VERGOGNA DI STATO! SEI VITTIMA DI MAFIA E INNOCENTE? NON BASTA! TI SPOGLIO DI TUTTO.

Articolo di ERRICO NOVI
L’incredibile tesi esposta ai giudici di Strasburgo: le misure di prevenzione non sono una “pena”, anche se privano una persona della casa in cui abita.

E ancora più precisamente, lo Stato italiano era stato chiamato dai giudici di Strasburgo a spiegare, nell’ambito della causa, se la confisca di tutti beni ai danni di Salvatore Vito, Gaetano e Vincenzo Cavallotti fosse compatibile con la presunzione d’innocenza, considerato che quella spoliazione era stata inflitta nonostante i tre imprenditori palermitani fossero stati assolti con formula piena, nel processo penale, dall’accusa di 416 bis.

(È oggettiva) la fragilità delle risposte esibite dallo Stato italiano (che) lascia intravede(re) un esito favorevole ai ricorrenti e, forse, la “morte”, l’inizio delle fine, per un sistema indegno. In virtù dell’eccezionalismo antimafia, questo sistema punisce, con spregio del diritto, le persone innocenti. Quel che potrà accadere tra qualche mese, quando la Corte di Strasburgo emetterà la propria sentenza sul ricorso Cavallotti, resta ovviamente materia per aruspici.

Qui interessa altro. E cioè il modo, le argomentazioni con cui l’Avvocatura dello Stato difende gli abusi dell’Antimafia. Argomentazioni che, come detto, sono fragili. […] il filo logico proposto dall’Italia dinanzi ai giudici europei è al limite della provocazione intellettuale. Di fatto, l’Avvocatura dello Stato ha difeso il principio per cui una persona innocente va spogliata di tutto perché è divenuta vittima dell’estorsione mafiosa. Una sorta di scenario da Superfantozzi: i Cavallotti hanno visto i loro beni confiscati ( con la decisione resa definitiva dalla Cassazione il 12 novembre 2015, sentenza numero 4305) perché avevano pagato il pizzo a Bernardo Provenzano e al capomandamento di Belmonte Mezzagno. Prima sono stati spremuti da Cosa nostra e poi, in virtù di questo, depredati di ogni cosa dallo Stato. Incredibile.

È incredibile che lo Stato italiano, pur con le argomentazioni sofisticate dei propri avvocati, difenda un principio così abnorme.

Nello sviluppo delle memoria, gli avvocati dello Stato ricordano i pizzini di Bernardo Provenzano, le rimembranze di Giovanni Brusca, le testimonianze di Angelo Siino al processo penale che ha visto assolti i Cavallotti: tutti passaggi in cui si invoca la “messa a posto”, cioè la spremitura, delle aziende poi confiscate agli imprenditori palermitani, all’epoca ( seconda metà degli anni Novanta) veri leader non solo siciliani nel settore della metanizzazione. In alcun modo l’Avvocatura ha potuto sottoporre alla Corte dei Diritti dell’uomo elementi che attestassero un’appartenenza dei Cavallotti alla mafia, né in termini di «partecipazione» e neppure in quanto strumento con cui i boss realizzavano i loro affari.
Semplicemente, emerge l’esazione del pizzo ai danni dei tre fratelli. Non a caso assolti, per gli stessi identici fatti richiamati dall’Avvocatura dello Stato, con formula piena nel processo penale il 4 febbraio 2016.
E qui il ( corto) circuito logico dell’Avvocatura prova a chiudersi: la «confisca preventiva», si afferma, non è «punitiva» ma «preventiva e riparatoria».

Quindi: sono innocenti, e non potevamo punirli.

Perché per lo Stato italiano, privare tre imprenditori dei loro beni, delle loro aziende, financo della casa in cui abitavano, è servito a evitare che la mafia potesse approfittarsi di loro, ma non è una punizione, no, per carità. Ecco il sofisma con cui ci siamo presentati alla Corte dei Diritti umani. Che dovrà decidere se, a furia di giocare con le parole, l’Italia non abbia giocato con la dignità.