Le indagini su congegno ed esplosivo

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Un ruolo determinante nell’accertamento dei fatti per cui si procede, è stato correttamente assegnato, dai giudici di prime cure – come questa Corte integralmente condivide – alle indagini tecniche svolte sulla tipologia di esplosivo utilizzato nell’attentato.
Senza voler ripercorrere il dettagliato e condivisibile esame svolto nell’impugnata sentenza con riferimento alle dichiarazioni dibattimentali dei consulenti escussi va sottolineata la piena e totale concordanza delle conclusioni a cui sono pervenuti i due collegi tecnici, ai quali erano stati conferiti dai Pm procedenti i rispettivi incarichi:
un primo, affidato, con incarico del PM di Caltanissetta del 25.7.89 agli Ingegneri Corazza e LoTorto ed al dott. Delogu, avente ad oggetto la descrizione dell’apparecchiatura rinvenuta, la possibile provenienza dei materiali e l’accertamento sulla funzionalità del congegno di esplosione unitamente all’autonomia di cui era dotata;
un secondo, affidato il 3.7.97, sempre dal PM nisseno al dott. Cabrino ed all’Ammiraglio Vassalle, per la specifica individuazione del raggio di azione dell’ordigno esplosivo rinvenuto.
Le conclusioni dei due collegi tecnici non avevano lasciato spazio a serie e fondate perplessità sull’efficienza della bomba (af. 1581).
Nel primo caso era stata accertata l’azionabilità dell’ordigno mediante radiocomando che poteva agire da “qualche centinaio di metri” (af. 1580) ed anche, verosimilmente, mediante dispositivo a contatto (accostamento dei manici del borsone); il gruppo di alimentazione era idoneo a garantire l’azionamento del congegno con autonomia “illimitata del detonatore” e stimata in “20 ore circa relativamente al ricevitore”.
Il secondo collegio aveva poi individuato tra le caratteristiche di lesività del congegno un peso complessivo di 7,83 Kg, un raggio di letalità pari a circa 2 metri per e?etto dell’onda d’urto e pari a circa 60 metri per la proiezione di circa 100 schegge del peso medio di 6,3 grammi ciascuna.
Il frutto di tali elaborazioni tecniche è stato ampiamente confermato e precisato in dibattimento, dove è peraltro emerso che il congegno si trovava in posizione attiva, con un led rosso acceso e pronto ad esplodere non appena avesse ricevuto l’impulso: in questo senso hanno precisato, sia il consulente dott. Delogu (f. 99 del 22.1.99) che lo stesso brigadiere Tumino (f. 62 20.12.99), materiale autore del primo intervento.
Alla luce di tali considerazioni pertanto, non è possibile condividere alcuna delle perplessità manifestate nei motivi di appello (avv. Impellizzeri f.3 ss.) relativamente al raggio d’azione, al radiocomando ed alla posizione di chi avrebbe dovuto azionare il radiocomando. E’ infatti dato acquisito ed incontrovertibile – anche perché non è stata apportata alcun tipo di prova contraria – che il raggio d’azione del telecomando fosse di ‘qualche centinaio di metri’: dato che consente di ipotizzare che l’operatore potesse essere collocato in qualsiasi appostamento inserito nel suddetto raggio, pur non essendovi elementi per individuare in concreto quale fosse il punto esatto e non apparendo, invero, affatto necessario tale operazione. Diversamente dall’assunto del difensore del MADONIA (f.4), le dichiarazioni dell’ONORATO non sono affatto in contrasto ad avviso della Corte, con tale ricostruzione, poiché il Belvedere del Monte Pellegrino è stato individuato dal collaborante (f. 28 e 31 del 16.3.99) non già come concreto luogo di osservazione scelto da Cosa Nostra, ma solo come ipotesi da lui stesso, buon conoscitore della zona, prospettata al BIONDINO il quale gli aveva peraltro risposto di occuparsi solo di pattugliare il lungomare dell’Addaura dato che “c’era chi si stava interessando” degli altri problemi organizzativi. Tali affermazioni sono peraltro coerenti con le logiche di Cosa Nostra, tradizionalmente inclini alla compartimentazione delle conoscenze ed anche delle azioni esecutive, generalmente ripartite tra i vari uomini coinvolti, senza che gli uni fossero a conoscenza dei dettagli di quanto svolto da altri.
Anche le doglianze relative alla durata delle batterie non hanno fondatezza.
Sempre il difensore del MADONIA (f. 6) ha infatti sottolineato che la limitata durata (20 ore) del ricevitore, facesse sì che al momento del ritrovamento esso fosse praticamente già inerte: tale affermazione non ha in sé, nulla di incoerente con la condivisibile ricostruzione eseguita nella sentenza di primo grado. E’ ben verosimile, che l’azione criminosa fosse stata progettata per il pomeriggio del 20 giugno e non già per il 21 (data del ritrovamento) anche in considerazione del fatto che – come si dirà in prosieguo – era proprio quello il momento ipotizzato per la visita presso la villa ed il conseguente bagno prospettato dal dott. FALCONE ai colleghi svizzeri.
E’ chiaro, d’altro canto, che in presenza delle conclusioni tecniche suddette, provenienti da soggetti altamente qualificati, non possono trovare spazio le indicazioni (nulla più se non supposizioni i sospetti), evidenziati da taluni testi escussi in dibattimento che avevano ipotizzato la non funzionalità dell’ordigno. Così infatti sia il dott. Sica che il Col. Mori ed il dott. Misiani, tutti testi le cui dichiarazioni vengono citate (.7,8) a fondamento delle doglianze difensive, avevano soltanto riferito considerazioni non tecniche ma semmai conseguenti alla ridda di ipotesi – anche fantasiose – susseguitesi nell’immediatezza dell’attentato.
La potenzialità e la concreta lesività dell’ordigno – con riferimento alla vittima designata ed ai suoi occasionali compagni – è dunque un punto di riferimento processuale ineludibile, frutto di solide e coerenti affermazioni provenute da soggetti di alta specializzazione: intorno a tale certezza molteplici ipotesi ricostruttive sono state inutilmente rincorse senza un fondamento probatorio certo. Ad avviso della Corte, tali ipotesi e congetture, qualora fossero state suffragate da prove, avrebbero semmai potuto riempire caselle marginali della vicenda criminosa per cui è processo, senza incidere sulla sostanza della ricostruzione operata dai consulenti tecnici che la Corte integralmente condivide.

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