Di Gangi, Lu sicarru, Montalbano, Riina e Rocky Roberts

Il Tribunale ha prosciolto il capotreno che obbligò a scendere il boss di Sciacca, Di Gangi, perchè senza green pass. Lui, in deficit mentale, morì tra i binari investito da un treno merci.

Il sostituto procuratore di Genova, Federico Manotti, ha chiesto al Tribunale il rinvio a giudizio di Domenico Tripodi, 61 anni, capotreno, per l’ipotesi di reato di abbandono di persona incapace nell’ambito dell’inchiesta sulla morte del boss di Sciacca, Salvatore “Totò” Di Gangi, 79 anni, deceduto dopo essere stato travolto da un treno la sera del 27 novembre del 2021. Il capomafia è stato scarcerato nel pomeriggio dal penitenziario di Asti, e avrebbe dovuto raggiungere Sciacca con alcuni treni. A Sciacca avrebbe scontato il resto della condanna agli arresti domiciliari, a causa delle sue precarie condizioni di salute. Più nel dettaglio la Corte d’Appello di Palermo sostituì la pena detentiva in carcere a 17 anni, ridotti dai giudici a 13 anni e 4 mesi, con la detenzione a casa a fronte di gravi deficit cognitivi incompatibili con il regime carcerario. La Procura contesta al controllore, in servizio sull’Intercity Notte 35299, l’avere costretto a scendere l’anziano dal treno perché sprovvisto di Green Pass, e non avere avvisato la Polizia ferroviaria nonostante si trattasse di una persona invalida e che camminava aiutandosi con due stampelle. Inoltre era l’una di notte. Di Gangi, appena giù dal treno, imboccò erroneamente il binario 20 della stazione Principe di Genova finendo in una galleria, dove fu travolto da un treno merci di passaggio. I familiari, tramite l’avvocato Luca Cianferoni, si sono costituiti parte civile contro l’imputato, Trenitalia e Rete Ferrovie Italia. Ebbene, il Tribunale ha disposto il non luogo a procedere. L’imputato è stato prosciolto. Il capotreno non è responsabile. Di Gangi è stato vittima di un incidente. Nessun colpevole. Il figlio in più di un’occasione ha affermato: “Noi familiari della sua scarcerazione dal carcere di Asti non siamo stati avvisati. Non è arrivata alcuna telefonata, non lo avremmo certamente abbandonato, anche perché mio padre era molto malato. E’ dal 2017 che presento istanze (tutte respinte) affinché gli fossero concessi gli arresti domiciliari per ragioni di salute. E’ chiaro che se fossimo stati informati ci saremmo precipitati per andare a prenderlo. Mio padre era affetto da diabete. Ogni giorno veniva sottoposto a 4 somministrazioni di insulina. Aveva deficit di tipo cognitivo e spazio-temporale che non lo rendevano autosufficiente in termini di capacità di discernimento, e dunque aveva bisogno di seguire delle apposite terapie farmacologiche. Eppure, appena fuori dalla prigione è stato infilato dentro ad un taxi che lo ha accompagnato alla stazione ferroviaria di Asti. Ha raggiunto la stazione di Genova Piazza Principe, dov’è salito su un altro treno diretto al Sud, da cui però è stato fatto scendere perché sprovvisto di green pass. Ha perso l’orientamento, rimanendo per ben 18 ore a girovagare sui binari” – conclude. Salvatore Di Gangi, ex dipendente bancario, poi costruttore edile, è stato un fedelissimo di Totò Riina. Il capo dei capi spesso è stato ospite a Sciacca nell’Hotel Torre Macauda, all’epoca gestito da un imprenditore di Santa Margherita Belice, Giuseppe Montalbano, figlio di un deputato comunista e sindaco di Santa Margherita, conosciuto come “l’ingegnere rosso”. Montalbano è stato anche il proprietario della villa in via Bernini a Palermo dove ha soggiornato Riina fino al giorno dell’arresto, e che adesso, dopo la confisca, è sede dell’Ordine dei Giornalisti di Sicilia. E a Torre Macauda anche Di Gangi si sarebbe seduto ai summit di mafia rivolgendosi con il tu a Totò Riina, Giovanni Brusca e Matteo Messina Denaro. La notte di un veglione di Capodanno a Torre Macauda, Riina sarebbe stato tra il pubblico ad applaudire il concerto di Rocky Roberts, quello di “Stasera mi butto”. Salvatore Di Gangi fu arrestato da latitante nel 1994 dai Carabinieri della Compagnia di Sciacca, all’epoca capitanati dal generale Sandro Sandulli. L’operazione fu intitolata “Avana”, e Sandulli spiegò: “Zù Totò nelle intercettazioni veniva chiamato anche ‘Lu sicàrru’ perchè fumava il sigaro, e allora ho deciso di chiamare l’indagine così, come il più famoso dei sigari”. Dopo un anno, nel ’95, Di Gangi fu scarcerato per un vizio di forma. E poi nel ’99, il pomeriggio del 29 gennaio, è stato arrestato una seconda volta da latitante. Dove? A Palermo, appena dietro Piazza Politeama, in un appartamento di proprietà dell’imprenditore Giuseppe Montalbano.

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