all’epoca si interessava anche della cattura di Provenzano. Due indagini condotte contestualmente che avrebbero potuto assicurare alla giustizia Messina Denaro e Provenzano. Nel corso di queste attività, Vaccarino collaborò anche a quelle indagini, prendendo contatti con Carmelo Gariffo, nipote del boss al quale quest’ultimo affidava la propria corrispondenza (“pizzini”). Una testimonianza di non poco conto, visto che all’arresto di Provenzano si arrivò grazie alle indagini che si incentrarono sui “pizzini” e i pacchi che tramite Gariffo si scambiava con la famiglia e con gli altri componenti della consorteria mafiosa.

Individuato il covo di Provenzano, al Sisde – che aveva già da tempo informato delle attività in corso l’allora Procuratore di Palermo Piero Grasso, tenendolo aggiornato anche quando passò alla Direzione Nazionale Antimafia – resisi conto che Vaccarino avrebbe corso seri rischi anche per la presenza di “pizzini” con una sigla (Vac) che facilmente avrebbe permesso di risalire a lui, si misero immediatamente in contatto con la Procura rivelando il nome del collaboratore – che per questioni di sicurezza fino a quel momento era stato taciuto – ricevendo l’ordine da parte della Procura di Palermo di interrompere le attività ancora in corso e delle quali comunque oltre Grasso sapevano anche altri magistrati di Palermo.

Su specifica domanda su chi avesse voluto che si bloccassero le indagini, De Donno ha dichiarato di ritenere che il già allora Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso, avesse  messo a conoscenza delle indagini l’allora Procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia, Giuseppe Pignatone.

Ma De Donno non ha dato testimonianza soltanto delle attività e della collaborazione di Vaccarino in merito alle indagini su Provenzano e Matteo Messina Denaro, indicando nella fruttuosa collaborazione dell’ex sindaco elementi che portarono a individuare i fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro e di altri soggetti intranei all’organizzazione mafiosa, precisando che Matteo Messina Denaro stava iniziando ad aprirsi con Vaccarino segnalando Rosario Cascio – successivamente arrestato – quale imprenditore a cui fare riferimento. Tutto questo, ovviamente, lasciava ben sperare in merito alla possibile cattura del latitante, tanto più che solo qualche giorno prima dell’arresto di Provenzano, Vaccarino aveva incontrato il nipote del boss e questo lasciava sperare in un successivo incontro che avrebbe portato all’arresto di entrambi i latitanti.Su domanda dell’avvocato Baldassare Lauria – che insieme all’avvocato Giovanna Angelo difende Vaccarino – in merito al fatto se l’aver bloccato l’operazione Vaccarino-Svetonio avesse impedito la cattura di Matteo Messina Denaro, il colonnello ha risposto che verosimilmente, da investigatore, quella fuga di notizie potrebbe aver mandato in fumo la cattura del latitante, precisando che sotto il profilo dell’affidabilità Vaccarino lo era totalmente al 100%.

Una collaborazione dunque, quella di Vaccarino, che emerge anche in termini di operatività dalle dichiarazioni del Colonnello che fanno seguito, e confermano, quelle di altri investigatori e magistrati.

Ma chi è Vaccarino?

  • Per il suo principale detrattore e accusatore, l’ex pentito Vincenzo Calcara – ormai screditato da diverse sentenze e numerosi collaboratori di giustizia – un mafioso.
  • Per la Procura Generale di Catania, la vittima di un falso pentito (Calcara) che operò un depistaggio in suo danno, favorendo così il boss latitante (1) – così come da noi ipotizzato già oltre due anni fa (2).
  • Per la Procura del Tribunale di Caltanissetta – dove si tiene il processo contro Matteo Messina Denaro accusato per le stragi del ’92 – la vittima di colui che si ipotizza “non fosse un pentito autogestito, ma che potesse essere stato eterodiretto” (3).
  • – Per il Sisde, un uomo che collaborò, tentando di far sì che criminali come Matteo Messina Denaro venissero assicurati alla giustizia (4)
  • Per noi che ormai da tempo seguiamo queste vicende e ne conosciamo gli aspetti documentali, la vittima del depistaggio da parte di Calcara, ma anche di un’ingiustizia di Stato ben descritta dal giornalista Damiano Aliprandi nella parte iniziale del suo articolo, pubblicato da “Il Dubbio”:

