Caso Orlandi-Gregori, la commissione parlamentare d’inchiesta e la lotta di potere nel Vaticano: l’asse Meloni-Papa Francesco

La commissione parlamentare d’inchiesta sulcaso Orlandi-Gregori influenzerà a lungo i rapporti tra Roma e Città del Vaticano e avrà un riflesso sullo stesso pontificato di Papa Francesco. I motivi sono molteplici e così legati tra loro che è facile immaginare un impatto geopolitico dell’indagine della Commissione. Certo non sarebbe la prima volta che gli affari di uno stato estero finiscono al centro di un indagine del Parlamento: ma rispetto a quanto avvenuto in Commissione Stragi o in quella sul dossier Mitrokhin in questo caso la scomparsa delle due adolescenti pur avvenuta sul suolo italiano è da ricondursi -qualsiasi movente si voglia contemplare- al Vaticano.

Partiamo da un dato di fatto: la commissione è stata richiesta solo da esponenti dell’opposizione, del Pd, del Movimento e di Azione, primo firmatario Roberto Morassutstorico esponente della sinistra romana. Nel febbraio scorso la questione ha investito i piani alti del governo che aveva chiesto al Parlamento un rinvio per non meglio chiariti “approfondimenti”.

Sembrava uno stop, una pietra tombale. E invece a sorpresa direttamente da Giorgia Meloni è arrivato un semaforo verde. Fonti vicine al governo sostengono che il dossier commissione è stato attentamente valutato da Alfredo Mantovano che ricopre un ruolo chiave a Palazzo Chigi, quello di autorità delegata per la sicurezza, vale a dire interfaccia del governo con i servizi segreti. Mantovano, già magistrato di punta e con una vasta esperienza in tema di intelligence, ha incontrato nei mesi scorsi anche Pietro Orlandi.

Secondo altre fonti Giorgia Meloni ha personalmente tenuto a comunicare a Papa Francesco dell’avvio delle indagini parlamentari: nulla di scandaloso ovvio ma è un ulteriore spia che segnala l’importanza della questione. Tra i compiti della Commissione ci sarà quello di indagare e valutare le azioni compiute da apparati dello stato e dalla magistratura e se vi siano stati omissioni o depistaggi: ciò significa accendere un faro sulle modalità di contrasto a fenomeni criminali come la Banda della Magliana, se vi siano state protezioni con l’utilizzo di fonti interne e confidenti e di cosa è fatta quella terra di mezzo in cui Stato e crimine si fanno la guerra. E come non immaginare ampio il dibattito, anch’esso non privo di possibili riflessi internazionali, sulla incredibile messe di informazioni immesse nelle inchieste e nei media da Ali Agca, l’uomo che ha sparato a Karol Wojtyla. La domanda nell’aula di Palazzo S. Macuto ritornerà ad essere centrale: fu solo il gesto di un killer isolato o un network lo condusse nella primavera del 1981 armato a Piazza S.Pietro? 

Insomma, comunque la si voglia vedere la commissione parlamentare indagherà su uno dei periodi  più importanti, turbolenti e misteriosi nella storia del Vaticano e di riflesso dello Stato italiano. La cronologia è da brividi: 1981, attentato contro Wojtyla; 1982, morte di Roberto Calvi che poco prima di essere ucciso scrive una lettera minacciosa al Papa; 1983 sparizioni di Orlandi e Mirella Gregori, 1984, emersione dei legami della banca vaticana con i faccendieri Flavio Carboni (a sua volta legato a mafia e banda della Magliana) e Francesco Pazienza.

Per chi non lo dovesse ricordare il contesto è quello degli anni di piombo dell’alta finanza con i “banchieri di Dio” Sindona e Calvi, con fiumi di denaro di provenienza “sospetta” che affluivano nelle casse Vaticane e da qui finivano in mezzo mondo. Tutto questo però in fondo riguarda il passato. Non sfugge a nessuno che qualche riflesso l’indagine potrà avere sulla lotta di potere all’interno del Vaticano e più in generale della chiesa cattolica.

La storia, le opere e la geopolitica di Francesco sono totalmente opposte alla visione che fu di Wojtyla. Uno gesuita, l’altro conservatore, il primo che guarda a Oriente e al Sudamerica con una forte critica al capitalismo, l’altro tra i protagonisti della lotta al comunismo, legatissimo ai circoli americani e cattolici più oltranzisti, infine lontanissimi sul piano della dottrina. Per dirla tutta, Wojtyla ha fatto la storia della chiesa spingendosi oltre, Francesco in questo campo è ancora a distanza siderale come “leader” politico. Il Papa polacco ha archiviato il ‘900 delle ideologie, il Papa argentino lavora ad un nuovo ordine mondiale, per semplificare al massimo.

