La confisca a Becchina, i tanti misteri rimasti sui reperti di Selinunte e la fine di un’epoca aurea

Da oggi il patrimonio  conosciuto di Gianfranco Becchina passa allo Stato

 

Un patrimonio che ha in elenco un  sito di notevole interesse culturale e difficilmente valutabile.

Con la  confisca a Becchina  si chiude parzialmente  il capitolo legato alla sua ricca carriera professionale

Un curriculum fitto di misteri , quello del mercante d’arte, e legato al mercato illegale di opere d’arte. Da decenni si indaga sulla sua presunta collaborazione con i tombaroli. Lui ha sempre negato ogni addebito. Un giro d’affari , quello dei reperti, che negli anni d’oro, ha fruttato soldi a palate. Ci riferiamo a Selinunte e ad altre località rovinate dai tombaroli e dai mercanti fuori legge. Ci furono stagioni che videro alcuni pescatori cambiare repentinamente stato economico

Negli anni 60/70/80 e 90 e anche oltre, sono state trafugate migliaia di reperti.  Selinunte è stata la capitale siciliana di questo vergognoso mercato. Tutti sapevano e nessuno interveniva. Non sappiamo di preciso, dalle sentenze, il ruolo di Becchina Le procure locali non si sono accorti di questo ignobile commercio .In merito, non ci sono condannati per il sacco di Selinunte . Nessuno è stato mai condannato per il notevole danno culturale e artistico compiuto sull’intera area di Selinunte, Timpone Nero compreso. Una vergogna giudiziaria tutta da capire.

Becchina è  da sempre un abilissimo mercante d’arte. Conosce bene il suo lavoro. Parte negli anni 60 , si dice per la Svizzera, praticamente senza nulla.  In questa terra conoscerà e imparerà a gestire il mercato dell’arte antica. Ritornerà dopo pochi anni pieno di soldi e pronto ad acquistaree ad investire nella città che gli ha dato i natali . A Castelvetrano , nella sua mega villa in zona detta della, ” Conigliera” presso l’area della Diga Delia, ha ricevuto gente di ogni genere. Intellettuali, storici, politici, giornalisti  amici. (i nemici li faceva criticare ), gente dello spettacolo e tanti tecnici e professionisti. In certi periodi c’era la fila d’architetti e ingegneri.  Anche diversi commercialisti, per anni  , hanno messo piede in quella villa . Becchina ha sempre vissuto tra i suoi ulivi e le stanze di quella villa. Palazzo Pignatelli era la sua sede di rappresentanza . Quel palazzo storico  lo acquistò ai tempi dell’ex sindaco Bongiorno che cercò di comprarlo , per allargare la sede comunale del palazzo, senza riuscirci. Becchina fu più bravo e lo acquistò dai vecchi proprietari. Becchina fu anche capace di vendere il suo pregiato olio alla Casa Bianca (USA), dimostrando di avere amicizie ovunque

Becchina era molto introdotto nella società “Alta” locale “e non solo. Ha avuto ottimi rapporti anche con alcuni giornalisti locali . alcuni anche della cosiddetta, “antimafia”. Spesso amava scrivere e anche  bacchettare, trovando spazio in alcune testate. La sua migliore “protesta ” comunque  rimane quella dei rifiuti fatti scaricare in piazza, davanti l’ingresso del comune. Ai tempi , il sindaco era Gianni Pompeo che  si infuriò.  Erano i tempi di “Belice Ambiente “.  Becchina fun un tenace oppositore di Cuffaro ai tempi della sua presidenza. 

Non tutti i giornalisti sono stati “buoni” con Becchina raccontando alcune oscure vicende

ll periodico di Palermo ” S”  edizione cartacea legata al giornale online più cliccato dell’ isola ” Live Sicilia ” fondato da Francesco Foresta, anni fa ,uno speciale di 7 pagine su Gianfranco Becchina a firma di Rino Giacalone scrisse un pò di cose.

Grigoli lo accusava di girare soldi a Matteo Messina Denaro

Con chi ha fatto affari Becchina ?

DA “S” rivista periodica

Un patrimonio il suo, che vale decine   di milioni di Euro , escluso il Palazzo Pignatelli che gli inquirenti non sanno quanto possa valere . il 17 gennaio di 5 anni fa ci fu  la prima udienza presso il Tribunale di Trapani, dove venne chiesta la totale confisca di beni è società nella disponibilità di Becchina e delle figlie Gabriella, Valeria , Raffaella e la moglie Ursula originaria della Svizzera. Tutti cointestatari , con altri soci come Ronald Blacker e la famiglia Divella di Bari titolare del pastificio Divella , di varie quote di società e beni. Sono finite nel mirino degli inquirenti le società: Becchina & Co srl; Olio Verde srl; DEMETRA srl, Leditte con sede in Svizzera: LA CULINARIA GMBH; PALLADION ANTIKE KUNST; URSULA; BECCHINA PALLADION ANCIEN & FINE ART AG

