Castelvetrano e quel 28 aprile 2017 giorno delle dimissioni del sindaco

Sono passati quattro lunghi anni dal giorno in cui l’ex sindaco Felice errante si dimise da sindaco della città. Sono passati anche quattro lunghissimi anni da quando gli ispettori del Ministero arrivarono nelle stanze comunali per una ispezione che nel giugno del 2017 porterà allo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. In molti si ricorderanno il clima di quei mesi. Il Caso Giambalvo, la relazione del Prefetto Priolo, i continui servizi giornalistici e il feroce attacco politico alla giunta Errante. Un periodo complicato che aveva registrato già nel 2016, la fine del consiglio comunale per le dimissioni di molti consiglieri e l’arrivo dell’ex Procuratore di Palermo, Messineo. Inizia in quell’anno un periodo di “commissariamento” che durerà fino all’elezione di Alfano

Errante il 28 aprile 2017 lascia e affida il suo commiato ad una lunga lettera dopo aver amministrato circa 2 e mezzo con il PD e per 18 mesi con il Centro Destra e con l’area politica di Lo Sciuto. “Ho registrato la lacerazione di tanti rapporti personali– scriverà nella missiva- per colpa della “politica”, la qual cosa mi ha addolorato più di tante altre – ha detto Errante – Negli ultimi anni ho dovuto rinunciare ad una vita sociale normale, ma questo era nel conto, e per il rispetto che è dovuto alla carica che ho rivestito, ho subito in silenzio attacchi di ogni genere, specie sui social, alcuni dei quali clamorosamente falsi ed infamanti“. Errante finì nel tritacarne anche per colpe non sue. I mali del comune partivano da lontano. Oltre 30 milioni di debiti non li aveva potuti generare solo la sua amministrazione. eppure, oltre alle questioni mafiose e massoniche Errante, volutamente fu pure preso di mira per i debiti. Attualmente l’ex sindaco è indagato e in attesa di giudizio per il reato legato ad una presunta sua partecipazione ad una loggia segreta vietata. E’ la Legge Anselmi emanata dopo l’esplosione dello scandalo della P2 degli anni 80, quella che hanno invocato i Pm di Trapani. La Giustizia farà il suo corso. In ogni caso, leggendo le tessi accusatorie, il reato contestato ad Errante non si lega a responsabilità dirette come sindaco della città

Sono passati quattro anni e nonostante anni di relazioni prefettizie, carte inviate alla Procura, scioglimento per infiltrazione mafiosa e condanne mediatiche , non risultano indagati per eventuali reati collegati alla funzione dei vari responsabili presenti nelle varie relazioni . E di nomi e cognomi in quelle relazioni ve ne sono molti. Se si escludono i casi del consigliere Giambalvo, processato per fatti non legati al comune( è stato consigliere per due mesi) e la vicenda dell’ex assessore Adamo( che fu assessore con Pompeo, finito sotto inchiesta per vicende non collegate direttamente al periodo Errante, di altri indagati non se ne conoscono. Insomma i castelvetranesi ancora aspettano di conoscere chi ha abusato del comune per agevolare la famiglia mafiosa e anche tutti coloro che hanno fatto lievitare il debito a oltre 30 milioni di Euro. Molti castelvetranesi, dopo tutto quello che è stato detto è scritto, si aspettavano di sentire nelle aule dei tribunali le voci degli accusati . Invece, dopo quattro anni si devono accontentare delle sole sentenze mediatiche. Eppure sono andati giù duro con il comune di Castelvetrano. L’attività volta al recupero dell’evasione? «È praticamente inesistente, mentre figurano posizioni debitorie da parte di 63 dipendenti, 15 consiglieri comunali e 6 assessori». A dirlo nella relazione fu l’ex prefetto di Trapani, Giuseppe Priolo, inviato al Ministero dell’Interno Marco Minniti che ha deciso lo scioglimento per mafia del Comune. Anche un bambino capirebbe l’accusa grave nei confronti di tanti. Niente, non si conoscono inchieste in merito. A proposito di infiltrazioni mafiose sempre Priolo scrive: nella seconda pagina delle 31, si legge l’analisi svolta dalle Forze di polizia dopo le dimissioni nel marzo 2016 di 28 consiglieri su 30 e il conseguente commissariamento del consiglio comunale con la nomina, il 24 marzo, da parte della Regione Sicilia, di Francesco Messineo, ex capo della Procura di Palermo. L’analisi diventa parte integrante della relazione prefettizia in relazione al rapporto che passa tra la politica di Castelvetrano – paese natale del boss Matteo Messina Denaro, che regna in lungo e in largo nella provincia e ben oltre – e la massoneria.venne in luce la elevata presenza di iscritti alla massoneria tra gli assessori (quattro su cinque), tra i consiglieri comunali (sette su trenta) e tra i dirigenti e i dipendenti comunali – si legge nella relazione – in un ambito territoriale, quello di Castelvetrano, nel quale veniva segnalata la presenza di ben sei logge massoniche sulle sedici operanti nell’intera provincia».

