Dal vangelo secondo Matteo, capitolo quarto

Altre dichiarazioni inedite emerse dal verbale dell’interrogatorio di Matteo Messina Denaro del 7 luglio appena depositato al processo a carico di Laura Bonafede.

Dal verbale dell’interrogatorio di Matteo Messina Denaro del 7 luglio scorso, depositato al processo in corso a carico della sua presunta fiancheggiatrice, Laura Bonafede, emergono circostanze già note e altre no. Ad esempio, Messina Denaro si sofferma sugli altri mafiosi: bene alcuni boss della sua generazione, invece “canaglia”, “gentaglia” i nuovi. E dichiara a verbale: “Non ho mai cercato di fregare nessuno, né in ascesa di potere né per soldi e neanche per altro. Poi negli ultimi tempi è normale che mi sono schifato“. I magistrati domandano: “Ha avuto dei nemici?”. E lui risponde: “… è normale perché Giovanni Brusca stesso dice che mi voleva ammazzare, Raffaele Ganci mi voleva ammazzare… tutti abbiamo nemici… mi sono schifato perché avete portato voi a schifarmi, non potete arrestare dei menomati che passano per mafiosi, senza offendere i menomati”. Messina Denaro si riferisce a recenti arresti, l’operazione “Hesperia”, nel Trapanese, il 6 settembre del 2022, e aggiunge: “Cioè quando cominciate a prendere basse canaglie, gente a cui non rivolgevo nemmeno il saluto, e li arrestate per mafiosità, allora in quel momento il mio mondo è finito, proprio finito, raso al suolo totale. Non ce n’è più”. E poi Messina Denaro cita delle persone arrestate nell’ambito dell’inchiesta “Hesperia”, e aggiunge: “Uno si chiama Pietro Stallone, soprannome micarìa, un altro lavorava in una pizzeria, non lo salutava nessuno in paese, queste persone vengono arrestate per mafiosità… il mio mondo viene trasfigurato cioè non una metamorfosi normale, è proprio una cosa indecente. E forse su Palermo ancora di più. Le faccio un esempio: uno che gli dicono ‘Gino ‘u mitra’ di soprannome (sarebbe – ma Mesina Denaro non lo indica – il boss Luigi Abbate) fa più schifo di qualcuno che lo ha generato, e lo fate passare per mafioso”. Domanda: “A Palermo si recava spesso?”. Risposta: “Che vita facevo a Palermo? Libero come quella di Campobello, perché bene o male voi avete scandagliato quella di Campobello ma in genere sempre quella vita faccio, cioè lo stesso fac-simile. Le mie amicizie non è che iniziano e finiscono solo nel mondo che voi considerate mafioso, non è così, le mie amicizie erano dovunque”. Poi Messina Denaro ritiene opportuno, così come per il furto di carte d’identità a Trapani, di smarcarsi dal sequestro del gioielliere Claudio Fiorentino nel 1984, e dichiara: “Sul sequestro Fiorentino… in questo processo tutti i pentiti escludono me e mio padre, anzi escludono mio padre e me. E mio padre era considerato il capo della provincia di Trapani… era stato nascosto a Mazara del Vallo e sia mio padre che io non ci siamo entrati in questa situazione”. E poi spiega: “C’erano modi e modi di uno estraniarsi da una certa situazione o da una certa amicizia, c’era la situazione che io mi estraneo da lei e lei mi ammazza, e c’era invece la situazione che io mi estraneo da lei però senza che succeda nulla…. che senso ha andarsi a scontrare con un treno?… allora cerco il modo di svincolarmi, i soldi ve li fate voi”.

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