QN IL GIORNO del 4 luglio 2020 ” Edilizia Sociale, una situazione desolante” di Achille Colombo Clerici

                                          In Italia il tema sembra bandito da decenni dal dibattito politico e socio-economico.

Ed anche in questo momento storico, di ricostruzione del Paese, in cui si sta ponendo mente alla messa a fuoco di piani di intervento che riguardano, non solo l’universo dei problemi che ci affliggono, ma anche questioni di molto minor rilevanza, non se ne sente minimamente parlare. Quasi a volerlo esorcizzare; ma il problema resta ineludibile e macroscopico.

Voglio parlare della edilizia residenziale pubblica, un tempo chiamata più efficacemente edilizia popolare.

In Italia c’è una fascia di popolazione, purtroppo destinata a crescere, che l’alloggio non se lo può pagare né in locazione, né a maggior ragione in acquisto. Vogliamo pensarci o continuiamo a cullarci con suggestivi discorsi di risparmio del suolo, social housing, efficientamento energetico, green economy e via dicendo ?  Ma, soprattutto, vuole pensarci l’edilizia residenziale pubblica o dovranno pensarci i privati ?

L’Italia, rispetto ad altri Paesi europei, come spesso succede, è piuttosto indietro. Housing Europe, network delle federazioni europee che si occupano di edilizia popolare,cooperativa e sociale con sede a Bruxelles, ci offre un quadro desolante. Viene stimato che nel nostro Paese solo il 4% del patrimonio residenziale è adibito a edilizia sociale. Giusto per fare un confronto, in Olanda la percentuale è del 30%, in Gran Bretagna del 18%,  in Austria del 23%, in Danimarca del 21%  mentre in Francia, il Paese più vicino a noi per cultura e abitudini,  è del 17%. Solo Spagna, Portogallo e Grecia sono dietro di noi.

Le Ater, eredi dei vecchi Istituti per le case popolari, hanno patrimoni abbondantemente sottoutilizzati e un arretrato di migliaia di domande di assegnazione di alloggi da soddisfare. Perché, ora che si prospettano ingentissimi flussi di finanziamenti dall’ Unione Europea, non scendono in campo massicciamente diventando autentici motori di “rigenerazione urbana” per concorrere a risolvere i problemi del fabbisogno abitativo e al tempo stesso del rinnovamento urbano?

              Si deve pensare ad un Piano di ERP che, oltre a soddisfare la cronica richiesta di case che viene dalla parte economicamente più debole degli italiani, vada nella direzione  della Raccomandazione della Commissione Europea per l’efficienza energetica e il clima che punta a  ridurre l’inquinamento atmosferico del quale ( secondo le risultanze U.E.) per il 40%  sono responsabili gli edifici più vecchi. In Italia  circa 500.000 alloggi, la metà di quelli gestiti dalla mano pubblica, è caratterizzata da un alto consumo energetico e versa in condizioni più o meno sensibili di degrado. Le nuove costruzioni evidentemente risponderebbero ai criteri indicati dalla UE.

Ebbene, la citata politica europea per l’efficienza energetica e il clima punta ad interventi in primis nei confronti dei patrimoni immobiliari pubblici, e per diverse  ragioni.  Cito solo la più importante. Rigenerare significa, in sostanza, o ristrutturazione profonda o abbattere e ricostruire; ma tra abbattimento e ricostruzione, dove si sistemano le famiglie? Relativamente facile è nei Paesi nordici, che dispongono di un consistente patrimonio edilizio sotto il controllo pubblico, mettere a disposizione gli edifici-parcheggio: ma in Italia, dove non c’è neppure la possibilità di alloggiare chi la casa non ce l’ha?