La condanna dell’ex senatore d’Alì , la giustizia tardiva e i tanti nodi non sciolti dalla sentenza

l’ex senatore di Forza Italia ,Antonio D’alì, condannato a 6 anni anche dopo l’ennesima sentenza , continua a generare polemiche e ad alimentare divisioni , spesso anche strumentali. Oltre al problema che riguarda l’aspetto procedurale giudiziario e riferito all’eventuale ricorso in cassazione, la vicenda d’Alì, riapre sempre le solite e vecchie ferite tra le varie parti in campo nella lotta al malaffare mafioso e politico-istituzionale.

Un processo iniziato tardi e finito mai

Il processo è stato celebrato dopo che la Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio , la sentenza della Corte d’appello di Palermo che, a settembre del 2016dichiarò assolto l’ex politico per le contestazioni successive al 1994 e prescritti i reati a lui contestati nel periodo antecedente a quella data. Il processo è attivo dal 2011.


Le motivazioni del provvedimento che ha annullato l’appello.
 La difesa: affermazioni “infelici”.


Il retroscena di questa vicenda è quello della Mafia dei grandi appalti . Nel nostro blog, ne abbiamo ampiamente parlato in passato , riprendendo molte dichiarazioni del pentito, Angelo Siino che ha detto chiaramente che,” in Provincia di Trapani gli appalti erano gestiti già dagli anni 70, da una cabina di regia fatta da mafiosi, politici, burocrati e imprenditori amici di banche faccendieri”. Dove sta la novità? Basta leggere le carte processuali per capire che, in provincia di Trapani per anni il sistema ha funzionato così. Anche sulla gestione delle banche locali, tanto forti fino al 2000, ci sono molte informative inchieste specifiche che indicano la presenza di capitali sporchi e mafiosi dentro i conti correnti. Lo sapeva Falcone e anche Borsellino che le banche trapanesi erano pieni di soldi sporchi. E poi, può funzionare senza la regia dei politici e dei burocrati un giro di affari sugli appalti dove passano miliardi o milioni di vecchie e nuove monete? Anche un bambino direbbe: “No”.

Tutti sapevano e tutti cercavano di acchiappare e per decenni, molti boss e politici sono stati lasciati nella libertà di agire. E questo, purtroppo, è dimostrato anche dalle sentenze. Queste superficialità riscontrate nella lotta alla mafia non possono essere “colpe” dei cittadini. Anche sulla famiglia d’Ali, le informative di carabinieri e polizia degli anni 80 e 90 per anni sono rimaste chiuse nei cassetti di qualche tribunale. Perchè attendere il 2011 per iniziare a giudicare un politico tanto chiacchierato e con varie attività investigative alle spalle?

Già negli anni 80 le informative parlavano della Banca Sicula e dei rapporti con i clan. E non sono mancati anche gli articoli di stampa. E non si dica che era difficile mettere sotto inchiesta D’alì in quegli anni. Ben altri politici, come Mannino e Culicchia e altri ancora, furono messi alla sbarra. Quindi, si guardi la storia nella sua interezza, prima di gettare ombre su chi cerca di leggere le carte e cerca la verità, senza condizionamenti politici. Il coppo- mafia-affari- politica a Trapani e provincia esiste dal terremoto del Belice e ha riguardato tutte le aree politiche. Ricostruzione del Belice docet .
Tornando alle carte giudiziarie su d’Alì, è importante evidenziare alcuni aspetti. I giudici della corte d’appello di Palermo che nel 2016 dissero che l’ex senatore doveva essere assolto ,vennero contestati dalla Cassazione per questa motivazione : ” I giudici territoriali illogicamente ed immotivatamente hanno svalutato il sostegno elettorale di Cosa Nostra a D’Alì”.
Lo scrive la corte di Cassazione nel provvedimento che ha annullato il verdetto della corte d’appello di Palermo a carico dell’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì, accusato di concorso in associazione mafiosa. I giudici , chiamano nuovamente alla sbarra, l’ex senatore azzurro, per avere rafforzato Cosa nostra e di aver goduto dell’appoggio elettorale della mafia, era stato assolto dalla corte d’appello del capoluogo siciliano per le imputazioni relative ai fatti successivi al 1994 :i giudici avevano poi dichiarato prescritte le accuse inerenti al periodo precedente a quell’anno. E ancora gli ermellini: “si dubita della logicità del ragionamento della Corte palermitana – si legge nelle motivazioni – nel momento in cui non prende una posizione netta sulla rilevanza al supporto elettorale fornito da Cosa Nostra a D’Alì non solo nel 1994, ma anche a quello ricevuto nel 2001.”

Quindi , l’ex senatore risponde alla giustizia solo per aver “goduto” degli appoggi elettorali dei boss e per aver fatto qualche favore ai clan. Tutto il resto? Finito nel pozzo. Lui si è sempre dichiarato vittima dei mafiosi. La sua prima moglie disse cose diverse, in una lunga intervista del 2009, poi in parte ritrattata.

Una sentenza quella di mercoledi scorso, che, se confermata, non darà giustizia ai tanti che vorrebbero sapere il ruolo dell’ex senatore in merito ai soldi gestiti dalla Banca Sicula negli anni 70/80 e anche 90 e ai grandi affari del periodo d’oro trapanese. Che ruolo ha avuto nel condizionamento politico e burocratico su varie amministrazioni locali, intervenendo in assunzioni e incarichi? A Trapani lo sanno tutti. Tra comune e provincia d’Alì amici ne lascia tanti.

Era potente e nei vari enti locali e aziende pubbliche, qualche uomo suo ci sarà ancora. Chi sono i “raccomandati di d’Alì che devono “eventualmente” tanto all’ex senatore? Lui, di gente ne ha sistemata. Magari , si può presumere anche parenti e amici di qualche boss. Purtroppo , nelle aule giudiziarie, di questi argomenti, non ne sentiremo parlare. E’ tutto prescritto. La Giustizia è arrivata tardi, anzi tardissimo . E doveva giudicare anche tanti amici diventati “cristiani” grazie all’ex senatore e che oggi , magari commentano pure, la sua condanna sui social, esultando. “Ci voli curaggiu“. Chi non ha memoria lunga, dimentica che, l’ex senatore era potente , già dai tempi dell’accordo con Massimo Grillo , che portò all’elezione di Giulia Adamo alla presidenza della Provincia di Trapani. Sono passati più di 20 anni

Anche l’eventuale condanna definitiva dell’ex senatore , in qualche modo, sarà monca. Quella giustizia che doveva dare l’esempio è arrivata troppo tardi e anche in modo imperfetto. I buoi sono quasi tutti scappati. Se d’Alì sarà condannato definitivamente, avrà pagato una parte di conto. L’altra parte rimane solo sospetto e inchieste senza esito. E poi, cosa di non poco conto, ci sono tutti gli uomini di D’alì , rimasti liberi e senza colpa. Di “figli” suoi politicamente e professionalmente, in giro ne rimangono tantissimi. Come è successo a Cuffaro, pagherà il conto per tutti con qualche anno di carcere, i beni saranno suoi e agneddu e sucu e finiu u vattiu. Chi cerca la verità avrebbe voluto un processo su tutto e a tempo debito. Rispetando il criterio della presunzione d’innocenza e del diritto alla difesa. Già, perchè, secondo quei fessi che credono alla Costituzione, le sentenze si emettono in Tribunale. Spesso la confusione nella gente scaturisce dai ritardi incomprensibili o sull’uso parziale della giustizia.

Fonte “Fanpage”