Talpa Perugia, dietro l’inchiesta spunta il patto occulto Pd-Procure

Era stata costretta a dimettersi da Zingaretti che si sarebbe vantato di avere notizie direttamente dai pm

di GIACOMO AMADORI

Investigare sulla presunta talpa di Perugia, il cinquantottenne Raffaele Guadag no, ex influente cancelliere della Procura e presunto informatore di giornalisti, ci ha portato a scoprire diverse novità sulle relazioni pericolose tra gli uffici giudiziari italiani e i vertici del Partito democratico. Una simbiosi che dura da molto tempo e che sembra confermata dalle storie a cui era interessato il presunto corvo perugino. Quest’ultimo non avrebbe «spiato» solo i fascicoli sulla cosiddetta loggia Ungheria e su l l ’ex presidente dell’Anm Luca Palamara, ma anche quello sulla cosiddetta Concorsopoli umbra che ha costretto alle dimissioni per una supposta raccomandazione l’ex governatrice regionale, la dem Catiu sc ia Ma ri ni. Una contestazione di abuso d’ufficio e falso in concorso che, va precisato, è riferita a una decisione che non riguardava la Regione, ma la locale azienda ospedaliera.

L’ex cancelliere oggi indagato, a fine 2021, come rivelato dalla Verità il mese scorso, avvicinò gli avvocati di Palamara per riferire di alcune ipotetiche anomalie avvenute nell’inchiesta sull’ex presidente dell’Anm, compreso un fatto vero e inedito come la richiesta di astensione della pm Gemma Miliani . Ma adesso c’è un nuovo sorprendente tassello da aggiungere alla nostra storia. Guadagno prima di offrire le proprie informazioni al pool difensivo di Palamara aveva cercato di agganciare la Marini.

I SEGRETI DI GUADAGNO

Il 25 settembre 2019, sulla piattaforma Messenger, aveva scritto alla concittadina tuderte: «Mi posso permettere? Non ti dovevi dimettere. Un giorno se vuoi possiamo prendere un caffè…». Dalle dimissioni erano passati 4 mesi e l’occasione del messaggio era il compleanno dell’ex governatrice. Il mese dopo, a seguito della vittoria del centrodestra in Regione, Guadagno tornò alla carica: «Ehilà. Non parliamo di politica […] Sono venuto per votare. Il caffè ora possiamo perché sono qui. In s e t t i m a n a q u a n d o puoi/vuoi. Ps evidentemente ci meritiamo tutto ciò».

Il riferimento era probabilmente alla vittoria della governatrice leghista Donatella Tesei. Guadagno sapeva qualcosa sulle indagini e sulle capillari fughe di notizie che avevano costretto alle dimissioni la Marini? Certo, ad aprile, quando finirono ai domiciliari un assessore e il segretario del Pd dell’Umbria Gianpiero Bocci, i media dedicarono alla crisi politica di una Regione con gli stessi abitanti della provincia di Genova un’atte n z io n e degna della caduta della giunta lombarda o laziale. Il 16 aprile la Marini, come prevede lo statuto, firmò delle dimissioni «tecniche» che il Consiglio regionale avrebbe potuto respingere.

E in effetti il 18 maggio il parlamentino confermò la fiducia alla governatrice e alla sua giunta (con il voto anche della stessa Catiuscia) . Il giorno dopo il segretario del Pd Nicola Zingaretti, forse confondendo il proprio ruolo con quello del fratello Luca, alias commissario Montalbano, andò in tv da Lucia Annunziata a esternare tutto il suo disappunto per il ripensamento della Marini sulle dimissioni («ha commesso un grave errore politico») e ad annunciare la svolta poliziottesca del suo partito: «Il Pd che ho in mente e che io voglio è un partito democratico dove se qualcuno si vende le domande dei concorsi siamo noi a cacciarlo e andare in Procura a denunciarlo prima che se ne accorgano i procuratori».

CONDANNA IN TV

Insomma, in trasmissione Zingaretti «condannò» sen-za appello la sua collega governatrice (lei dell’Um b r i a , lui del Lazio) senza attendere i processi. Ma sostenne anche di non averne chiesto le dimissioni. Molto diversa la versione che abbiamo raccolto noi, interrogando chi in quei giorni assistette al duro braccio di ferro. L’ex governatrice non ha mai dichiarato ufficialmente perché abbia rinunciato alla carica che le avevano affidato gli elettori, ma l’ex presidente del partito M at teo Orfini sui giornali parlò esplicitamente di «pressioni» da parte del «vertice nazionale» del Pd. Le stesse che la Marini ha raccontato a diversi membri del suo staff e a cui hanno assistito direttamente gli uomini della segreteria e il suo avvocato di fiducia Nicola Pepe.

