Assolta la presunta “passepartout”

Il Tribunale di Palermo ha assolto l’ex deputata Giusy Occhionero, imputata del reato di falso in concorso con il saccense Antonello Nicosia, già condannato a 15 anni di carcere per mafia. 

Lo scorso 4 aprile il pubblico ministero in servizio alla Procura antimafia di Palermo, Francesca Dessì, a conclusione della requisitoria si è rivolta al Tribunale: “Signori giudici, condannate l’ex deputata alla Camera, Giusy Occhionero, ad 1 anno e 6 mesi di carcere per il reato di falso in concorso”. All’ex parlamentare molisana si contesta l’avere consentito ad Antonello Nicosia, 52 anni, di Sciacca, arrestato, giudicato in abbreviato e condannato in Appello lo scorso 30 novembre a 15 anni di reclusione per associazione mafiosa, di entrare nel carcere “Pagliarelli” a Palermo il 21 dicembre del 2018, e il giorno dopo nelle carceri di Agrigento e Sciacca, come suo assistente parlamentare, e presentandolo come tale. E così sarebbe stato anche il primo febbraio del 2019 nel carcere di Tolmezzo, in provincia di Udine, dove è stato detenuto (e Nicosia lo avrebbe incontrato) Filippo Guttadauro, cognato di Matteo Messina Denaro. Però – ed ecco perchè la Procura contesta il reato di falso in concorso – il rapporto di collaborazione tra i due, Occhionero e Nicosia, sarebbe stato formalizzato solo successivamente alle ispezioni parlamentari, quindi dopo gli ingressi in carcere dove Nicosia si sarebbe intrattenuto a fini illeciti con detenuti per mafia, dispensando consigli e trasferendo all’esterno i loro messaggi. In una conversazione intercettata, Nicosia avrebbe definito Matteo Messina Denaro, all’epoca latitante, “il nostro primo ministro”. E prima che fosse formalmente imputata, la deputata di “Liberi e uguali”, e poi di “Italia Viva”, fu ascoltata nel novembre del 2019 dai magistrati come, tecnicamente, “persona informata sui fatti”. E alla domanda sui suoi rapporti con Antonello Nicosia così rispose: “Ho sbagliato. Ho sbagliato tutto. Mi sono fidata di lui. Mi era stato presentato dai Radicali, veniva dal mondo dell’associazionismo, si diceva difensore dei diritti dei detenuti. L’ho conosciuto così e poi, anche in virtù del rapporto personale che si era creato, mi sono fidata ciecamente. Sì, ho saputo adesso della sua pregressa condanna a 10 anni per traffico di droga. Ma alla Camera non c’è alcun controllo, perché avrei dovuto fare controlli io? Poi ho iniziato a dubitare del suo curriculum, e i nostri rapporti si sono diradati”. L’inchiesta è stata intitolata “Passepartout”, ovvero la chiave che serve ad aprire parecchie serrature, di cui è in possesso, ad esempio, il personale degli alberghi. Infatti, Giusy Occhionero si sarebbe resa, suo malgrado, il “Passepartout”, la chiave utilizzata da Antonello Nicosia per aprire le porte di parecchie carceri. Appena esplose il caso l’onorevole Occhionero commentò: “Ringrazio la magistratura e le forze dell’ordine per lo straordinario lavoro di contrasto alla mafia. Da ciò che emerge dalle notizie riportate sui giornali, quello che diceva e scriveva Nicosia era ben lontano dalla verità. E’ vergognoso e gravissimo. La collaborazione con me, durata solo quattro mesi, era nata in virtù del suo curriculum, in cui si spacciava per docente universitario oltre che di studioso dei diritti dei detenuti. Non appena ho avuto modo di rendermi conto che il suo curriculum e i suoi racconti non corrispondevano alla realtà, ho interrotto la collaborazione. Ora sono profondamente amareggiata, ma la giustizia farà il suo corso. Mi auguro nel più breve tempo possibile. Pur essendo del tutto estranea alla vicenda, sono comunque a disposizione della magistratura per poter fornire ogni elemento che possa essere utile”. E così è stato. Giusy Occhionero è stata assolta dal Tribunale di Palermo con la formula “perché il fatto non sussiste”. E’ stata difesa dagli avvocati Giovanni Di Benedetto e Giovanni Bruno. E lei commenta: “Sono soddisfatta ed estremamente felice per questa assoluzione che mi spinge a credere nella giustizia, ma ho sofferto moltissimo e nulla potrà ripagarmi di quello che ho patito e che ha passato la mia famiglia. Dedico questa assoluzione ai miei genitori che mi sono stati sempre vicini e hanno creduto alla mia completa estraneità ai fatti. Purtroppo questo processo non aveva proprio ragione di essere ed è stato largamente strumentalizzato, trasformandosi in un processo mediatico, più che in un processo di tribunale, che mi ha doppiamente ferita. Ci sarebbe tanto da dire e mi auguro di averne occasione, intanto io continuo a credere nella giustizia e ricordo che la mia imputazione era solo per falso, niente a che vedere con altri e più gravi reati. Il processo è stato purtroppo trasformato in qualcosa di molto rumoroso e mediatico ma adesso voglio trovare solo un po’ di serenità”.

Teleacras Angelo Ruoppolo