RASSEGNA PPP, le parole di Pasolini/2^ parte

Abbiamo deciso, dalla scomparsa del nostro amato Luigi MAMONE, mente eclettica, giurista, giornalista, poeta, scrittore, attore, interprete, docente e dirigente sportivo, che ogni frammento di bellezza sarebbe stato dedicato a lui.

 

Una dedica ancor più dirompente, questa sera, nel momento in cui ci apprestiamo a mettere a fuoco aspetti, probabilmente poco noti, del più grande intellettuale del ‘900. 

Pier Paolo Pasolini morto, non per colpa del suo essere un uomo normale in una società di “diversi” pronti a censurare dietro falsi perbenismi i “Ragazzi di vita”, bensì   per la sua schiettezza intellettuale e giornalistica, nel nero profondo di “una storia da dimenticare”.

 

Sbagliava, forse, il pentito Giacomo Lauro quando, nel processo per la strage di Piazza della Loggia, aveva affermato che “Reggio Calabria, quella era e quella resta. 

 

È la città della fata Morgana e dei maghi Merlino, quando c’è il bel tempo si vede tutto capovolto, i tetti si vedono sotto e le fondamenta si vedono sopra”?

 

Era in torto di certo don Giacomino perché, ad onor del vero, il miraggio della fata Morgana, così come la metafora del  bipensiero di George Orwell, avrebbero trovato in tutta Italia, e non solo nel paesello di Giufà, attagliata analogia, in uno scenario torbido fatto di opposti estremismi, di specchi per le allodole, di fatti e misfatti, aundi tuttu è all’anchi all’aria e andi u jancu u fannu niru e u niru u fannu jancu, esattamente come quel “nerobianco” della neolingua di Orwell, proprio come quel fenomeno rifrattivo che, probabilmente, scomparirà domani, tra i cavi d’acciaio che incateneranno Scilla con Cariddi, tra riprese, resilienze e vortici di mazzette.

 

Montatura a lutto degli occhiali di Pasolini. Quelli trovati calpestati nel fango. Rottame di plastica e vetro che venne consegnato alla madre a cose finite. 

 

Custoditi in una busta con sopra l’intestazione: Ministero degl’Interni. Che scandalo! Che tragedia trasformatasi in Sceneggiata… in Farsa all’italiana… in Commedia… in Commedia dell’Arte, come adesso, come nell’oggi, come già Pasolini aveva inteso cinquant’anni fa. 

 

Resta un cadavere e il tentativo di riaprire il caso. Sono storie andate. Infine che ognuno dica la sua. Che si continui a depistare, a insabbiare, a gridare qui o là. È pur sempre il gioco bizantino del “gran coro”, in cui i solisti vengono schiacciati dal frastuono e la melodia scompare, risucchiata dalla Ragione di Stato. Ma noi non siamo quello Stato. Noi siamo gli occhiali di Pasolini… e continuiamo a vivere per morire”.