Caso Orlandi. L’inchiesta andava chiusa. C’è un nome che non si poteva fare

Intervista all’ex procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo

di Beatrice Nencha per Notte Criminale

“La tomba di Enrico De Pedis nella basilica di Sant’Apollinare era molto ingombrante per il Vaticano. Non c’era alcun motivo religioso per giustificare la sepoltura di un personaggio come lui in una basilica. Il Vaticano premeva affinché la magistratura gli togliesse le castagne dal fuoco aprendo la tomba, che la Chiesa non poteva rimuovere perché vincolata con la famiglia. Il contenuto dell’accordo informale raggiunto dalla procura in un primo tempo col Vaticano, poi superato dalla decisione del nuovo procuratore di aprire la tomba senza contropartite, è tratteggiato nel mio libro”.

Per ricostruire la vicenda di Emanuela Orlandi, bisogna rimettere insieme i pezzi di un puzzle, sparsi tra le righe di “La ragazza scomparsa” (Chiarelettere), l’ultimo romanzo noir scritto dall’ex procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldoche si è occupato a lungo di terrorismo nero, malasanità e di alcuni tra i principali scandali italiani come le inchieste su FinmeccanicaTelecom-Fastweb e quella sulla P3.

Tra le mani dell’ex responsabile del pool Antiterrorismo e della DDA della Procura di Roma sono passati alcuni dei fascicoli più scottanti degli ultimi decenni. Inchieste che hanno travolto politici, imprenditori e criminali di spicco della scena nazionale. Da Carminati a Mokbel, passando per Ciavardini e Senese, Capaldo ha nuotato nei misteri e nella corruzione del Belpaese. L’ultimo, per certi aspetti il più clamoroso, ha riguardato il giallo italiano per antonomasia: il sequestro di Emanuela Orlandi. Su cui la Procura di Roma ha sollecitato, nel 2015, l’archiviazione tombale. Non condivisa da Capaldo, a cui l’indagine fu avocata.

Massimo Carminati

Noi siamo ripartiti da qui. E dai “peccati” e “peccatori” che appaiono – sullo sfondo del suo romanzo – collegati a tale vicenda. Memori di un’altra reminescenza: quello che Carminati ci rispose, a margine di un’udienza del secondo Appello del “Mondo di Mezzo”: “Noi non abbiamo mai toccato i bambini. Il mistero di Emanuela Orlandi va cercato dentro al Vaticano”.

Dottor Capaldo, si aspettava che il suo libro avesse un effetto così forte? I legali di Pietro Orlandi, lo scorso 28 novembre, hanno presentato una nuova istanza per chiedere che venga acquisita la sua testimonianza

Mi aspettavo un certo interesse perché la vicenda di Emanuela Orlandi è molto seguita a Roma da varie generazioni, anche se poi viene elaborata in modo diverso.

Giuseppe Pignatone

I legali del fratello di Emanuela chiedono al Vaticano di sentirla “con la massima urgenza” per riferire chi siano gli alti prelati che lei ha incontrato durante la cosiddetta “trattativa” con la Santa Sede, prima che l’inchiesta fosse chiusa dal procuratore Giuseppe Pignatone

E’ comprensibile che gli avvocati della famiglia Orlandi chiedano di approfondire determinate circostanze. Non ho ancora letto l’istanza, tuttavia immagino che difficilmente sarà accolta poiché il Vaticano ha sempre detto di non aver mai svolto alcuna indagine sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.

Di questi incontri che lei ha avuto con esponenti della Curia esiste una memoria documentata?  Nuzzi le contesta che non siano avvenuti in una sede istituzionale italiana ma in ambienti vaticani

La versione di Nuzzi risale a diversi anni fa ed ora è cambiata. Non sono mai andato a fare incontri in Vaticano.

Inquadriamo il periodo: siamo a ridosso dell’apertura della tomba di Enrico De Pedis, avvenuta il 14 maggio 2012, nella basilica di Sant’Apollinare a Roma

Gli incontri avvengono nei mesi precedenti, tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. Su di essi posso dire solo che in Vaticano erano molto infastiditi, in quel momento storico, per il clamore di tutta la vicenda che riguardava l’apertura della tomba.

Giancarlo Capaldo

Attraverso questi contatti lei ha avuto la sensazione che la controparte vaticana potesse indicarle dove rintracciare il corpo di Emanuela, in cambio di una sua “malleabilità” a chiudere l’inchiesta, come è stato suggerito dalla stampa?

