Vito stassi una vita senza colpevoli

Vito Stassi Carusci, dirigente socialista e presidente della Lega dei contadini, fu ucciso da tre uomini armati di fucile la sera del 28 aprile 1921 a Piana dei Greci, in via Brutto.
Stassi stava tornando a casa, dopo una riunione del circolo socialista, dove l’aspettavano la moglie, Rosaria Talento, e i figli Giovanni di 11 anni, Antonina di 9 anni, Serafina di 7 anni. Aveva 45 anni. Infatti, era nato a Piana dei Greci il 26 ottobre 1876, in via Macaluso n. 4, da Giovanni e Serafina Paratore, una modesta famiglia contadina.
Il delitto lasciò nella disperazione e nella miseria la sua famiglia e scosse profondamente i contadini di Piana. Per tutta la notte il corpo di Vito Stassi fu lasciato per strada, vegliato dalla famiglia e da un nutrito gruppo di contadini, in attesa della perizia dell’autorità giudiziaria, che si fece solo nella mattinata del giorno successivo.
Solo allora la salma del dirigente socialista fu ricomposta e portata nell’ampio salone della sede del Partito socialista, in via Kastriota. «Nel pomeriggio si svolsero i funerali. Il feretro del dirigente socialista, coperto dal tradizionale drappo rosso, fu accompagnato fino alle porte del cimitero da un enorme corteo funebre, con in testa la fanfara del Circolo socialista. Tutto il paese commosso partecipò alle onoranze funebri. Vi presero parte anche numerose delegazioni di contadini socialisti venuti dai paesi del circondario. A tenere il discorso di commiato fu il falegname Michelangelo Jenna, segretario del Partito socialista di Piana dei Greci. Con la scomparsa di Vito Stassi veniva a mancare al partito socialista l’uomo in grado di organizzare una risposta alla mafia. Stimato dirigente per la sua bontà d’animo, egli rappresentava, assieme al vecchio Giorgio Carnesi e a Michelangelo Jenna, l’ala intransigente del partito che non accettava compromessi con la mafia».
«Lo stesso giorno del funerale, il 29 aprile, il Tenente Colonnello Paolo Sanna, Comandante della Divisione dei Carabinieri Reali di Palermo Interna, nell’informare il Prefetto dell’uccisione dello Stassi, ”Vice Presidente del Circolo Socialista”, fra l’altro scriveva: “Il delitto si suppone consumato a scopo politico. Gli affiliati al partito socialista, mantengosi calmi, ma si riservano il deliberare circa il contegno da tenere riguardo all’uccisione del compagno di fede”. Invece per il Vice Commissario Melchiorre Viviani, del Regio Ufficio di Pubblica Sicurezza di Piana dei Greci, uomo colluso con la mafia, “la famiglia e i dirigenti il partito socialista non hanno saputo dare nessuna indicazione, né sanno giustificare le causali del delitto”. Non fu proprio così. Il silenzio scelto dai famigliari e dai dirigenti socialisti fu dettato dalla consapevolezza che il delitto Stassi era maturato all’interno di un patto scellerato tra le istituzioni e la mafia del quale il Commissario Viviani era uno degli esecutori». In questo clima, le indagini per scoprire mandanti ed esecutori del delitto non portarono a nessun risultato, tanto che la sezione d’Accusa del Tribunale di Palermo, con sentenza del 10 gennaio 1923, «dichiarò non doversi procedere per essere rimasti ignoti gli autori dell’omicidio».
A Vito Stassi, a soli 24 anni, come atto di fiducia e di riconoscimento politico, il mitico capo dei socialisti di Piana Nicola Barbato aveva affidato la cassa della disciolta federazione socialista. D’allora egli aveva avuto sempre un ruolo di primo piano nella ricostruzione e nella direzione del partito socialista e del movimento contadino di Piana dei Greci. A 30 anni il consiglio comunale lo nominò componente della Commissione comunale per la revisione delle liste elettorali 1907-1908. Nelle elezioni comunali del 7 luglio 1907 fu eletto consigliere con 186 voti di preferenza. E in questa veste venne nominato revisore dei conti per l’anno 1903 e deputato del Collegio di Maria. Nello scontro interno al partito socialista, che contrappose due gruppi, quello maggioritario guidato da Trifonio Guidera e l’altro fedele a Nicola Barbato, Vito Stassi si schierò con quest’ultimo. Rimase sempre un seguace di Barbato, ma ruppe con i suoi sostenitori perché contrario all’appoggio che questi davano nelle elezioni amministrative al “partito borghese dominante”, pur di ostacolare il Trifonio Guidera.
Dopo l’espulsione del Guidera dal Partito socialista e dalla Cooperativa, nel 1912 Vito Stassi fu eletto presidente della cooperativa anonima agricola. Nel 1914 il Partito socialista, guidato da Nicola Barbato, riconquistò il municipio e Stassi fu rieletto consigliere comunale. Fu un successo amaro perché la mafia assassinò due dirigenti del partito come Mariano Barbato e Giorgio Pecoraro. Nel 1915 fu richiamato alle armi e svolse il servizio militare in Albania. Durante il “biennio rosso” guidò con successo i contadini ex combattenti nella lotta per l’occupazione delle terre. Il 20 aprile 1920 venne eletto presidente dell’associazione combattenti socialisti di Piana.
