Roma “caput mundi” per Servizi di Stato, bande organizzate e il clan dei Messina Denaro -Riina

Matteo Messina Denaro messo al riparo da molte verità di Stato , casualmente di sua conoscenza?

Ormai lo si può chiamare “Sua latitanza” da Castelvetrano

Con la volontà di questo Governo di “desecretare” molti documenti , si potrebbe togliere anche “spazio” alla latitanza del boss. Più cose si sanno e più diminuisce l’interesse a proteggere gli eventuali segreti dell’imprendibile

Seguendo la logica di certe sentenze e di alcune inchieste, si può affermare con certezza che Matteo Messina Denaro, forse senza volerlo, ha saputo cose molto più grandi del suo stesso spessore criminale su tanti misteri italiani

Matteo Messina Denaro, in chissà quale eremo, il 26 aprile ha compiuto 57 anni, gran parte dei quali trascorsi nella clandestinità mafiosa. Correva l’estate 1993 quando, secondo una ricostruzione investigativa, dopo una dorata vacanza a Forte dei Marmi (Lucca), diventò uccel di bosco per lo Stato, che continua a dargli la caccia senza (finora) alcuna fortuna.Anzi, Messina Denaro, verosimilmente accumula “fortuna” sulla disgrazia altrui e su tanti segreti che, ormai, verificando molte carte e dichiarazioni di certo conosce.
Mai come in questo anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio il suo fantasma volteggia sul futuro di Cosa nostra e – di conseguenza – su quella quota parte di misteriosa evoluzione criminale che gli consente, dopo centinaia di arresti e decine di inchieste di rimanere nell’ombra Ma l’ombra, come dicono i filosofi ha una sua origine solo tramite la luce. Dunque, più luce c’è più ombra si crea.  
Proprio su quest’ultimo aspetto si concentrano le attenzioni di investigatori e inquirenti preparati e che usano la loro testa per non cadere nelle trappole di chi fa da decenni il doppio gioco nelle aule di giustizia. Inquirenti che speriamo stiano lavorando da tempo ad un’ipotesi investigativa alla quale trovare riscontri veri e conducenti all’arresto di questo criminale che si sta godendo fin troppo la sua latitanza. E così, mentre c’è chi gioca a diffondere le voci sulla sua morte e chi, al contrario, propala ai quattro venti di averlo visto nei posti più improbabili del globo terracqueo, le carte sui tavoli della Procura della Repubblica di Palermo e Caltanissetta agiscono come le lancette dell’orologio .Un pò vanno avanti e un pò indietro. Ormai da oltre 10 anni si va avanti così.E chi ci crede che tutto questo sia frutto dell’abilità del boss e di mera casualità quindi “culo” del latitante , non crede neanche che la terra non è piatta. Vero è che di fiancheggiatori ne ha avuti, ma in quasi trent’anni di latitanza neanche la copertura di un reggimento di fanteria lo avrebbe potuto salvare dall’arresto. Un interessante spunto investigativo viene dal libro di Rita Di Gioacchino: “Stragi: Quello che Stato e mafia non possono confessare”
L’autrice parla di Matteo Messina Denaro e degli strani incontri con qualche esponente della Banda della Magliana. “ sette stragi ci furono in quell’anno- si legge nel libro-ci si arriva sommando ai cinque attentati di Firenze, Milano e Roma. Un certo un falsario legato alla Banda della Magliana e ai servizi segreti: nel borsello … conteneva documenti scottanti su segreti e affari anche con lo Ior del Vaticano . Lo showman Maurizio Costanzo rompeva i coglioni e si incontrava ogni mattina con politici, direttori di giornali, Secondo l’originario piano affidato a Matteo Messina Denaro, occorreva quietare gli animi. Quel borsello era di Tony Chichiarelli. Un falsario legato alla Banda potente di Roma. Nel borsello c’erano 7 fazzoletti di marca Paloma. Guarda caso la stessa marca dei fazzoletti usati per tamponare il sangue di Aldo Moro. Un proiettile che riportava all’omicidio Pecorelli”Il libro dai contenuti molto interessanti apre diversi dubbi: perchè mettere in azione un “picciotto” siciliano a Roma ? Che bisogno c’era? La città era ampiamente sotto controllo dalle azioni della Banda della Magliana che si era resa di operazioni “impeccabili” sotto l’aspetto criminale e che aveva avuto stretti rapporti con mafiosi, politici, uomini del clero, camorristi , con esponenti di Gladio e ovviamente ndraghetisti.

Eppure, come dicono le sentenze, Matteo Messina Denaro, Spatuzza, Geraci ed altri , vengono lasciati liberi a Roma di fare e sopratutto di sapere tanti segreti. Magari alcuni solo dati al boss. Quali sono tutti questi segreti? E’ probabile che Matteo Messina Denaro ne conosca molti e magari anche conosca i comportamenti di certi vigliacchi in doppio petto che ne favoriscono ancora la latitanza. La Banda della Magliana aveva tra gli altri, un certo De Pedis tra i componenti . De Pedis da criminale ha trovato sepoltura dentro una chiesa.Non è poco.
Secondo un pentito autorevole, la Banda, negli anni d’oro , è riuscita a corrompere persino i tribunali.  
De Pedis gestisce un impero economico, a Roma era diventato un intoccabile. A Roma nessuno osa colpirlo o contrariarlo. La sua morte non ferma la Banda

LA BANDA DELLA MAGLIANA finisce sotto inchiesta

Omicidi, intimidazioni, controllo del territorio: ma nessuna sentenza alla fine ha riconosciuto il 416 bis 
Era il 17 aprile del 1993, (un mese prima dell’attentato a Maurizio Costanzo a Roma) quando l’operazione Colosseo, dopo le dichiarazioni del pentito Maurizio Abbatino, portò in carcere 95 persone. Un’operazione gigantesca con seicento uomini di Criminalpol, Digos e Squadra Mobile entrati in azione in tutta Roma, alle 4 del mattino, dal Tufello a Testaccio. Un operazione che probabilmente fece saltare piani eversivi su Roma e assegnati alla Banda. Le dichiarazioni di Abbatino spiazzano vecchi accordi anche con le mafie?

Il 3 ottobre 1995, nell’aula bunker dell’ex palestra olimpionica del Foro Italico, iniziò il maxiprocesso per 69 imputati (altri scelsero riti abbreviati), con l’intera Banda della Magliana alla sbarra. I capi d’imputazione: 416bis finalizzato a estorsioni, traffico stupefacenti, le estorsioni, riciclaggio del denaro, omicidi e rapine. 

Il 23 luglio 1996, dopo due giorni di camera di consiglio, fu confermata l’associazione mafiosa. In Appello, due anni dopo, l’accusa resse, per cadere poi in Cassazione nel 2000. Dopo anni di processi e inchieste la Cassazione cancella il reato di associazione mafiosa. Era una semplice banda di criminali. Voi ci credete?