Stragi del 92: il Questore La Barbera, la “Super Cosa”, Messina Denaro e i depistaggi di Stato

Il superpoliziotto Arnaldo La Barbera era un agente dei Servizi. Un doppiogiochista di classe alta. Un esponente di quella parte delle istituzioni che non è facile decifrare. Per almeno due anni fu una “fonte” del Sisde. Nome in codice “Catullo”. Qualcuno sostiene che fosse a libro paga della mafia. Poi ci sono quelli che dicono che La Barbera fosse epigono di quell’apparato segreto che si relazionava con i mafiosi non per soldi ma per operazioni di potere dettate da strategie occulte . La Barbera è stato mandato a Palermo da qualcuno che aveva già chiaro il quadro delle stagioni stragiste. La Barbera verosimilmente agì con la condivisione di altri . Sulle indagini per gli attentati all’Addaura e a Paolo Borsellino esiste una relazione riservata che è finita fra le carte delle stragi siciliane. E’ la fotocopia di un fascicolo dei servizi segreti, una scheda intestata alla “fonte Catullo”. Sotto il nome in codice, c’è anche il nome vero del personaggio sotto copertura: Arnaldo La Barbera, capo della squadra mobile di Palermo a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta e poi a capo del “Gruppo Falcone-Borsellino”, il pool di investigatori che per decreto governativo ha investigato sulle uccisioni dei due magistrati.

Secondo quanto scrive Aaron Pettinari – “nel dicembre 1992 Arnaldo La Barbera dice all’ex funzionario Genchi: ‘Senti io devo lasciare, tutto deve passare in mano ai Carabinieri perché a breve arresteranno Riina e noi siamo stati fatti fuori dalle indagini. A Palermo manderanno una testa di c… che deve venire a fare il pupo a dirigere la Squadra Mobile’”.

A raccontare il dettaglio è l’ex funzionario di Polizia, Gioacchino Genchi, sentito a Caltanissetta nell’ambito del processo contro i funzionari di polizia Mario Bo e i due sottufficiali Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra. Alla domanda del procuratore aggiunto Paci sulla data in cui sarebbe stata fatta l’anticipazione il teste disse che il periodo è quello “tra Natale e capodanno. Non sapevo il Ros, lui parlò dei Carabinieri“. Non era quella la prima volta che l’ex questore “anticipava” l’arresto di qualcuno. “Noi sapevamo che Contrada sarebbe stato arrestato – ha detto Genchi – Io l’ho saputo qualche giorno prima. La Barbera mi disse: ‘temo che l’arresto di Contrada avrà ripercussioni su di noi’. Ma io dissi: ‘Noi che c’entriamo con Contrada noi stiamo facendo le indagini’“. Al tempo infatti, a fine anno 1992, con la Procura di Caltanissetta era stata avviata un’indagine su appartenenti dei servizi di sicurezza per un possibile coinvolgimento di quell’organismo sulla strage di via d’Amelio.

Errori e omissioni

Le indagini sulla strage di via D’Amelio vengono assegnate al “gruppo Falcone-Borsellino” comandato da Arnaldo La Barbera, che così poteva avere il pieno controllo di ogni elemento investigativo. Le prime indagini sono una carrellata impietosa di errori, omissioni e iniziative grottesche: per esempio, non solo gli interrogatori dei testimoni sono pochissimi, ma non vengono ascoltati neanche alcuni degli inquilini del palazzo in cui abitavano la madre e la sorella di Paolo Borsellino, la cui importanza emergerà solo vent’anni dopo; e ancora, per tre mesi e mezzo non si saprà nulla della borsa del magistrato, come non si saprà – ancora oggi – dell’agenda rossa che il giudice portava sempre con sé e di cui i familiari denunciano fin da subito la scomparsa. Appare evidente che gli errori investigativi non possono essere ascrivibili ai mafiosi. Da queste semplici riflessioni nasce un dubbio altrettanto semplice. Il patto” Stato deviato -mafia” già esisteva prima delle stragi? Molte circostanze inducono a sostenere questa tesi. E’ evidente che una strategia di questo genere non può essere condivisa con tutti. Occorrono menti raffinatissime che non si sporcano le mani. Sono quei colletti bianchi che inducono ai viddani di sporcarsele. Probabilmente la trattativa di cui tanto si parla si rese necessaria dopo le stragi a causa del mancato rispetto di qualche accordo che non conosciamo. Oppure, qualcuno non ha capito il gioco fino in fondo o non doveva sapere. E qui torna in mente la “Super cosa”, dove entra in gioco MATTEO MESSINA DENARO E IL PADRE CICCIO