No, semplicemente il Vaticano voleva non essere coinvolto mediaticamente nell’inchiesta e questa sua volontà io la comprendo. Tuttavia, ciò non poteva non accadere nel caso della sepoltura di De Pedis, perché questa circostanza toccava un nervo scoperto della Chiesa.

Per quale motivo e quale “nervo” toccava, a suo avviso?

La salma di De Pedis, tumulata a Sant’Apollinare, era molto ingombrante per il Vaticano. Non c’era alcun motivo religioso per giustificare la sepoltura di un personaggio come De Pedis in una basilica. Il Vaticano desiderava che qualcuno gli togliesse  le castagne dal fuoco aprendo la tomba. Loro non la potevano riaprire perché si erano vincolati con la famiglia a mantenerne la sepoltura. Il contenuto dell’accordo col Vaticano, che poi è stato superato dalla decisione del nuovo procuratore di aprire la tomba, è quello adombrato nel libro. L’accordo finale tra il Vaticano e il Principe riecheggia, in modo romanzesco, il mio accordo.

Quali erano le forze che si opponevano in Vaticano?

Dopo la scoperta della tumulazione di De Pedis nella Basilica, ormai era diventato impossibile mantenere in quel luogo sacro il feretro di un boss, seppur dipinto come “benefattore” della Chiesa. Mantenere o meno la sua tomba nella basilica cristiana non era però un problema della Procura. Era il Vaticano a dover decidere al riguardo. La verità è che i mass media avevano diffuso nell’opinione pubblica false speranze, a cui io non ho mai dato credito in quanto illogiche. In particolare, la possibilità di rinvenire, insieme alla salma di De Pedis,  anche il corpo di Emanuela. A mio avviso questa fu una campagna mediatica alimentata ad arte per forzare la Procura di Roma a compiere il passo. Il Vaticano ha così ottenuto una scorciatoia per arrivare dove voleva: ottenere l’apertura della tomba senza offrire niente di utile all’inchiesta come contropartita.

Oltre a questo, il Vaticano ha ottenuto anche l’archiviazione dell’inchiesta

Quella avvenne successivamente, ma le due cose erano collegate. Era infatti evidente che, senza poter compiere più alcuna altra attività, l’inchiesta era destinata all’archiviazione, che è ciò a cui aspirava il Vaticano.

Archiviazione a cui lei si è opposto

Si perché penso che non fossero state percorse tutte le piste investigative. Il procuratore ha deciso di procedere ad aprire la tomba senza aver letto una pagina dell’inchiesta e senza neanche aver sentito coloro che vi avevano lavorato sino a quel momento. La sua decisione non ha tenuto conto delle esigenze dell’indagine. Ha deciso così perché gli è sembrato giusto liberare la Basilica accogliendo la richiesta del Vaticano. Sarà stata una decisione giusta, forsenell’ambito della cura dei rapporti con il Vaticano, ma non certo sul piano processuale.

Lasciata la Procura di Roma, Pignatone nel 2019 è divenuto presidente del Tribunale vaticano. A suo avviso, è stata la Santa Sede a fare pressioni per la chiusura dell’inchiesta?

De Pedis / Emanuela Orlandi

Non conosco i motivi che hanno portato il Vaticano a scegliere il dottor Pignatone come presidente del Tribunale. Posso solo ritenere che il Vaticano abbia apprezzato la chiusura dell’inchiesta. L’apertura della tomba di De Pedis, al Vaticano ha apportato un duplice beneficio: rimuovere un problema che non voleva risolvere direttamente e, allo stesso tempo, mettere una pietra tombale sulle indagini.

Perché lei si opponeva alla riesumazione della tomba?

In un articolo pubblicato all’epoca dal Messaggero era evidenziato che la Procura non riteneva che l’apertura della tomba fosse un’indagine essenziale, ma che la stava valutando. Quella incertezza non era gradita a qualcuno, che ne ha evidentemente sollecitato l’apertura. A quel punto è intervenuto il procuratore Pignatone con un comunicato ufficiale, divulgato lo stesso giorno dell’articolo, nelle prime ore della mattina, che disponeva l’immediata riesumazione della salma di De Pedis. Anche se poi, nella realtà,  ci sono voluti  circa due mesi per motivi tecnici.

Prima di decidere la riesumazione della salma di De Pedis, il procuratore si è confrontato con lei?