Fu il successo sconvolgente delle occupazioni delle terre, che determinò anche l’egemonia economica socialista nelle campagne. Infatti, erano ben sette i feudi che gestiva il movimento contadino di ispirazione socialista, «quattro presi in affitto dalla Cooperativa Agricola Anonima e tre ottenuti in concessione con decreto prefettizio dell’ottobre 1920». Per la mafia, quindi, i socialisti e i suoi dirigenti erano i nemici da abbattere con ogni mezzo. E l’assalto ai socialisti cominciò con una grossa provocazione. «Alcuni giorni dopo l’emanazione del decreto prefettizio sul ricorso del gabelloto Vito Ficarra, nell’aprile del 1912, la mafia chiese provocatoriamente ai contadini di pascolare gli animali sulle terre occupate nel feudo Scala e già seminate a grano».
A casa di Vito Stassi, presidente della cooperativa, si presentarono i capimafia Giuseppe Riolo e Giovanni Piediscalzi. E avanzarono «subito la pretesa di pascolare i loro animali nelle terre già divise e seminate dai componenti del circolo socialista di cui lo Stassi era presidente. Costui fece comprendere subito ai suoi due interlocutori che egli non poteva prendere alcuna decisione in merito, né tanto meno fare loro delle promesse circa quanto essi chiedevano, essendo ciò di competenza dell’assemblea dei soci che aveva in possesso le terre non solo ma l’avevano anche lavorate». Riolo e Piediscalzi insistettero e alla fine minacciarono pesantemente Stassi. Qualche giorno dopo, in segno di sfida, furono «introdotti nelle terre (feudo Scala delle Femmine) i bovini di Ficarra Vito e del Riolo».
I contadini si riunirono immediatamente in assemblea e decisero di denunciare il Ficarra per danneggiamenti. «Il più risoluto si mostrò Vito Stassi, che in quella circostanza avrebbe pronunciato la seguente frase: “Non preoccupatevi, compagni, che ci faremo rimborsare”. I contadini non ebbero il tempo di chiedere il risarcimento dei danni subiti, che il 28 aprile 1921 Vito Stassi veniva ucciso».
La svolta sul delitto Stassi e su tanti altri delitti mafiosi a Piana dei Greci si ebbe la notte del 25 febbraio 1926, quando, su disposizione del prefetto Cesare Mori, fu arrestato Francesco Cuccia, il sindaco-capomafia. Contemporaneamente venne effettuata una “retata”, che portò in galera più di 50 mafiosi di Piana, altri 54 vennero assegnati a domicilio coatto, mentre 600 furono ammoniti. Le forze dell’ordine, con un rapporto al Procuratore del Re del 23 marzo 1926, «descrissero la terribile situazione in cui si trovavano le popolazioni sotto il dominio della mafia». E «alla cosca mafiosa vennero attribuiti gli omicidi realizzati nell’arco di un ventennio», tra cui «quelli dei socialisti Mariano Barbato, Giorgio Pecoraro, Vito Stassi Carusci, i due fratelli Giuseppe e Vito Cassarà e Antonino Ciolino».
Furono, quindi, riaperti numerosi processi, tra cui quello per l’assassinio di Vito Stassi. A differenza del 1921, nel 1928, la vedova Rosaria Talento, ebbe il coraggio di dichiarare quello che era accaduto alcuni giorni prima dell’omicidio, quando Giuseppe Riolo e Giovanni Piediscalzi, affiliati alla mafia, avevano fatto pressioni sul marito, presidente della Lega per la distribuzione delle terre, affinchè su quelle terre facesse pascolare i loro greggi. Ovviamente, Stassi rispose di no e i due lo minacciarono pesantemente: «Ce la vedremo a tu per tu e chi può, può!». Poi, alludendo ai suoi tre figli, il Riolo disse: «Ne hai abbastanza e quindi basta!». Una vicina di casa, Francesca Consiglio, riferì di avere sentito dire: «Niente fu! Ammazzaru un cani arrabbiatu!». La polizia giudiziaria denunciò, quindi, il Riolo e il Piediscalzi per il delitto Stassi.
E la vedova confermò quanto dichiarato alla polizia, con alcune aggiunte. «Si disse convinta che l’omicidio fosse stato commesso da Cuccia Giorgio fu Carlo, Lo Voi Raffaele e Cardinale Bonaventura, ch’erano gli esecutori degli ordini della maffia e che il Lo Voi, l’indomani passando davanti il cadavere dell’ucciso, disse in tono sarcastico: Poverino! Poverino!». Quest’ultima circostanza fu confermata da Margherita Damiano, che però non seppe precisare se la frase era stata pronunciata «in tono sincero o in tono sarcastico».
Nel 1930 si riuscì a celebrare il processo contro Giuseppe Riolo, ritenuto il mandante dell’omicidio, e Giovanni Piediscalzi, Raffaele Lo Voi e Bonaventura Cardinale, considerati invece gli esecutori. La sentenza fu emessa 12 dicembre 1930. Incredibilmente, i giurati col loro verdetto negarono «che gli imputati [avessero] commesso il delitto loro ascritto» e la Corte Ordinaria di Assise di Palermo si affrettò a dichiarare «assolti Riolo Giuseppe, Lo Voi Raffaele e Cardinale Bonaventura», ordinando «che i medesimi siano escarcerati se non detenuti per altra causa». «Alcuni mesi dopo, il 10 febbraio 1931, la stessa sorte toccò a Piediscalzi che venne processato in contumacia e assolto “per insufficienza di prove”». Anche il delitto Stassi, quindi, fu un delitto senza colpevoli.

Fonte mafie blog autore repubblica