Rapporto stato e mafia= un enorme guazzabuglio

Quando ci riferiamo ai rapporti tra Stato e mafia sono tante le notizie, le informazioni, i documenti, le testimonianze da valutare, per cercare collegamenti, nessi, interconnessioni, rapporti di causa ed effetto e quant’altro. Insomma, il tutto rischia di diventare un inestricabile ed informe guazzabuglio. Ma se abbiamo la pazienza e la perseveranza di unire le varie tessere del mosaico Stato-mafia, vedrete che tutto quanto sembrerà molto più chiaro.
Seguitemi adesso lungo il seguente percorso.
Prendiamo a mo’ d’esempio alcuni significativi episodi relativi agli ultimi anni della travagliata vita del magistrato Giovanni Falcone.
Solo partendo dai fatti potremo riuscire a cogliere il senso di quanto intricate siano le trame e gli intrecci riguardanti, ad esempio, le varie ‘prove tecniche’ relative a quella che poi è stata la sua definitiva eliminazione fisica.
Tutti ricorderanno che ci fu un primo allarmante tentativo, fallito, per ucciderlo. Più comunemente conosciuto come l’attentato dell’Addaura. Siamo nel 1989, ed allora si disse che si trattava di una simulazione, orchestrata dallo stesso Falcone, per accrescere il suo prestigio, in vista della sua futura nomina a capo di quella che oggi si chiama Procura Nazionale Antimafia.
Il che indusse il magistrato palermitano a replicare a tali infamanti accuse, con grande e profonda amarezza, nel corso di un’intervista dicendo che, purtroppo, in Italia, per essere credibili è necessario essere ammazzati.
Il pentito Gaspare Mutolo, che tra l’altro era stato autista di fiducia del capo dei capi Totò Riina, riguardo a quel fallito attentato ha fornito una sua versione, che potrebbe pure essere plausibile. Alcuni mesi fa, a ‘Non è L’Arena’, una trasmissione televisiva dell’emittente La 7, condotta da Massimo Giletti, ha detto che si trattava solo di un avvertimento. La mafia cioè voleva solo mandare un segnale, non tanto e non solo a Falcone, ma ai vertici dello Stato, affinché gli togliessero qualsivoglia incarico con compiti investigativi, attraverso il conferimento di una qualche prestigiosa nomina ministeriale. Possibilmente in un posto il più lontano possibile dalla Sicilia.
‘Promuoveatur ut amoveatur’ avrebbero detto i Latini, nell’antica Roma. Bisognava cioè prima provarci, si fa per dire, con le buone maniere, con un semplice avvertimento, finalizzato a promuovere Falcone, per rimuoverlo, cacciarlo via, dalla Sicilia e dall’Italia. Ma l’intento di convincere Falcone a desistere da ogni suo ulteriore futuro impegno nella lotta contro la mafia, si rivelò per la mafia un tentativo andato a vuoto, un fallimento.
Poi, a seguire, bisogna ricordare il sopralluogo a Roma effettuato da Matteo Messina Denaro, quando Giovanni Falcone fu nominato, dall’allora ministro della giustizia Claudio Martelli, direttore generale degli affari penali del ministero.
Quel sopralluogo invece, ordinato a Messina Denaro personalmente da Totò Riina, era propedeutico, stando ai vari racconti dei pentiti, ad ucciderlo e non soltanto ad intimidirlo.
Poi, chissà perché, ci fu un contrordine e si preferí ripiegare su Capaci, dove come, diceva lo stesso Riina intercettato in carcere, si preferí uccidere Falcone, la moglie e gli uomini della sua scorta, facendo un grandissimo rumore, il grande botto di Capaci, a cui fece seguito il botto di via D’Amelio e poi quelli di Milano, Roma e Firenze. Botti che travolsero definitivamente anche la cosiddetta Prima Repubblica e tutti gli ex amici dei mafiosi. Si tratta, in modo particolare, dei leader della Democrazia Cristiana e, più in generale, anche di tutti gli altri politici di primo piano sparsi ed infiltrati ovunque, nell’allora pentapartito, DC-PSI-PLI-PRI-PSDI, che sosteneva i vari governi nazionali degli anni Ottanta del secolo scorso. Erano uomini fradici e collusi appartenenti ad una classe politica ormai bruciata, a causa degli scandali giudiziari. Tangentopoli al Nord e Mafiopoli al Sud all’apparenza hanno contribuito a radere al suolo l’intero arco costituzionale italiano.
Dobbiamo inoltre tenere bene in mente che mafia, tangenti e riciclaggio di denaro sporco erano la stessa cosa.
Non c’era e non c’è ancora oggi alcuna differenza tra Nord e Sud Italia.
A causa delle stragi fu apparentemente spazzata via un’intera classe dirigente; o per lo meno tutti coloro i quali non erano più in grado di garantire le solite impunità alla mafia, in cambio dei sostegni elettorali e del controllo dei territori; non solo al Sud, ma nell’intera penisola.
Della serie muore Sansone con tutti i Filistei?
No di sicuro!
Perché si affacciavano all’orizzonte nuovi personaggi, una nuova classe dirigente, composta da donne ed uomini più o meno riciclati. Nuovi e vecchi arnesi della prima repubblica, ex portaborse, seconde linee; nuovi personaggi infiltrati dalla mafia, che già erano ben allenati e pronti a sostituire i vari Andreotti, Craxi e Forlani. Si tratta di altri elementi guasti dello stesso sistema di potere preesistente, tenuti in serbo per l’occorrenza. Gente che fino ad allora aveva agito da dietro le quinte e che aveva grande dimistichezza con il rincoglionimento mediatico di un intero popolo, con l’avvento delle TV commerciali. Donne ed uomini spacciati, grazie ad un accurato lavaggio di cervello, come essere scesi dal cielo in terra per volontà di una sorta di ‘provvidenza’, più mediatica che divina, a realizzare un ‘nuovo miracolo italiano’.
E, tra di loro spiccavano anche, coloro i quali avevano parecchia dimistichezza con le varie mafie e, soprattutto, con l’immancabile riciclaggio di denaro sporco.
Un uomo su tutti: Silvio Berlusconi.
Un partito su tutti: Forza Italia.
E proprio su questa transizione politico-affaristico-mafiosaancora oggi stanno continuando ad indagare le procure della Repubblica di Firenze e di Reggio Calabria.
Compito non facile dopo la morte di Berlusconi, presunto deus ex machina proprio di quella transizione.
Compito non facile perché i magistrati che si stanno occupando di questa ennesima puntata della perenne trattativa Stato -mafia, sono accusati di indagare su un uomo morto. Come se stessero commettendo un vilipendio di cadavere.
In molti, in Italia, mentre stiamo scrivendo, ci vogliono fare dimenticare, a tutti i costi, ed in tutte le sedi, anche in maniera violenta, che morto Berlusconi ci sono ancora in giro tanti suoi, per così dire, collaboratori ed eredi.
E quando parliamo di eredi, non ci riferiamo solo alla sua famiglia di sangue, ma anche ad altre ‘famiglie’ rimaste orfane.
‘Famiglie’ che reclamano anche loro una consistente quota di quell’eredità che ha lasciato Berlusconi. Non ci riferiamo solo all’eredità economica, ma anche a quella politica e non solo…