No, ha deciso di agire senza comunicare nulla, né a me e né agli altri colleghi che si erano occupati della vicenda, e senza chiedere ai magistrati in possesso del fascicolo di leggerlo.

Ritiene che tutto il suo lavoro sul caso Orlandi, dal 2008 al 2012 in cui è avvenuta l’archiviazione, sia andato in fumo?

No perché anche nell’archiviazione si dà atto di tutto il lavoro svolto, delle indicazioni della Minardi e del coinvolgimento, della Banda della Magliana. Dopodiché, il procuratore ha sostenuto che  le rivelazioni della Minardi non erano convincenti e risultavano completamente inattendibili. Questa, in sintesi, è la motivazione dell’archiviazione.

Nel libro lei parla dell’”Entità”, descrivendolo come il servizio segreto più antico e potente al mondo. In tutta la vicenda della sparizione di Emanuela, secondo lei questo servizio ha avuto un ruolo nelle operazioni di depistaggio dell’inchiesta?

Sabrina Minardi

Si, ne sono convinto, però anche con qualche aiuto di altri soggetti, così come era accaduto per ottenere l’apertura della tomba di De Pedis. Una settimana prima che assumessi l’incarico di responsabile della DDA a piazzale Clodio e mi potessi occupare dell’inchiesta sulla Orlandi, di cui era titolare il procuratore Italo Ormanni che io andavo a sostituire, era accaduto un fatto molto grave. Le dichiarazioni della testimone Sabrina Minardi erano pervenute ai giornalisti. Nel giugno 2008 sono stati resi pubblici, attraverso una fuga di notizie, tutti i verbali delle dichiarazioni rese dalla teste. Sul piano processuale, quella fu un’operazione criminale.

Sabrina Minardi si è contraddetta vistosamente in più occasioni. Mentiva o potrebbe essere stata avvicinata?

Sicuramente era terrorizzata perché le persone che lei aveva chiamato in causa, tra cui alcune legate alla Banda della Magliana, erano ancora attive. Lei aveva poi riferito anche di persone che avevano tenuto in sequestro Emanuela Orlandi. Mentre la storia di Marcinkus, da lei raccontata, a mio avviso era completamente falsa, così come l’episodio dell’uccisione di Emanuela nella betoniera, insieme al figlio del boss Salvatore Nicitra, scomparso solo anni dopo. Poi la Minardi inventò che il corpo di Emanuela era stato gettato a mare, evidentemente per dimostrare che stava mentendo. Era questo il suo modo per ritrattare. Naturalmente ciò è andato bene a tutti quelli che la verità non la volevano. Ed erano in tanti.

Chi poteva disporre di questi verbali era solo qualcuno interno alla Procura?

Certo. La Minardi non aveva la copia dei suoi verbali in quanto era testimone. Tutto quello che aveva raccontato l’ha ritrovato pubblicato integralmente sui giornali e quindi si è chiusa la bocca. E ha cominciato a raccontare storie differenti perché a quel punto aveva interesse a mentire, per far concludere che lei era inattendibileNon fu mai fatta nemmeno l’indagine su quella fuga di notizie.

L’hanno accusata di tenere in piedi l’inchiesta Orlandi per farsi pubblicità

In tutti gli anni in cui ho diretto la Distrettuale, di pubblicità non ne avevo proprio bisogno perché, a parte i maxi processi Fastweb e Telecom, ho trattato molte inchieste seguite ampiamente dai media come quella sulla cosiddetta “Lady Asl”, tutte quelle di criminalità mafiosa operante a Roma, dai Senese, agli omicidi su Ostia, alla banda della Marranella, e altre ancora. Penso che tale accusa nascesse piuttosto dall’interesse di qualcuno nel voler chiudere l’inchiesta su Emanuela Orlandi, dato che manteneva i riflettori accesi sul Vaticano e questo dava fastidio a molti.

Ritiene che i suoi atti contenessero elementi tali da spaventare qualche potente in Vaticano?

Nel mio romanzo cerco di far capire perché questa vicenda rappresenti un nervo molto vivo per la Chiesa. La scomparsa di questa ragazza è riferibile a una lotta di potere interna al Vaticano. Il Vaticano è quindi il cuore di tutto.

