Primarie Pd, renziani sconfitti. Vince Zingaretti e la linea “nuova” di Prodi, Veltroni, Minniti e Gentiloni

Il Pd torna all’era Prodi: un democristiano dietro la vittoria di Zingaretti che annulla il renzismo

Zingaretti, che era sostenuto da buona parte della vecchia e “nuova” guardia (da Prodi a Letta, da Gentiloni a Minniti, ma pure dall’ex sindaco di Milano, Pisapia), è proprio il teorico del «dovere morale ed etico di parlare con gli elettori pentastellati». Un partito popolare, antidoto al populismo. Ma non sarà facile il nuovo inizio.
La botta è stata forte, molto più del previsto. Una percentuale netta, nettissima a favore di Zingaretti. I numeri del nuovo segretario, alla fine, saranno molto vicini a quelli riportati da Matteo Renzi nel 2017, con avversari che oggi apparivano sulla carta perfino più competitivi di quelli di allora. E per lui, per il “senatore di Firenze”, come si definisce sui social, è un segnale pesantissimo, una bocciatura difficile da sdrammatizzare. Nonostante abbia provato in ogni modo a tenersi fuori dalla competizione, ne è stato il convitato di pietra e oggi è a lui che tutti guardano quando si pronuncia la parola “sconfitta”. Aggravata dal fatto che anche a casa sua, in Toscana, a Firenze, perfino a Rignano i numeri danno ragione al nuovo segretario.
Tutto come previsto, o quasi. Gli appelli al voto di Romano Prodi e Walter Veltroni, le file incoraggianti ai gazebo (un milione e ottocentomila cittadini, secondo gli organizzatori) anche se lontane dai tempi d’oro, e soprattutto il vincitore annunciato, Nicola Zingaretti, il governatore del Lazio. Sarà lui il nuovo segretario del Pd: con circa il 67 per cento dei consensi ha superato la soglia del 50, e questo non era scontato. Con le primarie di ieri, dunque, il principale partito d’opposizione manda definitivamente in archivio l’era-Renzi e comincia la sua lunga marcia.

Appena chiarito il quadro, Renzi invia subito un tweet conciliante: “Quella di Nicola Zingaretti è una vittoria bella e netta. Adesso basta col fuoco amico: gli avversari politici non sono in casa ma al Governo”. Difficile dire e fare altro. Nei prossimi mesi la convivenza sarà gestita con una chiara divisione dei ruoli, Zingaretti a guidare il partito e Renzi ad attaccare ad alzo zero il Governo, soprattutto i Cinquestelle, esplicitando la propria distanza dalle questioni interne.
Si capisce così maggiormente il timore in chi ha perso davvero queste primarie, nei sostenitori di Maurizio Martina e di Roberto Giachetti, fermi nei parziali entrambi sotto il 20%, con un vantaggio del primo sul secondo di 3-5 punti. Tra loro la parola più pronunciata nei corridoi del Nazareno è “azzeramento”. Non tanto per volere del nuovo segretario, sulla cui indole si spera anzi per la ri-costruzione di un partito inclusivo, che possa in qualche modo tenere conto della rappresentanza di tutte le aree. È piuttosto su chi gli sta attorno che si concentrano i sospetti, sulla componente di Andrea Orlando, su quella sinistra interna bistrattata dai renziani e ora tornata forte come mai era stata, forse nemmeno ai tempi di Bersani. “Le liste per le politiche 2018, nelle quali le minoranze sono state praticamente azzerate, costituiscono un precedente che chi allora ha pagato difficilmente dimenticherà, ora che toccherà a loro guidare il partito”, sono i ragionamenti che si fanno. E non poter contare su un leader forte che provi in qualche modo a tutelarli aggrava lo stato d’animo.