“Il suo nome compare nel famoso rapporto di Amnesty International del 1993 – scrive Aliprandi -dove vengono denunciate le torture che avvenivano nel supercarcere di Pianosa riaperto dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio. Torture pesanti, dai pestaggi all’illuminazione delle celle 24 ore su 24, raccolte anche dai magistrati di sorveglianza. Parliamo di un uomo che finì recluso per associazione mafiosa grazie alle parole di un pentito – tale Vincenzo Calcara – che in seguito sarà dichiarato inattendibile da diversi tribunali.”

Tante le analogie tra Vincenzo Calcara e un altro pentito di nome Vincenzo. Quel tale Vincenzo Scarantino che proprio in merito alla strage di via D’Amelio operò un depistaggio. Come Scarantino anche Calcara  ritrattò le accuse, salvo poi ritrattare la ritrattazione con delle strane lettere la cui grafia non pare affatto quella dell’ex pentito (6).Dell’inattendibilità di Calcara, oggi non vale neppure la pena di scriverne, oltre alle sentenze e dichiarazioni di innumerevoli pentiti, ne riparleremo nel corso del processo  che si terrà ad Agrigento a seguito di querela da parte dell’ex pentito (5). Permangono invece i tanti dubbi sul perché non vennero avviate indagini in merito alla fuga di notizie date alla stampa, che bruciarono di fatto la collaborazione di Vaccarino con il Sisde; sul perché  Calcara che si è autoaccusato di omicidio in un’aula di tribunale, pare non sia mai stato processato; su quale ruolo ebbe nell’attentato al giudice Paolo Borsellino, rispetto il quale nei suoi memoriali ha affermato di averne trasportato il tritolo.

Nel corso della stessa udienza di oggi – che per motivi tecnici è stata rinviata – ha deposto anche il colonnello della Dia Alfio Marco Zappalà, imputato anche lui nella vicenda che avrebbe visto l’appuntato dei carabinieri Giuseppe Barcellona trasmettere al suo superiore – seppur non diretto – lo screenshot di una trascrizione di una conversazione ambientale. Zappalà ha precisato gli aspetti tecnici relativi al numero di accessi al sistema informatico che sarebbero inferiori a quelli contestati dalla Procura di Palermo,  negando di aver mai fatto cenno di questo screenshot a Vaccarino, accusato di averne rivelato il contenuto a Vincenzo Santangelo.

Zappalà ha inoltre contestato l’attività dei Ros che avrebbero dovuto nell’immediatezza verificare l’ip di provenienza della mail inviata all’ex sindaco e che non avendolo fatto subito sarebbe oggi impossibile verificare.

Un processo, questo che si tiene a Marsala, dal quale stanno emergendo molti fatti inaspettati. Cos’altro può accadere ancora? La risposta – preoccupante per chiunque abbia cercato di fare emergere la verità su questi fatti –  forse sta tutta nel passaggio di un articolo di Tp24: «Ma è attendibile Vaccarino? Secondo Teresa Principato, sì. “Sia Lorenzo Cimarosa che Antonio Vaccarino, sono dei collaboratori credibili ed affidabili” aveva detto al giornalista Ansa Gianfranco Criscenti nel corso di un’intervista nel 2015. Una valutazione che certo ha il suo peso se fatta dal magistrato che per anni è stata impegnata nelle indagini sulla ricerca di Matteo Messina Denaro come procuratore aggiunto di Palermo e poi in servizio alla direzione nazionale antimafia. Alla fine però, anche la Principato finì imputata a Caltanissetta, condannata in primo grado e poi assolta (perché il fatto non sussiste) in appello per “violazione di segreto d’ufficio”. La condanna in primo grado era arrivata poco più di un mese prima dell’arresto di Vaccarino e dei due carabinieri. Il tema è molto simile. Cambiano le procure».

Gian J. Morici