PRESSIONI PER L’ADDIO

Catiuscia Marini

Ecco la nostra ricostruzione di quei giorni febbrili. Il 16 aprile, in tarda mattinata, arrivò a Perugia da Roma l’umbro Walter Verini (pochi mesi prima sconfitto dall’indagato Bocci nelle primarie per la poltrona di segretario regionale), incaricato di commissariare il partito locale, e non lasciò la stanza dell’allora governatrice sino alle 20, impedendo alla Marini di presentarsi in Consiglio per l’intera giornata.

L’«ambasciatore» avrebbe riferito di essere lì «per conto di Zingaretti e del presidente del partito Paolo Gentiloni ».Secondo i nostri testimoni provò in tutti modi a far firmare dimissioni scritte alla M a r i ni . «Verini d is s e che l’indagine era solo all’inizio e che potevano esserci evoluzioni anche gravi», ricorda uno dei presenti. «Fece riferimento ai rischi legati alla possibile reiterazione del reato, che può far scattare anche l’arresto, e fece capire che la situazione era molto delicata».

Ve r i n i , alle orecchie di chi ascoltava, dava l’impressione di avere informazioni di prima mano direttamente da chi stava conducendo le indagini. E anche se non svelò l’id e nt i tà dei suoi informatori, nella stanza ebbero l’i m p re s s io n e che si trattasse più di fonti investigative che giudiziarie.

Verso le 17 Zingaretti contattò il telefonino di Verini (un parlamentare e quindi non intercettabile) per conferire con la Marini, che resisteva strenuamente all’idea di lasciare, convinta della propria innocenza. L’ex leader Pd, con fare gentile, pur di ottenerne le dimissioni, avrebbe proposto alla presidente un posto nella segreteria del partito.

IL RUOLO DI VERINI

Verini e Gallinella: "Vicini a Bianconi e alla sua serietà"
Verini – Articolo Talpa Perugia, dietro l’inchiesta spunta il patto occulto Pd-Procure LA VERITA’

La governatrice declinò l’offerta e quasi contemporaneamente il sito in quel momento diretto dalla solita A nnu n zi ata, l’Hu f fi n gto n Po st , descrisse una Marini barricata dentro al palazzo e uno Zingaretti pronto «a smarcarsi». Nell’articolo era riportato anche il timore di un anonimo «dem»: «Tra un mese rischiamo di sfracellarci alle elezioni amministrative se escono nuove carte e comunque basterebbero queste già pubblicate».

Forse il pensiero dei piani alti del Nazareno. Alla fine la governatrice firmò le dimissioni che, come detto, andavano, però, sottoposte al vaglio del Consiglio e non erano, quindi, irrevocabili. Il 2 maggio l’indagata si recò nell’ufficio romano del segretario Z i n ga retti e qui i messaggi che ricevette furono ancora più diretti.

O perlomeno lei li intese così. Per i primi 5-10 minuti i due rimasero da soli, poi la Marini pretese che a ll ’incontro assistesse anche l’avvocato Pepe. Il resoconto di quel faccia a faccia è stato poi condiviso con persone vicine ai partecipanti. Anche perché nei giorni successivi il gruppo consiliare del Pd, guidato dal presidente Donatella Porzi e dal capogruppo Gianfranco  Chiacchieroni , venne convocato per una riunione con l’ex Guardasigilli Andrea Orlando in vista del voto sulle d i m i s s io n i .

ORLANDO «FURIOSO»

La sera del 18 maggio, dopo che il Consiglio regionale aveva approvato la mozione di fiducia alla governatrice, la Marini raccontò scossa ai suoi più stretti collaboratori di essere stata chiamata da un Orlando «furioso», il quale, «urlando», le avrebbe «detto che non erano quelli i patti», come se esistesse un accordo sul suo addio. E il fatto che a strillarle quelle cose fosse stato l’ex ministro della Giustizia la avrebbe «inquietata particolarmente » .

Ma torniamo al 2 maggio. Una fonte ci ha confidato che in quell’occasione Zingaretti avrebbe «detto esplicitamente di aver preso informazioni sull’inchiesta direttamente dai magistrati per il tramite di una persona». Di cui, però, non avrebbe fatto il nome. E mentre Verini avrebbe citato più volte la polizia giudiziaria e solo in modo sfumato il Palazzo di giustizia, il governatore del Lazio avrebbe fatto «riferimento ai vertici della Procura e a contatti con i magistrati».

O comunque questo intesero i suoi interlocutori . Zingaretti stava millantando per costringere la donna a lasciare il posto di governatrice oppure qualcuno di sua conoscenza si era davvero informato presso gli inquirenti? La storia, inedita, che vi stiamo per raccontare potrebbe far propendere per la seconda ipotesi.

FACCENDIERI IN CAMPO

Regionali, Zingaretti in Umbria per sostenere Bianconi
Zingaretti

Infatti Zingaretti, che è stato iscritto sul registro degli indagati di Mafia Capitale per turbativa d’asta nel luglio del 2015 e archiviato nel febbraio del 2017 nonostante la chiamata di correo di Sal atore Buzzi -, aveva stretti rapporti sia con il ras delle nomine Palamara che con il pierre-faccendiere Fa b r i z io C e nto fa nti , gran frequentatore di toghe, compresi Palamara , l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e quello di Perugia Luigi De Ficchy, colui che con l’inchiesta della sua Procura ha costretto alle dimissioni la Marini, esattamente un mese prima di «far secco» anche Palamara .

