Le telefonate dal carcere di Ottavio Abbate, l’uomo della Kalsa controllava tutto dalla cella

Ottavio Abbate, uomo della Kalsa a Palermo, anche dal carcere di Agrigento dove era detenuto controllava tutto. Grazie ad alcune schede telefoniche intestate a cittadini del Bangladesh e quindi ritenute sicure, secondo l’uomo finito nell’inchiesta dei carabinieri che ha portato la scorsa notte ad otto arresti.

Schede telefoniche che dovevano essere anche cambiate quando è arrivata la voce che Francesco Colletti, uomo della famiglia di Villabate, aveva deciso di iniziare a collaborare. Colletti sapeva che Ottavio mandava ordini dal carcere attraverso il telefonino e quelle schede erano bruciate.

bbate, parlando con il figlio e la moglie, spiegava come fare arrivare  le nuove schede pulite. Nelle telefonate l’esponente della famiglia della Kalsa gestisce tutto. I soldi da versare all’avvocato, dirime questioni legate al mandamento. E poi sempre i soldi da dare ma soprattutto da ricevere.

“Mi deve dare 700 euro…”

“Mi deve dare 7.000 euro a me… ancora non me li ha dati”, diceva il figlio Salvatore, riferendosi a un uomo soprannominato “U pompa di benzina”, come si legge nell’ordinanza firmata dal gip Walter Turturici. Dalla cella attraverso il telefonino Ottavio Abbate passava i suoi ordini a “Nicola dello Sperone”, “stuppaglia”, “Daniele u funcia”. Tutti soprannomini di persone che dovevano soldi alla famiglia Abbate. Richieste di saldo che arrivavano dal carcere in modo perentorio e che dovevano essere soddisfatte “anche a costo di vendere le macchine”, come si legge nell’ordinanza.

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