È in questo contesto di messa in discussione degli equilibri consolidati che affiora, maligno è il caso di dire, il sospetto che agita più di un porporato, e cioè che per affermare la visione “francescana” occorre mettere in ombra, magari “sporcare”, quella del predecessore e i suoi innegabili successi politici. La Commissione di inchiesta sarebbe l’occasione perfetta per un’operazione del genere, secondo questa vulgata “luciferina”.

Retro-pensiero che paradossalmente sembra essere stato confermato proprio da Papa Francesco quando tre giorni fa, con inusitata asprezza, ha contestato alcune ricostruzioni sulla vita di Wojtyla avanzate da Pietro Orlandi sulla scorta delle incredibili rivelazioni provenienti dagli interna corporis della Magliana. Un passo che va valutato attentamente: perché è per decisione di Francesco che si è aperta ufficialmente e per la prima volta una inchiesta vaticana sul caso Orlandi-Gregori e forse è proprio per non dare adito a quel retropensiero che di fronte alle parole di Orlandi si è dovuto intervenire.

Il cortocirucuito a mezzo stampa è solo l’antipasto di ciò che vedremo con l’avvio dei lavori della Commissione, un circo mediaticoche si attiva sempre e si polarizza intorno alle varie figure di questo intrigo internazionale: un tempo era Ali Agca poi i pentiti della Magliana oggi le dichiarazioni di Pietro Orlandi e l’emersione di nuove e sconvolgenti piste.

La cronologia aiuta l’analisi: l’11 aprile scorso Pietro Orlandi viene ascoltato dal Promotore di giustizia Alessandro Diddi per otto ore. Il giorno precedente Diddi aveva affermato che, “sul caso Orlandi papa Francesco e il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, vogliono che emerga la verità senza riserve e senza condizionamenti”.

Nel corso dell’audizione Orlandi affronta la questione Wojtyla, porta con sé il famoso nastro con la verità alternativa che coinvolge il papa polacco e accenna alle voci ricevute sulle sue uscite notturne con alti prelati “non certo per benedire le case”. Il giorno dopo in tv Orlandi ripete le stesse cose e poche ore dopo arrivano le prime note di “censura”: a dare l’avvio è Stanisław Dziwisz, arcivescovo emerito di Cracovia, vero uomo ombra del papa polacco. Subito seguito dall’agenzia di stampa Vatican.news che addirittura accusa l’avvocato Laura Sgrò, legale di Orlandi, di tacere particolari fondamentali agli investigatori del Vaticano.

Per ultima arriva la durissima replica del Papa. “Certo di interpretare i sentimenti dei fedeli di tutto il mondo, rivolgo un pensiero grato alla memoria di San Giovanni Paolo II, in questi giorni oggetto di illazioni offensive e infondate”. Strana casualità: queste parole sono state pronunciate proprio in uno dei possibili “teatri” dove si sarebbe decisa la sorte della Orlandi, vale a dire Regina Coeli il carcere romano dove, secondo le rivelazioni del “magliaro” Marcello Neroni, due cappellani avrebbero dato l’incarico alla fazione di De Pedis di rapire la giovane romana.

Pietro Orlandi e il suo legale finiscono così sul banco degli accusati, ma la verità è semplice. Le uscite “segrete” in incognito di Wojtyla non sono un segreto per nessuno, tantomeno per il cardinale Dziwisz che le ha rivelate proprio nel suo libro, “Una vita con Karol”, e che lui stesso ideava e organizzava. Insomma una tempesta mediatica che ha ribaltato i ruoli esponendo Orlandi e la Sgrò negli inediti panni  di mestatori e reticenti. E nella quale pare essere caduto lo stesso Papa Francesco la cui volontà è stata espressa per bocca del Procuratore Diddi, “massima libertà d’azione per indagare ad ampio raggio senza condizionamenti di sorta e con il fermo invito a non tacere nulla”

Di certo anche nel Parlamento italiano si è indebolito il fronte dell’insabbiamento del caso e si è preferita la trincea. Ma cosa potrebbe succedere se di fronte alle richieste documentali che la Commissione avanzerà al Vaticano o di audizioni di protagonisti importanti dell’epoca, come il cardinale Dziwisz, arrivasse una risposta negativa?

Chi farà da mediatore da Roma e la Santa Sede? Quante dosi di verità sul caso Orlandi-Gregori gli equilibri politici, nazionali e non solo, potrebbero sopportare?

Nicola Biondo

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