Nelle pagine pubblicate da “S” si evince un percorso imprenditoriale abbastanza complesso. Un ginepraio di società che consentivano a Becchina e alla sua famiglia di spaziare su vari fronti.
Le indagini su Becchina affondano le radici nella storia della mafia belicina
La Dia di Trapani impegnata nella caccia ai grandi patrimoni nella disponibilità anche dei colletti bianchi che sostengono questi patrimoni hanno avuto contezza anche dalle dichiarazioni di Lorenzo Cimarosa

Cimarosa, dopo la condanna al processo Eden ha cominciato a collaborare riempendo decine di pagine di verbali tutti al vaglio dei magistrati. Tra queste dichiarazioni si parla anche di Becchina.
Cimarosa avrebbe raccontato agli inquirenti che molti anni fa, occupandosi di estrazione di sabbia a Selinunte, gli capitava spesso di trovare reperti archeologici. ” le cosiddete ” truvature” che non capitavano solo a Cimarosa in quegli anni, dovevano seguire un preciso percorso. ” Le cose antiche le vendevano-affermava CImarosa- Francesco Messina Denaro se ne occupava attraverso Gianfranco Becchina che abitava in Svizzera”. Secondo Cimarosa molti reperti selinuntini sono finite nelle mani di Becchina che sapeva piazzarli sul mercato internazionale. Un vero scempio di opere d’arte selinuntine che è durato per decenni e di cui nessuno si accorgeva. Adesso, a distanza di oltre 30 anni la Dia di Trapani sta ricostruendo questo vorticoso giro d’affari che ha depauperato il territorio e che avrebbe alimentato le casse dei Messina Denaro e di Gianfranco Becchina ex rotariano e frequentatore dei salotti buoni di mezzo mondo.
Becchina, secondo gli inquirenti, avrebbe consentito alla famiglia mafiosa di Castelvetrano e loro addentellati di avere un importante varco finanziari in Svizzera. becchina, uomo dal carattere forte, aveva amici ovunque. Anche tra i politici. Non amava molto Cuffaro. Addirittura sentiva di poter fare il consulente per Sebastiano Tusa soprintendente regionale. Lo chiese con forza ma non fu accontentato. Ovviamente questa è la tesi dell’accusa. Gli avvocati difensori annunciano battaglia. La vicenda della famiglia Becchina è ancora tutta da decifrare. Sarebbe auspicabile che, anche le figlie facessero la loro parte nel ricercare la verità. Gabriella, in particolare ha vissuto molto il tessuto sociale di Castelvetrano. E’ stata assessore comunale ha fatto parte di associazioni animaliste e di movimenti civici tesi a migliorare le sorti di Castelvetrano.

Anche il “IL POST” giornale con diffusione nazionale e internazionale, non tratta bene Becchina che scrive:

«Fare una stima di tutto ciò che dall’Italia è stato portato all’estero nei decenni passati è praticamente impossibile» dice il Generale  Epifani. «Certo che il mercato purtroppo è stato ed è fiorente in tutto il mondo». Una tale possibilità di fare tanto denaro e correndo pochi rischi non poteva sfuggire alla criminalità organizzata. In Calabria, Campania e Sicilia dietro alla manovalanza dei tombaroli ci sono infatti le organizzazioni criminali. Secondo le ricostruzioni degli investigatori, Matteo Messina Denaro, il più ricercato tra i boss mafiosi latitanti italiani, ha diversificato le sue attività anche con il commercio di opere d’arte e beni archeologici. Suo padre, Francesco Messina Denaro, detto don Ciccio, prima di diventare capo mandamento della sua famiglia nella zona di Castelvetrano, in provincia di Trapani, era proprio un tombarolo.

Nel 1962 fu don Ciccio a iniziare la famiglia al furto d’arte quando rubò dall’ufficio del sindaco di Castelvetrano l’Efebo di Selinunte, una statua greca di bronzo alta 85 centimetri. La statua fu recuperata mentre stava per essere venduta per 30 milioni di lire. Nel 1998 anche il figlio, Matteo, tentò un furto simile: voleva rubare il Satiro Danzante di Mazara del Vallo, che era appena stato recuperato da un peschereccio nel canale di Sicilia. Un pentito raccontò che l’intenzione era quella di rivendere poi la  statua «attraverso collaudati canali svizzeri». Il piano poi sfumò.

Il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, autore della strage di Capaci, ha detto ai magistrati che don Ciccio trasmise al figlio Matteo l’amore per l’archeologia. Dalle indagini emerse un legame tra Messina Denaro e Gianfranco Becchina, mercante d’arte di Castelvetrano, processato per traffico illegale di reperti archeologici (fu lui, secondo le ricostruzioni, ad acquistare il cratere di Assteas). Il reato andò in prescrizione. Secondo il racconto di un pentito, Giusepe Grigoli, Becchina gli consegnò tra il 1999 e il 2006 diverse buste piene di soldi da far arrivare al cognato di Messina Denaro, che doveva poi consegnarle a sua volta al boss. Qualche anno prima Becchina aveva ospitato nella sua casa di Castelvetrano Jiri Frel, predecessore di Marion True nel ruolo di curatore del Getty Museum.