Ma vediamo come prosegue la relazione prefettizia.

«…L’intreccio di interessi tra mafia e massoneria in Sicilia è stato oggetto di numerose inchieste giudiziarie sin dagli anni Ottanta e di altrettanto vasta storiografia e inchieste giornalistiche; in questa sede non è sicuramente valutabile, se non in termini di supposizioni, ovvero di ragionevoli “presunzioni”, la possibile comunanza di interessi tra organizzazioni (quella massonica e quella mafiosa) che fanno, o facevano, della segretezza, una regola rigida ed inderogabile.

A conclusione dell’attività dedicata alle vicende di Castelvetrano, il presidente Bindi manifestò forte preoccupazione per il contesto territoriale, evidenziando che “Trapani è una realtà fondamentale per Cosa nostra, non solo per la presenza del latitante, ma per il sistema che lo protegge e ne viene condizionato” e che “la mafia è parte costitutiva della provincia, capace di infiltrarsi nei settori economici importanti e di fare affari”».

Tutto molto inquietante. Ma la verità ha bisogno di giustizia vera. Di quella che si esercita con il diritto e con la Costituzione in mano. Quel periodo atroce per i castelvetranesi, non può essere archiviato con qualche paginetta di storia scritta da qualche parte o nelle narrazioni di autorevoli libri Il “tutti colpevoli” e “tutti “innocenti” non va bene. A Castelvetrano il condizionamento della mafia con i soldi dentro il comune non è frutto d’immaginazione. La gestione delle casse comunali per decenni come “bancomat politico” non un sogno di Topolino. Forse, questo interesse dell’antimafia su Castelvetrano arriva in ritardo. Ci voleva il caso Giambalvo per accendere i fari ? Troppo tardi. Come mai nessuno ha pensato di inviare gli ispettori al comune negli anni in cui Filippo Guttadauro, potente boss di Brancaccio , cognato di Matteo Messina Denaro entrava ed usciva dagli uffici comunali per avere tutte le licenze per il suo amico Grigoli? Come mai nessuno ha pensato di metter gli ispettori dentro il comune quando Castelvetrano veniva dilaniata da lottizzazioni speculative e da 488 farlocche? Perchè dopo la relazione Dagnino che è del 2013 nessuno ha pensato di fermare chi gestiva le sorti economiche dentro il Comune? Come è possibile che aziende private che gestivano servizi idrici e di riscossione abbiano lasciato il comune senza una banca dati precisa su chi doveva pagare? Quante sono le pagine piene di misteri che dovremmo mettere sotto la luce della verità nella città del boss imprendibile? Tantissime e forse, i veri colpevoli , quelli che si sono arricchiti, non verranno mai giudicati per le loro gravi colpe.