Lo Stato confisca tutti i beni della famiglia Riina

Confiscati ville, terreni e aziende
Il tesoretto di Riina e donna Ninetta
Indagine dei carabinieri. C’è pure la villa dove il padrino trascorreva le vacanze.

PALERMO – Intercettato in carcere Totò Riina, prima che morisse, si vantava di avere nascosto un patrimonio sterminato. Una piccola parte di esso – le briciole – è stato confiscato. Il resto non è mai stato scovato.

I carabinieri del Ros e della compagnia di Corleone hanno eseguito un provvedimento di confisca emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale su proposta della Procura della Repubblica di Palermo. Le indagini patrimoniali sono state il naturale sbocco di quelle che negli ultimi anni hanno colpito il mandamento mafioso di Corleone. Patria, All Stars e Grande Passo sono i nomi delle indagini degli ultimi anni.

I militari nel 2017 avevano sequestrato il tesoretto di Riina, della moglie Ninetta Bagarella e dei figli, Giuseppe Salvatore, Maria Concetta e Lucia. Ora vanno in confisca tre società, una villa, 38 rapporti bancari (furono trovati pochi spiccioli) e, soprattutto, numerosi terreni di cui si è accertata l’attuale disponibilità al capo mafia corleonese. I beni valgono un milione e mezzo di euro.

Punto cruciale dell’indagine patrimoniale è stata l’evidente sperequazione tra i redditi dichiarati negli anni dai Riina e i beni di loro proprietà. A provvedere alle esigenze familiari è stata donna Ninetta che, pur non avendo redditi ufficiali, tra il 2007 e il 2013, ha firmato assegni per un valore di oltre 42.000 in favore del marito e dei figli detenuti. Eppure secondo i carabinieri, le sue disponibilità economiche ufficiali erano al di sotto della sussistenza.

La confisca comprende la villa di via degli Sportivi, a Mazara del Vallo, uno dei luoghi della latitanza di Totò Riina con famiglia al seguito. L’immobile era intestato a un prestanome e dopo l’arresto del padrino era passata al fratello Gaetano che l’ha occupata ininterrottamente attraverso un fittizio contratto di locazione. Nel gennaio 1984 Gaetano Riina aveva già subito la confisca dell’abitazione a lui intestata, in contrada Banno Miragliano, sempre a Mazara del Vallo, da parte del Tribunale di Trapani. A firmare il provvedimento era stato il giudice Alberto Giacomelli che proprio per questo motivo subì la vendetta dei corleonesi. Lo assassinarono il 14 settembre 1988. Un delitto per il quale Totò Riina è stato condannato all’ergastolo. Le intercettazioni hanno svelato la disputa in corso tra Gaetano Riina e la cognata che rivendicava la proprietà della villa per sé e i suoi figli.

Il provvedimento di confisca si estende anche in provincia di Lecce e Brindisi, dove sono stati localizzati i beni aziendali formalmente intestati a Antonino Ciavarello, genero di Riina. Si tratta delle società Rigenertek, AC Service e Clawstek che si occupano di compravendita di macchine. Le analisi contabili hanno fatto l’esistenza di provviste in nero: 480 mila euro immessi per lo più in contanti ed in numerose tranches nei patrimoni sociali senza alcuna giustificazione legale.

Il Tribunale di Palermo, contestualmente al sequestro, nel 2017 aveva sottoposto ad amministrazione giudiziaria l’azienda agricola dell’ente Santuario Maria Santissima del Rosario di Corleone. Si era scoperto che i Riina avevano interessi su 84 ettari di terreno attorno al santuario, intestati alla Mensa arcivescovile di Monreale e alla Parrocchia Santa Maria del Rosario. Lo scorso luglio la sezione Misure di prevenzione presieduta da Raffaele Malizia ha revocato l’amministrazione giudiziaria dell’azienda agricola. La Curia di Monreale è rientrata in possesso dei terreni coltivati a grano e uliveti fra Ficuzza e Corleone. Era stato licenziato l’unico dipendente dell’azienda e cioè Francesco Di Marco, figlio di Vincenzo, autista della famiglia Riina, e nipote di Antonino, in carcere con l’accusa di essere il reggente del mandamento mafioso di Corleone. Ed era stato allontanato il precedente rettore che non aveva vigilato. Insomma, si era voltato pagina. L’arcivescovo di Monreale, monsignor Michele Pennisi, aveva interrotto qualsiasi pericolo di infiltrazione mafiosa.

Fonte : Live Sicilia