La ricostruzione del PM Nicolosi  a Firenze, dopo le dichiarazioni di Francesco Geraci aprirono le porte a molte verità già nel 1997. Dichiarazioni che potevano essere utilizzate per capire molte cose sulla cosca mafiosa di Matteo Messina Denaro e il legame con le stragi e la “super cosa” di cui ha parlato il PM Paci a Caltanissetta.

Geraci , amico d’infanzia del boss latitante, spiega già nel 97 il ruolo di Matteo Messina Denaro all’interno della mafia trapanese. Un potere ricevuto dal padre Francesco e fuori i rituali mafiosi tradizionali. Matteo Messina Denaro prenderà i gradi di capo sul campo e per volontà del padre Ciccio. Il punto non chiaro di questa “designazione” rimane legato alla mancata “guerra” per prendere il posto di Don Ciccio. Tutti i mafiosi ” si calaru” ad un giovane trentenne senza resistenza alcuna. Strano. E’ evidente che gli altri boss  locali sapevano da chi era protetto e lo hanno accettato senza sparare neanche un colpo di pistola. In questo processo viene fuori il ruolo strategico del boss castelvetranese. E Geraci parla per la prima volta della ” Super Cosa” . Una commissione dove non era necessario essere “punciutu” per farne parte. Chi erano i protagonisti di questa struttura criminale? Non era solo mafia e lui , di certo,  lo sapeva. Geraci probabilmente era un picciotto di fiducia e momlte cose non le ha sapute. Oppure non le ha mai dette. Di ben altra natura era il ruolo di Vincenzo Sinacori

In quel processo anche Sinacori parla della super cosa e le stragi del 1992

Dal verbale di Vincenzo Sinacori
Geraci non ha partecipato ad alcuna delle riunioni – salvo l’ultima, quella nella quale ci siamo scambiati gli orari, le coordinate operative – che precedono l’ultima, precedendo tutte la partenza dei sei uomini d’onore per Roma.
Geraci sa poco della “super Cosa” – il discorso andrà ripreso -, non saprà niente di
quello che passa strategicamente per la testa di Riina.
Geraci ignorerà la ragione per la quale a un certo bel giorno, cioè a dire, il 5 di marzo del 1992,Matteo gli dice che si rientra in Sicilia.

Questo passaggio indica il ruolo centrale di Riina ma non fa capire con chi condividesse Riina le decisioni di uccidere magistrati e poliziotti. Oltre ai mafiosi di alto calibro chi sedeva al tavolo della Super Cosa ? E soprattutto in quale periodo è stata costituita? E qui si potrebbe anche chiedere ad Angelo Siino. Riina lo mandava in giro per gli appalti e allo stesso tempo pensava di far saltare in aria magistrati. Una strategia molto pericolosa per chi vuole fare soldi. Stragi di questo livello avrebbero necessariamente provocato una forte reazione dello Stato. Quindi, Riina mandava Siino a Castelvetrano per concludere affari come quello delle fognature di Selinunte e della costruzione delle aree artigianali con politici e i Messina Denaro e allo stesso tempo coinvolgeva Matteo per uccidere e mettere bombe. Qualcosa non torna. Forse molti dubbi si potrebbero chiarire investigando su questa “Super cosa”. Troppo pericoloso? Messina Denaro è ha conoscenza di questi segreti? Appare evidente che il suo arresto potrebbe consentire ai magistrati non depistatori di accertare molte verità. Il suo arresto fa paura e la sua forza sta nei segreti che conosce