Per alcuni il suo libro non è abbastanza coraggioso nell’esplicitare la sua tesi

Io ho scritto un romanzo, cioè un’opera di finzione. La scelta del romanzo è per definizione una scelta diretta ad avere più libertà di espressioneIl libro non segue la logica giudiziaria, tantomeno ripercorre ipotesi investigative. Dal mio punto di vista è un romanzo-verità: racconta una storia che rimarrà per sempre aperta. Perché per chiudere la storia ci vuole un punto certo, qualunque esso sia. E l’archiviazione non è un punto. L’archiviazione ha soltanto detto che la giustizia italiana non è riuscita a trovare prove per raccontare questa storia.

Restando pur sempre nella fiction, la pista che segue il suo protagonista apre verso altre direzioni. Scartando quella, più accreditata, del sequestro da parte della Banda della Magliana per ottenere indietro i soldi investiti nello IOR

Io non credo a quella pista. Credo che la banda della Magliana sia intervenuta ma che il sequestro non sia un piano della Banda per riottenere il suo denaro. Penso che essa si sia inserita nel contesto della vicenda Orlandi per un suo interesse ma che non abbia congegnato l’operazione.

Nel racconto si accenna alla sparizione di altre ragazze, scomparse nello stesso parco temporale di Emanuela. Oltre a Mirella Gregori, nella capitale svanirono almeno un’altra dozzina di giovani.

Mirella Gregori

Se si facesse un’indagine, che mai a nessuno è stato consentito  fare, si scoprirebbe che nei primi mesi dell’83, e fino alla scomparsa di Emanuela Orlandi, a Roma sono sparite numerose ragazze, in particolare tra marzo e giugno. Dopo la scomparsa della Orlandi, questo fenomeno si è improvvisamente interrotto. Secondo me queste sparizioni, avvenute in un particolare momento storico, rispecchiano alcune vicende che ho descritto nel libro. Queste ragazze erano usate come vittime sacrificali in messe nere, che all’epoca venivano celebrate in luoghi sconsacrati, con la partecipazione di tante persone influenti. Tuttavia, secondo me la Orlandi non rientra in queste vicende.

Perché quelle ragazze morivano subito?

Esatto.

Emanuela morì perché non poteva essere tenuta in vita, perché sapeva troppo?

Una ragazza di 15-16 anni non può gestire delle esperienze di quel tipo. Basti pensare a Moro. E’ stato ucciso perché era ormai troppo pericolosa la sua liberazione. La Democrazia cristiana non lo voleva libero, e ha preferito che morisse. E’ stato un fatto inevitabile, anche se pubblicamente non voluto. Moro è morto per lo stesso motivo, in fondo, di Emanuela.

Lei è però convinto che Emanuela sia stata restituita, a un certo punto

C’è la Minardi che ce lo dice. Anzi, secondo me quella parte della testimonianza della Minardi è la più autentica perché contiene dettagli che non era possibile inventare. La Minardi dice di aver riaccompagnato con la sua macchina la ragazza su una strada, che in gergo si chiama Millecurve che è quella che sale al Gianicolo. Lì la ragazza sarebbe salita su una macchina nera targata Stato della Città del Vaticano. Questa è un’indicazione che fornisce la Minardi nei verbali e ritengo che sia giusta. Questa ricostruzione molto particolare si può spiegare solo in due modi: o la Minardi ha raccontato una balla, oppure il fatto è reale e bisogna chiedersi perché sia avvenuto. Perché Emanuela è stata restituita? Perché c’è stata una trattativa? E in questo secondo caso: perché c’è stata la necessità di una trattativa e come mai la ragazza non è più ricomparsa, se è stata restituita?

Quanto può essere durata la vita di Emanuela Orlandi dopo il suo rapimento?

Anche degli anni. Sono significative quelle carte trovate da Fittipaldi che parlano di Emanuela come se fosse viva anche in anni molto lontani dalla sua scomparsa.

Nel romanzo fa capolino anche Pietro Orlandi, pur rimanendo sempre sullo sfondo

Pietro è uno dei protagonisti del libro. Anche lui si è battuto per aprire la tomba di De Pedis. All’epoca ce l’aveva con me perché non capiva la mia cautela nel fare questo passo, oggi ha compreso cosa questo significasse davvero.

Nel libro c’è una frase detta dal Pontefice che lascia intuire un abisso di segreti spaventosi. Quando il Papa dice a Gian Maria: “Non pronunci quel nome, altrimenti non potrà uscire da qui”

Il libro dà conto della vicenda in un modo che vuole apparire verosimile ma manca un tassello molto importante. Quella frase ci dice quello che manca: un nome. Per questo l’inchiesta si doveva chiudere.

(Fine 1 Parte)

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