Open Data e tutela del territorio a vocazione agroalimentare

Open Data e tutela del territorio a vocazione agroalimentare
di Filippo Moreschi, avvocato e Responsabile Osservatorio AIDR
“Digital Agrifood”

Da ormai qualche anno, la comunità internazionale ed i singoli Stati
nazionali hanno dettato ed aggiornano normative e specifiche tecniche
per la raccolta dei c.d. “Open data”, ossia i dati aperti, accessibili
a tutti, messi a disposizione da Pubbliche amministrazioni o aziende
private, che possono essere riutilizzati per diversi scopi.
Secondo il Codice dell’Amministrazione digitale, i dati di tipo aperto
o Open Data sono caratterizzati da tre condizioni concorrenti: una
licenza o una previsione normativa che ne permetta l’utilizzo da parte
di chiunque; l’accessibilità attraverso le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti
telematiche; la gratuità; la possibilità di essere utilizzati da parte
di programmi per elaboratori, perché provvisti dei relativi metadati
(art. 1, comma 1, lett. 1-ter, D.Lgs 82/2005 e succ. mod.)
L’Agenzia per l’Italia Digitale gestisce, tra gli altri, anche i dati
territoriali, elemento conoscitivo base per tutte le politiche di
gestione del territorio.
Il sito dell’AGID, attraverso il portale geodati.gov, fornisce un
repertorio di dati e metadati territoriali, a partire dai rilievi
satellitari. Essi entrano a fare parte della infrastruttura nazionale
per l’informazione territoriale ed il monitoraggio ambientale,
istituita, in Italia, con il D.Lgs 32/2010, norma di recepimento della
direttiva 2007/2/CE (c.d. INSPIRE).
Nel caso di produzioni agricole, inoltre, molte regioni (tra cui, ad
esempio, Regione Lombardia) forniscono in modalità “open” l’elenco
delle particelle agricole delle singole province, ove è specificato
l’utilizzo del suolo, la coltura, la superficie e l’eventuale presenza
di contratto di affitto agrario o meno.
Si tratta, come si vede, di dati che hanno origine diversa ma che
concorrono ad una banca dati comune funzionale alla conoscenza
capillare del territorio.
Quanto più infatti un territorio è conosciuto, quanto più le
informazioni su di esso sono pubbliche ed accessibili a chiunque,
tanto più il territorio può essere difeso e tutelato.

Tuttavia, su scala nazionale, l’enorme patrimonio di dati si
caratterizza per una spiccata frammentazione e differenze quantitative
e qualitative, che impattano in modo sensibile sia sui procedimenti
amministrativi di utilizzo dei dati, sia nelle valutazioni che di essi
deve dare, quando è chiamata, l’Autorità Giudiziaria.
Lo scorso febbraio, il Tribunale amministrativo regionale della
Campania (Napoli) ha annullato il decreto di diniego
dell’assoggettabilità a Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.) del
progetto di impianto di compostaggio per la frazione organica dei
rifiuti solidi urbani nel comune di Chianche (AV). Il comune di
Chianche si trova nella zona vitivinicola del Greco di Tufo DOCG.
Il Tribunale, tra le varie ragioni addotte a fondamento della propria
decisione, ha ravvisato il difetto di motivazione del provvedimento
impugnato, perché non avrebbe tenuto conto della prevalenza della
vocazione agricolo-naturalistica della zona, situata all’interno della
DOCG viticola.
È il Codice dell’ambiente infatti ad imporre, nella fase di
assoggettabilità a Valutazione di Impatto ambientale di un’opera o di
un progetto (c.d. “screening”), la tutela dei territori con produzioni
agricole di particolare qualità e tipicità, tra cui quelle a
denominazione di origine controllata o protetta (DOC/DOP), a
indicazione geografica (IGT o IGP) e, specialmente, quelle a
denominazione di origine controllata e garantita (DOCG). L’allegato V
alla parte II del Codice dell’ambiente, dettando i criteri per la
verifica di assoggettabilità a V.I.A. menziona esplicitamente l’art.
D.Lsg 228/2001, rubricato “norme per la tutela dei territori con
produzioni agricole di qualità”.
Il Tribunale ricorda che, pur se in modo preliminare e sommario, lo
“screening” è una verifica da intendersi in senso tecnico, perché
esamina il possibile impatto dell’opera senza dover svolgere quelle
valutazioni discrezionali amministrative che invece riguardano il
bilanciamento dell’opera stessa con gli interessi ad essa confliggenti.
Più ancora nello specifico, il Tribunale osserva che anche nelle
immediate vicinanze del sito ove avrebbe dovuto sorgere l’impianto
insistono i vigneti della DOCG, come appare “dalla documentazione
fotografica depositata” all’interno delle relazioni tecniche delle
amministrazioni controinteressate al Giudizio.
Il riferimento alla “documentazione fotografica” porta con sé,
naturalmente, una riflessione su quale potrebbe essere la qualità
dell’agire giurisdizionale, e prima di esso dell’agire amministrativo,
se a fondamento dello stesso fossero sistematicamente posti, in luogo
di produzioni documentali parziali e fatalmente incomplete, Open Data
raccolti in modo approfondito e sistematico, accumulando dati relativi
alla specificità (ambientale, agronomica, paesaggistica) delle zone a
denominazione o a indicazione geografica, ove insistono produzioni che
si qualificano per il legame stretto tra il prodotto ed il territorio.

Un importante e specifico compito in questo senso potrebbe essere
svolto dalle sempre più frequenti “zonizzazioni” delle zone
vitivinicole di pregio, a partire da quella pubblico-privata svolta
nel 2008 da ARPA Veneto e dai Consorzi di tutela delle principali
denominazioni d’origine della regione, esempio poi seguito da molti
altri (da ultimo, in Valcamonica, su iniziativa del Consorzio Vini IGT
della Valcamonica).
Come è stato chiaro fin dal primo momento, la zonizzazione, che nasce
come studio delle interazioni tra i vitigni coltivati in un
determinato territorio ed il relativo areale al fine di migliorare la
qualità della produzione, ha importanti implicazioni ambientali e
paesaggistiche, rappresentando una forma di conoscenza e di tutela del
profilo e della composizione del suolo, delle risorse idriche, del
clima, mirando ad evitare sbancamenti, livellamenti e ricorso al
terreno proveniente da altre zone. Un modo, è stato detto, “non solo
di produrre un vino migliore ma anche per sviluppare la coscienza del
buon governo del territorio”.
Si tratta insomma di dedicare tempo e risorse ad uno studio
approfondito del territorio e dell’ambiente in quelle realtà che
determinano la produzione agroalimentare di qualità e di eccellenza.
Va da sé augurarsi che anche il prezioso risultato di tale attività
possa essere reso “open” nel senso e secondo le modalità previste dal
Codice dell’Amministrazione digitale, in modo da concorrere al meglio
alla tutela del territorio vocato, svolgere un ruolo di rilevo anche
nei sistemi di gestione ambientale delle singole realtà locali,
aderire allo spirito dei principi di sviluppo sostenibile e di una
giurisprudenza che sempre più riesce a cogliere i legami tra la tutela
ambiental-paesaggistica e la difesa delle migliori tradizioni della
nostra cultura enogastronomica.