Il 21 febbraio 2015 Elisabetta Longo, dirigente regionale e coindagata di Maurizio Venafro, capo di gabinetto di Zingaretti , riceve la visita dei carabinieri del Ros nell’ambito di un filone di Mafia Capitale. Dopo quel blitz gli investigatori captano i colloqui preoccupati di Venafro con il governatore del Lazio (che sarà iscritto insieme con la L o n go ). Alle 8,30 del 25 febbraio il capo di gabinetto informa la moglie Tiziana che alle 17 vedrà a piazza Mazzini «un procuratore» non meglio identificato. La consorte, il 27 febbraio, intercettata, racconta a una collega giornalista i retroscena dell’indagine anticipata da alcuni giornali.

«IELO È FISSATO» Dice che «Zingaretti ha chiamato d’urgenza Maurizio dicendo che Ielo ( Pao lo, pm di Roma, ndr) si è “fissato” con lui» e riferisce che «Maurizio era appena tornato a casa, ma che è dovuto andare via d’urgenza su richiesta appunto di Z i n ga ret ti ». Manca ancora un mese all’avviso di garanzia e alle dimissioni, ma ai protagonisti sembra già tutto chiaro.

A questo punto dai brogliacci emerge forse la notizia più ghiotta: la signora Venafro «aggiunge di aver saputo che Zingaretti si è recato “al Csm a parlare perché Ielo è proprio impazzito…”». La Verità grazie a una fonte interna del parlamentino dei giudici è oggi in grado di confermare che l’incontro a Palazzo dei Marescialli ci fu. Zingaretti senza passare dal vice presidente Giovanni Legnini si recò direttamente nell’ufficio dell’allora consigliera (in quota Sinistra, ecologia e libertà) Paola Balducci, rinomata organizzatrice di cene per toghe e politici, compreso l’ex segretario Pd . A quella riunione di febbraio tra la Balducci e Z i n ga retti venne invitato a partecipare anche Palamara di cui erano note le strette interlocuzioni con il procuratore Pignatone.

Tema della discussione, a quanto ci risulta, furono l’andamento e gli sviluppi del processo Mafia Capitale e come evitare ricadute giudiziarie sulla Regione. Nella prima metà di marzo inizia a girare tra i giornalisti la notizia dell’av viso di garanzia nei confronti di Venafro e il 19 marzo il capo di gabinetto viene inte r rogato.

MESSAGGIO CRIPTICO

Subito dopo la chiusura del verbale, alle 20,37, Ve n a fro comunica alla moglie che farà tardi perché deve andare in Regione da Z i n ga retti . Il 20 marzo il governatore scrive un messaggio criptico: «Finito ora. Ho esposto mio punto di vista. Ma era chiaro anche per loro». Risposta: «Bene… rimaniamo in attesa». La Verità è in grado di svelare che la sera prima delle dimissioni di Ve n a f ro, intorno alle 22, un Suv di colore scuro si fermò nei pressi dell’abitazione romana di Z i n ga retti , nel quartiere Prati. Da quell’auto fu visto scendere Palamara di cui, come detto, erano noti gli stretti rapporti con Pignatone.

L’ex pm confabulò per una decina di minuti con il presidente della Regione, che nel frattempo aveva lasciato il suo appartamento per quel rapido consulto stradale. In cui, a quanto ci risulta, venne confermata al governatore la delicatezza della posizione di Venafro. Il giorno dopo, il capo di gabinetto consegnò la lettera con le sue dimissioni al governatore e contestualmente avrebbe ricevuto un incarico di consulenza da Centofanti , non ancora indagato, né arrestato per corruzione in atti giudiziari e altri reati. Via Whatsapp Pa l a m a ra ,

CONCORSOPOLI

Regione azzerata e la presidente a processo n La Concorsopoli umbra esplode nell’aprile 2019. L’inchiesta riguarda alcune irregolarità in otto procedure di selezione del personale dell’azienda ospedaliera. Quattro persone finiscono agli arresti domiciliari: il segretario del locale partito democratico, l’ex sottosegretario all’Interno Gianpiero Bocci, l’assessore alla Sanità Luca Barberini, il direttore generale e il direttore amministrativo del nosocomio. Sei persone vengono interdette e 35 indagate. Tra queste il presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini, anc h’essa del Partito democratico, accusata di concorso in abuso d’ufficio, falso e violazione di segreto. Nel maggio del 2019 Marini è stata costretta dal suo partito a dimettersi. Nel 2021 è stata rinviata a giudizio anche con l’accusa di associazione per delinquere. Il processo a suo carico è in c o r s o. G. Ama.

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