Dobbiamo continuare a dare fiducia ai giovani


Il Premio Lea Garofalo rappresenta una opportunità per le scuole di ogni livello scolastico. Una opportunità rivolta all’intero corpo docente nell’avviare e coinvolgere gli studenti in un percorso di ricerca ed approfondimento del fenomeno mafioso e con esso le tante storie di mafia, note e meno note, insieme alle tante vittime di mafia, quali: magistrati, giornalisti, preti, agenti delle scorte, imprenditori, sindacalisti, politici, uomini e donne comuni e bambini, che distingue il nostro Paese dal resto dei Paesi dell’occidente. 

Una occasione per conoscere le storie di uomini e donne che, indicano una precisa direzione da seguire. Storie che i libri di scuola non raccontano per mille motivi, tra cui la permanente attualità ed evoluzione del sistema di potere mafioso, insieme alla costante educazione al disinteresse da certi temi che per taluni diventa un modello di vita tra le mura di casa ed all’interno del mondo della scuola capace di condizionare pesantemente anche la didattica.

La scuola è ammalata, contano i numeri che la scuola esprime e non i valori che i ragazzi si portano dietro. La scuola è ammalata come tutta la società e questo richiede un surplus di energie per cambiarla a partire dalla scuola dell’infanzia.

Per educare alla cultura della legalità è necessario in primo luogo, partire da noi stessi, sentirsi “cittadini” di questo Paese, a partire dal pagare le tasse, fare le fila, non chiedere e/o ricercare favori, rispettare le regole della convivenza civile, ma anche informarsi, studiare e confrontarsi su questi temi per allenare la propria capacità critica ed il pensiero autonomo. Le risposte degli studenti dipendono molto da come ti poni. 

I giovani studenti comprendono subito il modo di approcciare il tema della cultura della legalità ed in primo luogo della lotta alla mafia, capiscono al volo se si trovano catapultati per un paio d’ore di fronte ad uno che vuole fare la “lezione” e parla come un libro aperto, impartendo loro una lezione di cui non c’è traccia nei libri scolastici, o se stai raccontando loro un pezzo di storia della tua vita.

Gli strumenti che utilizziamo sono spesso i fumetti, le mostre di fumetti, che raccontano, attraverso i disegni, i brevi dialoghi, ciò che i libri di scuola non raccontano. Ho scoperto i fumetti per necessità, per poter aggirare gli ostacoli e la diffidenza delle direzioni scolastiche e dei docenti nel concederti l’opportunità di parlare di mafia all’interno della scuola.

È così poi che, attraverso il passa parola da un docente all’altro, questo approccio e questo impegno sono divenuti prevalente. Ma la mostra di fumetti non è fatta solo dei fumetti di disegnatori affermati, ma anche dei disegni, dei testi rap e dei fumetti elaborati dagli studenti stessi e raccolti nei vari progetti. 

Sono questi la vera mostra, perché sono quelli più prossimi al linguaggio degli studenti, lo sono per mille motivi, per la loro semplicità e sintesi e genialità. Ci sono alcuni elaborati che ci accompagnano da sempre. Questi elaborati ci ricordano tutti i giorni quale deve essere il mio impegno.

Siamo solo all’inizio, il nostro impegno è quello di fare crescere attorno al Premio dedicato a Lea Garofalo, una squadra di persone impegnate e l’attenzione del mondo della scuola alla permanente e non episodica diffusione della cultura della legalità. Il coinvolgimento della scuola dell’infanzia e della università insieme ad una mostra itinerante degli elaborati ricevuti, saranno il principale obiettivo da perseguire in vista della terza edizione.

Partire dall’infanzia per noi sarà una priorità, in quanto se vogliamo davvero sconfiggere la più pericolosa delle mafie, la ‘ndrangheta, occorre partire dai più piccoli; così come fanno le mamme di ‘ndrangheta o le donne che crescono con quella cultura, le quali mentre allattano i propri figli al seno gli cantano questa ninna nanna:  “tu figlio mio con gli sbirri non ci devi parlare …, tu figlio mio con gli sbirri non ci devi parlare …,” e questa litania diventa un imprinting che il figlio si porterà dietro tutta la vita, contagiando gli altri coetanei.

Ci siamo tutti impegnati nella valutazione degli elaborati e ci siamo tutti emozionati, abbiamo toccato con mano cosa vuol dire dare una opportunità alle scuole ai docenti, agli studenti di ogni livello scolastico e ogni forma di aggregazioni di giovani di parlare mafia ed in particolare delle storie di uomini e donne che hanno detto no alla mafia. Siamo solo alla seconda edizione».

È dalla prima edizione del Premio Nazionale Lea Garofalo che, con l’Associazione antimafia e antiusura Dioghenes APS, stiamo ricordando la figura della testimone di giustizia, Lea Garofalo, ammazzata nel novembre di 14 anni fa a Milano e poi trasferita nella zona di San Fruttuoso, a pochi passi da Milano, per la distruzione del suo corpo senza vita. Ed è importante, soprattutto per un’Associazione antimafia, fare memoria e non dimenticare le vittime di mafia che hanno, con tutte le loro forze, cercato di mettere i bastoni fra le ruote a queste schifose organizzazioni criminali. Come Associazione stiamo supportando diversi testimoni di giustizia, il nostro Presidente Onorario è un testimone di giustizia che ha denunciato la camorra. È una tematica importante, sono persone che hanno avuto la forza e il coraggio di denunciare le mafie.

Il nostro impegno è quello di stare accanto alle vittime, di stare accanto a chi subisce nel quotidiano l’arroganza delle mafie ma anche il silenzio di uno Stato che a volte, per la verità molte volte, ha dimenticato e continua a dimenticare queste persone.

Per quanto riguarda le nostre attività abbiamo iniziato anche la prima edizione della Rassegna letteraria, cinematografica e teatrale intitolata a un’altra vittima di un sistema di potere arrogante e vigliacco e stiamo parlando, in questo caso, di Pier Paolo Pasolini, il poeta e l’intellettuale, il giornalista e lo scrittore massacrato nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975, quasi mezzo secolo fa, e anche in questo omicidio ancora, come per tante altre situazioni italiane (che qualcuno continua a chiamare misteri), non sono stati individuati né i mandanti né gli esecutori. 

Sembra che la storia in questo Paese si ripete ciclicamente, dalla strage di Portella della Ginestra, primo maggio del 1947, in poi.

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